CRONACHE D'OSTERIA

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l'oste
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda l'oste » 28 dic 2010 16:20

Dedalus ha scritto:Acclivi sempre molto ben fatto, un manifesto dell'elegantissimo stile della casa, condiviso in controcanto dal Cannubi con grande costanza attraverso i saliscendi climatici delle diverse annate.

Considerando che è una vigna di Verduno, mi rimane sempre un po' il colpo in canna, aspettandomi il florilegio di nitide note speziate, di accesi accessi floreali, di infiltranti infusioni radicose che trovo sul Monvigliero e su diversi altri vini della zona. E il tarlo rode come sempre, dando corpo e spirito alla perfezione dell'imperfetto, al terroir.

Da buon mentore appassionato del nord Piemonte avrei quasi scommesso sulla tua preferenza per il Monvigliero e le sue radici.
Dei tre barolo quello che mi lascia di più "il colpo in canna" è il Cannubi, dal quale mi aspetto forse un po' più di intensità e volume nei profumi; Acclivi, a parte il pregio e la rarità del metodo tradizional-manuale adottato (almeno fino a qualche anno fa), è quello che mi emoziona sempre per la finezza e varietà olfattiva. Monvigliero è probabilmente il più ricco, profondo ed identitario, spesso anche nelle annate calde o minori esprime coerenza e valore.
Sarebbe poi interessante approfondire sulle diverse tonalità "radicose" nei vini, le sfumature sono molte nei diversi terroir (non solo di langa); ad esempio a volte ne sono molto affascinato (liquirizia, quel sentore di terra misto a tartufo, quando la radice ha tratti balsamici e minerali), in altre occasioni la trovo troppo pregnante e coprente (rabarbaro, quando la radice ha un'asprezza olfattiva troppo "verde" o scura).
Comunque G.B.Burlotto è tra i miei produttori italiani preferiti, abbordabile ed affidabile (la langa media non sopravvalutata), grande serietà in tutti i prodotti, dai più "semplici" pelaverga, dolcetto e barbera fino appunto alla gamma dei tre barolo, abbastanza diversi tra loro, con la pulizia e l'eleganza come costante marchio aziendale.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Dedalus » 28 dic 2010 17:08

La passione per la caratterizzazione di Verduno precede quella dei Nebbiolo dell'Alto Piemonte, a cui evidentemente ero predestinato: le vicende biografiche contano sempre, ma fino ad un certo punto. E' stato su Verduno e solo dopo su Carema che ho letto più chiaramente, attraveso la trasparenza aromatica e strutturale di queste due denominazioni, il DNA del Nebbiolo. Gattinara è arrivata ancora dopo. A ricordarsi bene, il primo Nebbiolo fu un Barbaresco del 1987, solo dopo il Barolo.

Per me il Nebbiolo è stato ed è una strada in lieve salita ma di alta quota, dove la leggerezza vale più di ogni altra cosa, e solo attraverso quella si giunge alla potenza, alla pienezza dell'espressione. Mi ricorda un piccolo e prezioso libro di Italo Calvino, suo ultimo ed incompiuto, Le lezioni americane. Breve percorso attraverso sei qualità dedicate al nuovo millennio, questo nostro ormai, la prima delle quali è proprio la leggerezza, e solo l'ultima la consistency, intradotta ed intraducibile. Una delle letture-chiave della mia adolescenza, che ha segnato profondamente anche il mio rapporto con il vino. Del resto per me la cantina e la libreria sono forme, accidenti diversi dello stesso fenomeno umano, il desiderio di lettura, la necessità di incontro e di interpretazione del mondo e degli uomini.

L'incontro con il Monvigliero di Burlotto è stato fulminante ma lungamente combattuto, ed ancora oggi come ho appena finito di dire è insieme passione e dubbio, trascinamento e resistenza. Da dire che le ultime 4-5 annate sono sempre più precise e perfette, e mi piacerebbe assai farmi dare uno strappetto da una macchina del tempo di passaggio per vedere che sarà fra un lustro o due del 2004, per dire.

L'Acclivi e il Cannubi li vedo come gemelli, non identici ma quasi. Alla fine forse amo persino di più il Cannubi, cru o per meglio dire sottozona a cui non sono particolarmente affezionato, e che negli ultimi anni mi ha dato modo di formulare qualche dubbio sulla sua vocazione assoluta. Quello di Burlotto al mio naso lo riscatta in pieno. Facendo un piccolo passo indietro verso la leggerezza, sia sul fronte della densità del frutto sia su quello della larghezza della struttura, dimentica prima di partire certi eccessi di calore e di alcool che toccano altre interpretazioni, e guadagna precisione al palato e definizione aromatica, soprattutto mobilità e capacità di narrazione. Ed un'intensità di tutto rispetto.

