Travolta ha scritto:zampaflex ha scritto:La sceneggiata russa è stato un triello alla messicana che avrebbe divertito Sergio Leone.
Putin e Prigozhin (suo prestanome, non dimenticatelo) contro i militari pavidi.
Prigozhin che si monta la testa e Vlad che si prende un cagotto e manda il fedele Lassie Lukashenko.
I capi di Rostov che prendono il the insieme al cuoco e pubblicano il video per protestare.
I carri armati wagneriani che si spostano davvero come quelli di Risiko.
Che buffonata.
Ipotesi.Tutti possiamo formulare solo che ipotesi ce ne sono varie e tutte potenzialmente tanto probabili quanto assurde saro' banale ma mi sembra la realta' delle cose al momento.
Non sono assolutamente da escludere nemmeno quelle che fai tu ma appunto possiamo solamente azzardare come fosse una puntata alla roulette.Fra qualche tempo ( non so se ore, giorni,mesi o anni) potremo *forse* capirne un po' di piu',personalmente non riesco a sbilanciarmi su cosa sia realmente accaduto tra venerdi notte e sabato.
Trovo adesso il tempo di leggere qualcosa dei giornali del mattino e recupero un interessante articolessa della Repubblica
I segnali che Prigozhin stesse preparando un colpo di mano erano iniziati circa due settimane prima.
Dopo che Putin aveva platealmente preso le parti del ministro Sergej Shojgu intimando a tutte le compagnie di “volontari” di firmare entro il primo luglio il contratto che le avrebbe irregimentate sotto il ministero della Difesa, il capo di Wagner aveva iniziato a scalpitare. C’era una brutta sensazione nell’aria.
Che di lì a poco sarebbe successo «qualcosa». Ma le forze di sicurezza hanno soprasseduto, convinte che non ci fosse alcun rischio di ammutinamento. Si sbagliavano.
La situazione precipita la mattina di venerdì 23 giugno. Le intelligence occidentali intercettano le telefonate di alti ufficiali di Wagner. Avvertono i familiari che sta per iniziare un’operazione militare speciale che li trasformerà in nemici del popolo. All’ascolto c’è anche Mosca. Ma continua a temporeggiare. Quando la sera Prigozhin lancia l’anatema contro il ministro della Difesa Shojgu e il capo di Stato maggiore Gerasimov, i vertici del Paese continuano a pensare che sia il solito bluff. Capiscono che «la situazione è seria» soltanto quando, la mattina di sabato 24 giugno, Wagner prende il controllo di Rostov-sul-Don. Continuano però ancora a pensare di poter risolvere la situazione «più o meno pacificamente». Le trattative sono in corso già da diverse ore. Sono in tanti a mobilitarsi: la leadership militare, l’amministrazione presidenziale, i vertici della Guardia Nazionale. Ma Prigozhin non vuole cedere nulla neppure a fronte di garanzie per la sua sopravvivenza e di Wagner.
Secondo Andrej Pertsev, analista politico di Carnegie Politika e del media di base a Riga Meduza, Aleksandr Kharichiov, stretto collaboratore di Sergej Kirienko e Andrej Jarin, responsabili per la politica interna all’interno dell’amministrazione presidenziale, chiamano governatori e politici di primo piano chiedendo loro di commentare la situazione «in modo cauto, senza fare riferimenti diretti alla personalità di Prigozhin». Si spera ancora nelle trattative. Ma non ne viene fuori nulla. Soprattutto diventa chiaro che non c’è più posto per Prigozhin nel “sistema Putin”. Dopo un’ora e mezza, le «raccomandazioni» cambiano: bisogna denunciare Prigozhin come «traditore». Di lì a poco, alle 10 del mattino, Vladimir Putin tiene il suo breve discorso alla nazione trasmesso in tv e accusa Prigozhin di «pugnalata alle spalle». Non c’è più speranza di una soluzione pacifica. Prigozhin dapprima risponde con tono di sfida. Muove la “marcia della giustizia” su Mosca.
Ma cerca allo stesso tempo di mettersi in contatto con il Cremlino e con lo stesso Putin. Si è reso conto di aver «superato il limite» e che la vittoria non è certa. Dichiara che «mezzo esercito» è con lui, ma non ha ricevuto alcun sostegno. I militari non hanno opposto resistenza perché le autorità russe vogliono guadagnare tempo ed evitare il bagno di sangue. Il presidente però non vuole parlare con lui. Soprattutto non può negoziare direttamente con uno che ha appena chiamato «traditore».
