l'oste ha scritto:La mancanza di una possibile pietra di paragone in bottiglia a parte sè stesso, è un limite geografico e ampelografico, non del vino. Questo limite, per motivi molto simili, dovrebbe allora venire esteso ad altri casi in cui le scelte di vitigno non offrono "triangolazioni culturali" e mettono un po' fuori categoria un dato vino. Mi vengono in mente vini di zone più o meno vocate, come Rayas, Eremita di Palacio, Paleo, Calvari, Es, il Semillon di Boncompagni-Ludovisi...
Fino a venti anni fa lo stesso Sassicaia o il Pergole Torte non avevano identici riferimenti di zona, essendo stati guide seminali e fondatori, anche se per vie differenti.
Tirandolo per la barba anche il...Barbacarlo non è di facile collocazione di genere, essendo esso stesso l'originale, l'imago, la first issue del genere stesso. Per estremo paradosso, persino la tipologia amarone non ha in ambito nazionale e internazionale altri references, se non lo sfursat, unicamente per la tecnica simile.
Capisco bene il motivo -il tratto comune con il Trebbiano di Valentini- che ti porta ad elencare questi produttori, ma l'argomento che mi vado lambiccando nella testa in questi giorni è invece parallelo, e diverso.
Rayas è un vino la cui eccezionalità deriva dalla rarità dell'uvaggio e dalla straordinaria riuscita qualitativa. Ma rimane tipico e riconoscibile come Grenache. Spettro aromatico, impianto strutturale, comportamento evolutivo, rapporto con l'ossigeno nel bicchiere... tutto torna ragionevolmente. E torna anche come vino del Rodano.
Lo stesso si può dire di Paleo, Calvari, ES, Semillon Boncompagni Ludovisi. Di Ermita non dico, avendone avuta rarissima frequentazione.
Lo stesso si poteva dire di Sassicaia e Pergole Torte, fino a che non c'erano che pochissimi emuli. Ma proprio qui viene la chiave: ora che invece di vini fatti con lo stesso uvaggio nella stessa zona ce ne sono molti altri, risultano tutti comparabili e riconoscibili come omologhi fra di loro, anche alla cieca.
Il Trebbiano di Valentini di altri vini che sono omologhi per vitigno e territorio ne ha una montagna da quando esiste, di qualità anche alta specie negli ultimi anni, ma nessuno nel bicchiere gli assomiglia, nemmeno lontanamente.
Quanto al Barbacarlo, non è tanto la "first issue" ma l'Highlander della sua tipologia: ne è rimasto solo uno, ma un tempo quello era il modello normale del vino di qualità in zona. Spiccava per qualità, ma non era diverso per tipologia.
Invece l'Amarone è una tipologia a sé, la cui diversità dipende dalla tecnica utilizzata. E' poco diffusa fuori dalle due zone della Valpolicella e della Valtellina, ma dovunque vengano fuori vini fatti allo stesso modo, ritorna la comparabilità specifica. Vedasi il Graticciaia e gli altri Negroamaro appassiti o anche solo surmaturati come il Patriglione.
Per quanto io ami l'interpretazione culturale e anche poetica del vino, specie se di grande interprete e terroir, questo non mi trattiene dall'approcciarlo anche sotto la luce del pragmatico. Anzi, la metafisica e la poesia del vino per quanto mi riguarda hanno ragione di essere solo
dopo l'analisi obiettiva. Solo se sopravvive qualcosa, c'è buona ragione per concedersi la trasvolata emotiva, poetica, pindarica.
Altrimenti quello che uno dice del Trebbiano di Valentini, un altro lo può dire di un qualsiasi vino imbrettato e/o ossidato che risulta diverso da tutti gli altri. Eccecredo, che risulta diverso...
Dunque mi chiedo, in conclusione: che cos'è che fa il Trebbiano di Valentini così diverso da qualsiasi altro Trebbiano d'Abruzzo? Di solito le risposte si trovano in tre luoghi, vitigno, vigna, tecnica. Non dovrebbe essere così difficile inquadrare almeno a grandi linee le coordinate di uno dei vini più famosi d'Italia, e provare a replicarle.
Perché nessuno pensa/prova/riesce a farlo uguale?
“La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri.”