Messaggioda tenente Drogo » 09 lug 2024 00:10
vi lascio una bellissima riflessione dal profilo.facebook.di Matteo Marchesini, giovane critico letterario
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Dal 7 ottobre 2023, seguire il dibattito su Israele significa per me leggere quotidianamente le opinioni allucinanti di molte bravissime persone che stimo e a cui voglio bene. Da dove vengono queste opinioni, spesso caratterizzate da un antisemitismo inconsapevole e da una soddisfatta ignoranza della storia del vicino Oriente? Aiutano forse a capirlo alcune pagine di Milan Kundera riproposte tre anni fa da Adelphi come postfazione alla prima parte dei “Sonnambuli” di Hermann Broch. Dopo la primavera di Praga, lo si ricorderà, Kundera è emigrato dalla Cecoslovacchia della dittatura comunista a Parigi; e la sua sensibilità per le minacce totalitarie, in particolare per la minaccia sempre esercitata dalla Russia nei confronti dell’Europa centrale, si è espressa in una maniera limpida a cui i suoi lettori italiani o francesi (cioè i lettori sospesi in eterno tra Salò-Vichy e Molotov-Mélenchon) sono decisamente poco abituati. In quelle pagine, mentre cerca d’interpretare lo smarrimento ideologico del Pasenow di Broch, Kundera affronta un tema oggi decisivo: s’interroga sulla capacità di dare rappresentazioni giuste, ovvero di offrire simboli adeguati, alla realtà sociale che ci circonda. I simboli non devono occultare ciò che della realtà non riescono a chiarire, pena la mistificazione; ma non devono nemmeno dissolversi completamente, o si resta davanti a un Incomprensibile presto decifrato (si fa per dire) con la paranoia. Dove una realtà, e magari una realtà tragica, rimane simbolicamente muta – uso le parole di Kundera – noi tendiamo a rimuoverla. Oppure, se è tanto invasiva da costringerci a reagire, non sapendo interpretarla la affrontiamo in modo delirante. Ad esempio: dopo la crisi dei paradigmi ideologici moderni, che sopravvivono in una poltiglia diluita o in una specie di “cadavere mascherato” (direbbe Savinio) pericoloso proprio perché internamente putrefatto, non sono forse riemerse un po’ dovunque le teorie del complotto? Da qui vengono la violenza fascio-maoista o populista e i rigurgiti di un antisemitismo da “Protocolli dei savi anziani di Sion”, alleato oggettivo dei fondamentalismi islamisti. Accadono fatti enormi, in questi anni, e noi non abbiamo una o più culture comuni e radicate per farvi fronte. Restano le frattaglie pseudo-comuniste, o clerico-fasciste, o anche finto-liberali; restano brandelli di ceti dirigenti che non hanno mai assimilato la lezione di Orwell; restano gli eredi dei Partigiani della Pace; restano gli eredi dei movimenti di estrema destra e di estrema sinistra di cinquant’anni fa il cui unico bersaglio era l’Occidente; restano, più visibili che mai, gli italiani e gli europei che con spontaneo razzismo non considerano gli abitanti di quello che non è Occidente come responsabili delle loro azioni. E restano, ancora, gli italiani e gli europei e gli americani che non considerano i propri paesi e Israele come spazi di una pluralità garantita da sempre più fragili istituzioni democratiche, e insomma come realtà conflittuali, ma come monolitici imperi – imperi nei quali però, vedi il caso, possono studiare, fare carriera, insegnare, e che possono criticare durissimamente. Tutte cose impossibili in altri Stati a cui, senza nessun senso delle proporzioni e senza amore delle più elementari verità, gli sprezzatori del liberalismo regalano innumerevoli attenuanti proprio mentre questi Stati, monolitici sul serio, opprimono e uccidono i loro popoli o quelli ai loro confini. Ecco: perché ciò accade? Perché questa noncuranza davanti a Putin, all’Iran, alle dittature arabe, a Hamas? Perché, si può rispondere con Kundera, per innumerevoli cittadini e intellettuali d’Occidente una tale oppressione resta simbolicamente muta. Perché non sanno inserirla in un paradigma consolidato, in una visione del mondo conosciuta. E quindi al massimo la condannano come violenza generica, senza vederne e affrontarne le cause ideologiche e politiche. Le rare volte che se ne accorgono, del resto, sapendo di non poter avere con sé il senso comune diffuso del loro ambiente, prudentemente tacciono. Avete mai sentito i rappresentanti delle culture prevalenti in Italia occuparsi, che so, degli ebrei cacciati dai paesi arabi? No, perché il tema non rientra nel paradigma del “colonialismo occidentale” o della “autodeterminazione dei popoli” (di tutti i popoli ma non di quello ebraico, vero?, a cui non la si concede). Essendo privo di un piedistallo culturale liberaldemocratico, oggi più di ieri questo paradigma acceca chi lo usa o piuttosto ne è usato, e rende impossibile capire alcuni fenomeni gravissimi: come l’antisemitismo, malatia millenaria appena curata nel mondo cattolico postconciliare, ma riemersa invece nella modernità cosiddetta laica che aveva aperto i ghetti, e cresciuta ahimè perfino dopo il nazismo. E’ la ragione per cui non la capì il Brecht marxista che scrisse negli anni ’30 “Teste tonde e teste a punta”: per lui capitalisti ebrei e hitleriani erano tutt’uno e la propaganda antiebraica appena una calunnietta di copertura, un trascurabile alibi. Da noi questo errore è stato aggravato da un lunghissimo dopoguerra che lo scontro USA-URSS ha reso ideologicamente irreale. Siamo