Leggo il cenno alla "rarità del metodo tradizional-manuale", che oggi è non dell'Acclivi ma del Monvigliero, ed è da lì più che dalla vigna che vengono le note scure e singolari di questo vino, tanto che gli altri Monvigliero hanno sì note speziate e radicose, ma assai diverse da queste. Dici bene: più gentili e chiare, mentre il Monvigliero di Burlotto è assai cupo e scuro, e dalle radici finisce per toccare persino le olive nere, come più volte si è dibattuto qui. Non so se in passato fosse invece l'Acclivi a pregiarsi della pigiatura podalica e della fermentazione àl'abandonné sous le ciel de vin...
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda l'oste » 28 dic 2010 18:11

Dedalus ha scritto:La passione per la caratterizzazione di Verduno precede quella dei Nebbiolo dell'Alto Piemonte, a cui evidentemente ero predestinato: le vicende biografiche contano sempre, ma fino ad un certo punto. E' stato su Verduno e solo dopo su Carema che ho letto più chiaramente, attraveso la trasparenza aromatica e strutturale di queste due denominazioni, il DNA del Nebbiolo. Gattinara è arrivata ancora dopo. A ricordarsi bene, il primo Nebbiolo fu un Barbaresco del 1987, solo dopo il Barolo.

Per me il Nebbiolo è stato ed è una strada in lieve salita ma di alta quota, dove la leggerezza vale più di ogni altra cosa, e solo attraverso quella si giunge alla potenza, alla pienezza dell'espressione. Mi ricorda un piccolo e prezioso libro di Italo Calvino, suo ultimo ed incompiuto, Le lezioni americane. Breve percorso attraverso sei qualità dedicate al nuovo millennio, questo nostro ormai, la prima delle quali è proprio la leggerezza, e solo l'ultima la consistency, intradotta ed intraducibile. Una delle letture-chiave della mia adolescenza, che ha segnato profondamente anche il mio rapporto con il vino. Del resto per me la cantina e la libreria sono forme, accidenti diversi dello stesso fenomeno umano, il desiderio di lettura, la necessità di incontro e di interpretazione del mondo e degli uomini.

L'incontro con il Monvigliero di Burlotto è stato fulminante ma lungamente combattuto, ed ancora oggi come ho appena finito di dire è insieme passione e dubbio, trascinamento e resistenza. Da dire che le ultime 4-5 annate sono sempre più precise e perfette, e mi piacerebbe assai farmi dare uno strappetto da una macchina del tempo di passaggio per vedere che sarà fra un lustro o due del 2004, per dire.

L'Acclivi e il Cannubi li vedo come gemelli, non identici ma quasi. Alla fine forse amo persino di più il Cannubi, cru o per meglio dire sottozona a cui non sono particolarmente affezionato, e che negli ultimi anni mi ha dato modo di formulare qualche dubbio sulla sua vocazione assoluta. Quello di Burlotto al mio naso lo riscatta in pieno. Facendo un piccolo passo indietro verso la leggerezza, sia sul fronte della densità del frutto sia su quello della larghezza della struttura, dimentica prima di partire certi eccessi di calore e di alcool che toccano altre interpretazioni, e guadagna precisione al palato e definizione aromatica, soprattutto mobilità e capacità di narrazione. Ed un'intensità di tutto rispetto.

Leggo il cenno alla "rarità del metodo tradizional-manuale", che oggi è non dell'Acclivi ma del Monvigliero, ed è da lì più che dalla vigna che vengono le note scure e singolari di questo vino, tanto che gli altri Monvigliero hanno sì note speziate e radicose, ma assai diverse da queste. Dici bene: più gentili e chiare, mentre il Monvigliero di Burlotto è assai cupo e scuro, e dalle radici finisce per toccare persino le olive nere, come più volte si è dibattuto qui.

Mi piacciono molto i post dove la storia personale si fonde con la passione professionale. Grazie davvero.

Dedalus ha scritto:Non so se in passato fosse invece l'Acclivi a pregiarsi della pigiatura podalica e della fermentazione àl'abandonné sous le ciel de vin...

Era proprio alla pigiatura podalica cui mi riferivo parlando di tradizional-manuale nell'Acclivi, ma se non ricordo male, ho letto da qualche parte che da poco tempo è cambiato qualcosa. Penso che Baroloonline/Francesco sappia qualcosa di più.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda l'oste » 29 dic 2010 00:04

slow ciccio ha scritto:
l'oste ha scritto:Trebbiano Valentini 1995
... per la sua unicità e particolarità non ha altri bianchi a cui fare riferimento se non sè stesso in altre annate. Non mi sembra un dettaglio.
Penso che il Trebbiano di Valentini sia un vino semplice, come quello del contadino, ma con tatto raffinato ed un ventaglio olfattivo ricco quanto delicato.
...
Ci sono i profumi delicati, i "suoi varietali" di fiori secchi, camomilla ed erbe fini, che spesso ho trovato in questo vino, ma ancora una volta mi colpisce soprattutto quella forte presenza di essenzialità, anche sul palato che questo vino sa offrire. Elegante anche senza vestiti olfattivi sgargianti e densi, con quel "sapore" da vino nuovo che sta nei ricordi d'infanzia.