La colonna si avvicina al fiume Oka dove l’esercito e la Guardia nazionale hanno costruito la prima linea di difesa. Notando le incertezze di Prigozhin, il Cremlino decide di non andare allo scontro e affida i negoziati finali a un gruppo di funzionari di alto rango. Ne fanno parte due “padrini” di Prigozhin, il governatore di Tula nonché ex guardia presidenziale di Putin Aleksej
Djumin e il capo dell’amministrazione presidenziale Anton Vajno; l’ambasciatore russo in Bielorussia; ma soprattutto il segretario dal Consiglio di sicurezza russo Nikolaj Patrushev. A mediare direttamente con Prigozhin è però il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, in costante contatto telefonico con Putin. Franak Viacorka, capo consigliere politico di Svetlana Tikhanovskaja, la leader dell’opposizione bielorussa in esilio, lo chiama il «messaggero di Putin». Prigozhin voleva un interlocutore di alto rango per salvare la faccia. «Lukashenko si offre. per accreditarsi come salvatore della Russia e riposizionarsi nel futuro riassetto di potere».
La colonna di Wagner è oramai alle porte di Mosca. Il presidente russo che al mattino era al Cremlino si è ritirato nella sua dacia di Novo Ogariovo. Dietro le quinte continua l’incessante trattativa. E a un certo punto Prigozhin accetta di fermare la colonna di mercenari. È Minsk a dare la notizia. Poi arriva la conferma del portavoce del Cremlino Peskov. C’è un accordo. Prigozhin andrà in Bielorussia e il procedimento penale per “incitamento alla lotta armata” verrà ritirato.
Da allora hanno taciuto tutti. Putin è rientrato al Cremlino, ma non ha più parlato. La tv Rossija 1 ha mandato in onda un’intervista che era stata registrata il 21, prima del golpe, dove afferma che i piani relativi alla “operazione militare speciale” in Ucraina non sono cambiati. È un messaggio a Kiev. Del leader di Wagner non si hanno notizie. L’ultimo video lo ritrae sorridente mentre saluta la folle festante di Rostov-sul-Don ritirandosi. Stando a fonti occidentali e bielorusse, non sarebbe ancora arrivato a Minsk. La trattativa non è finita. In cambio della resa, Prigozhin avrebbe ottenuto un rimpasto ai vertici del ministero della Difesa. Ma non subito, perché non sembri che la sua richiesta è stata accolta. Shojgu non si vede, ma dovrebbe resistere al suo posto. La vittima sacrificale potrebbe essere Gerasimov perché è visto come il terminale della rete di oligarchi che ha fornito materiale scadente alle truppe in Ucraina. Ad avvantaggiarsi della sua rimozione potrebbe essere il generale Sergej Surovikin, vicino ai wagneriti. Un buon compromesso per Prigozhin.
Restano però da chiarire i contorni del suo esilio. L’ipotesi in discussione è che i suoi uomini in Russia e Ucraina passino sotto il controllo della Difesa da contratto, mentre i combattenti sparsi nel mondo restino sotto il suo comando, ma da Minsk. Non dovrebbe più avere la stessa influenza, né le stesse risorse.
Ma difficilmente un uomo che ha accarezzato il favore del popolo si sottometterà. «Conosciamo la sua ambizione. Non ci sono garanzie che non ci riproverà», sostiene Viacorka. «Né lui ha garanzie di sopravvivenza. Putin troverà il modo di vendicarsi. Prigozhin lo sa e farà di tutto per sopravvivere. Non è escluso che cercherà di trascinare Lukashenko e la Bielorussia nella sua lotta». Su una cosa concordano tutti: che Putin ne esce più debole. Per lui sarà sempre più difficile tenere insieme la “verticale del potere”.
C’è persino chi si spinge a dire che ne sia consapevole anche lui e che potrebbe non candidarsi più alle presidenziali del marzo 2018, ma designare un successore.
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Autorevoli fonti di intelligence Usa non escludono che dietro all’insurrezione ci siano potenti oligarchi stanchi della guerra, tra cui citano l’ex agente del Kgb e presidente delle ferrovie Vladimir Yakunin, o membri del circolo politico più ristretto
come Nikolai Patrushev, anche lui veterano dei servizi. L’ex inviato speciale per l’Ucraina Kurt Volker confida di «essere scettico, perché non vai contro l’intero stato russo, poi ci ripensi, fai un accordo, e va tutto bene». Secondo la sua analisi, «Prigozhin ha lanciato l’insurrezione perché aveva le spalle al muro. Ha avuto la percezione che i suoi nemici, a partire dai leader militari Shoigu e Gerasimov, stessero per ucciderlo, e quindi si è mosso in anticipo. Il suo obiettivo però non era rovesciare Putin. Vuole essere visto come un eroe che difende lo stato, e si è fermato prima di arrivare a Mosca perché aveva capito che avrebbe provocato un bagno di sangue. Invece ha preferito proiettare l’immagine del leader responsabile ». L’accordo «forse non è stato neppure negoziato dal capo del Cremlino, ma da qualcuno che ha preso il suo posto quando era
chiaro come la situazione stesse sfuggendo ad ogni controllo, magari per dimostrare che non è più in grado di guidare il paese».
Ora «Prigozhin non accetterà l’esilio silenzioso in Bielorussia, perché se andrà in qualsiasi luogo indicato da Putin la sua vita sarà a rischio. Si preparerà invece per la prossima mossa, per realizzare le proprie ambizioni di leadership, o di chi lo manovra.