stati un paese in cui ci si poteva dire comunisti e rivoluzionari senza assumersi la responsabilità reale di ciò che comportava, standosene al sicuro tra istituzioni democratiche. Siamo stati un paese in cui, di conseguenza, la falsa coscienza è aumentata rapidissimamente fino alle ultime generazioni, e ogni presa di posizione è diventata in molti casi pura fantasticheria. Equivoci enormi si sono stratificati l’uno sull’altro, e adesso producono una tragedia nella tragedia. Voterei subito Pierluigi Bersani ministro del Lavoro o della Salute: a patto però che si limitasse a fare quello. Appena parla di relazioni internazionali, infatti, Bersani (lo prendo come sineddoche) smette di ragionare politicamente e sfrutta luoghi comuni colpevoli. Non dimostra, cioè, l’immaginazione morale necessaria per vedere davanti a sé gli ucraini massacrati, o Israele minacciata fin dalla nascita da tutti i vicini della regione, o i palestinesi utilizzati come scudi umani da Hamas – quell’immaginazione che conserva invece, e giustamente, dove si tratta dei metalmeccanici o dei poveri che non possono accedere alle cure di un sistema sanitario allo sfascio. Davanti alle crisi internazionali, il politico tipico della sinistra italiana alza sulle vittime di ogni genere un lamento del tutto impolitico, o peggio machiavellico – come accade del resto alle manifestazioni del PD, che altrimenti non sarebbero così numerose. Ma il costo del successo è appunto la rinuncia alla politica. Invece, se non si vuole che il numero rimanga un mero fatto mediatico, credo si debba avere il coraggio di dividersi nettamente su alcune questioni essenziali per ritrovarsi magari uniti in futuro su basi più solide, anziché su equivoci. E questo coraggio, ahimè, la sinistra negli ultimi decenni non l’ha avuto, continuando a fingere che si potesse stare in un’unica grande Chiesa pseudo-ecumenica alla Jovanotti. Il senso comune italiano sull’Ucraina dimostra che purtroppo la lezione della Resistenza non l’abbiamo imparata. E il senso comune che vagamente condanna Hamas come se il 7 ottobre fosse avvenuto un atto di guerriglia dimostra che nemmeno il nazismo o le Giornate della Memoria ci hanno insegnato cos’è un pogrom. Ma la follia pura è il modo in cui in Italia molte persone perbene e progressiste parlano del sionismo facendolo coincidere con un’oppressione coloniale o fascista, e dimostrando così un’ignoranza abissale e tutt’altro che innocente. È esistito, tra Ottocento e Novecento, un dibattito sottilissimo sulle varie anime del movimento sionista, ma dal 1948 c’è anche lo stato di Israele, fragile democrazia circondata da dittature che la temono soprattutto per le sue istituzioni non autoritarie. E’ una democrazia piena di difetti, certo, e di colpe nei confronti dei palestinesi; ma sono colpe molto minori di quelle che nei confronti dei palestinesi hanno accumulato i loro strumentalizzatori arabi e iraniani, su cui al contrario si tace. Insomma: dirsi oggi antisionisti, a Stato israeliano realizzato, significa chiedere di fatto che Israele venga cancellata dalla cartina geografica. Sento ripetere spesso che i difensori europei di Israele sarebbero più oltranzisti degli stessi israeliani, i quali sono assai autocritici; ma anche questa è una distorsione. Gli israeliani criticano le politiche di un governo con tratti “lepenisti”, ma non mettono in discussione il loro Stato. In Europa e in America, invece, accade proprio questo; e gli ebrei, nelle nostre città, sono di nuovo in pericolo in quanto ebrei. Non da ora, del resto: i ragazzi israeliani che attraversano i nostri paesi in viaggio non amano dichiarare la loro nazionalità; e chi frequenta scuole ebraiche spesso evita di dirlo agli amici. Ma tutto ciò resta per molti simbolicamente muto. A volte nemmeno si comprende la gravità delle proprie posizioni e adesioni. Altra sineddoche: scommetto che Zerocalcare, come tanti di noi, avrà partecipato spesso a manifestazioni di centri sociali e gruppi di sinistra in cui si proponeva con bandiere e banchetti e kefiah una “Palestina libera”, cioè non si discuteva affatto dei “territori occupati” ma si pretendeva gridando una Palestina senza ebrei. Eppure non si registrano reazioni di dissociazione, né sue né di chierici come lui, davanti a questa infamia serenamente acquisita nella nostra opinione pubblica. A chi lo criticava per il boicottaggio antisraeliano, il fumettista ha ricordato il suo impegno pro-curdo e in questo senso anti-islamista. Toppa peggiore del buco, perché nessuno in buona fede lo nega: ma quell’impegno giusto è stato di tanti solo perché può definirsi coi paradigmi già acquisiti, cioè (nel caso) quello di un popolo tradito anche dall’Occidente, che ha una storica vicinanza con la sinistra rivoluzionaria. Ciò che esigerebbe invece un minore conformismo, come la difesa delle istituzioni democratiche israeliane insieme ai diritti dei palestinesi, non viene affatto registrato sui radar. Ecco perché nella questione israeliana e palestinese-araba s’incrociano tutti i fallimenti delle nostre culture politiche, dei nostri piccoli vip culturali, e delle nostre università degradate. Chi negli ultimi decenni ha studiato in Italia (a Bologna, a Roma, a Torino…) e tiene a essere accettato negli ambienti ritenuti ‘rivoluzionari’, in genere non sa niente e non vuole sapere niente: riesce a essere insieme naif e tartufo. Speriamo in Kundera.