Descrizione fulminante.
Grazie Andrea.

Non per fare le belle statuine che fanno le riverenze, ma sono io che ringrazio per il tuo commento, visto che con il Trebbiano di maestro Edoardo hai perlomeno il doppio dei miei assaggi.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Dedalus » 29 dic 2010 02:19

l'oste ha scritto:
slow ciccio ha scritto:
l'oste ha scritto:Trebbiano Valentini 1995
... per la sua unicità e particolarità non ha altri bianchi a cui fare riferimento se non sè stesso in altre annate. Non mi sembra un dettaglio.
Penso che il Trebbiano di Valentini sia un vino semplice, come quello del contadino, ma con tatto raffinato ed un ventaglio olfattivo ricco quanto delicato.
...
Ci sono i profumi delicati, i "suoi varietali" di fiori secchi, camomilla ed erbe fini, che spesso ho trovato in questo vino, ma ancora una volta mi colpisce soprattutto quella forte presenza di essenzialità, anche sul palato che questo vino sa offrire. Elegante anche senza vestiti olfattivi sgargianti e densi, con quel "sapore" da vino nuovo che sta nei ricordi d'infanzia.

Descrizione fulminante.
Grazie Andrea.

Non per fare le belle statuine che fanno le riverenze, ma sono io che ringrazio per il tuo commento, visto che con il Trebbiano di maestro Edoardo hai perlomeno il doppio dei miei assaggi.


Non vi preoccupate che ci penso io a ristabilire la media glicemica della paginata... :twisted:

Da qualche tempo, come ho detto già in qualche altro intervento, per me questo aspetto
l'oste ha scritto:per la sua unicità e particolarità non ha altri bianchi a cui fare riferimento se non sè stesso in altre annate

rappresenta oggi più un limite che una fonte di ammirata devozione come fu fino a non molti anni fa.

Mi si passi l'ardito parallelo, soffro oggi della stessa stanchezza intellettuale e culturale che si può soffrire di fronte alla diversità da tutti gli altri epperò sempre uguale a sé stessa che si trova conoscendo i vitigni aromatici. Alla fine per quanto l'approccio prometta tutte le suadenti dolcezze del mondo, il fondo del sorso è sempre amaro, e già visto.

Ora, da abbastanza (molto) vecchi i Trebbiano del Maestro sono sempre e comunque grandi vini, ma quanto in loro sopravvive di questa caratteristica mi rimane anch'esso un minimo ostacolo, e non come già detto e ripetuto una fonte di delizia in più.

Mi viene a mancare cioè la possibilità di triangolazione culturale con altri vini dello stesso vitigno, della stessa zona, della stessa annata, che sono l'essenza della cultura del vino. Paradossalmente, essendo in realtà per natali e consapevolezza stilistica il Trebbiano di Valentini uno dei pochi vini davvero colti d'Italia, che contro ogni cosa pur calando l'ammirazione continuo comunque ad amare.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda paipus » 29 dic 2010 02:42

Dedalus ha scritto:
l'oste ha scritto:
slow ciccio ha scritto:
l'oste ha scritto:Trebbiano Valentini 1995
... per la sua unicità e particolarità non ha altri bianchi a cui fare riferimento se non sè stesso in altre annate. Non mi sembra un dettaglio.
Penso che il Trebbiano di Valentini sia un vino semplice, come quello del contadino, ma con tatto raffinato ed un ventaglio olfattivo ricco quanto delicato.
...
Ci sono i profumi delicati, i "suoi varietali" di fiori secchi, camomilla ed erbe fini, che spesso ho trovato in questo vino, ma ancora una volta mi colpisce soprattutto quella forte presenza di essenzialità, anche sul palato che questo vino sa offrire. Elegante anche senza vestiti olfattivi sgargianti e densi, con quel "sapore" da vino nuovo che sta nei ricordi d'infanzia.

Descrizione fulminante.
Grazie Andrea.

Non per fare le belle statuine che fanno le riverenze, ma sono io che ringrazio per il tuo commento, visto che con il Trebbiano di maestro Edoardo hai perlomeno il doppio dei miei assaggi.


Non vi preoccupate che ci penso io a ristabilire la media glicemica della paginata... :twisted:

Da qualche tempo, come ho detto già in qualche altro intervento, per me questo aspetto
l'oste ha scritto:per la sua unicità e particolarità non ha altri bianchi a cui fare riferimento se non sè stesso in altre annate

rappresenta oggi più un limite che una fonte di ammirata devozione come fu fino a non molti anni fa.

Mi si passi l'ardito parallelo, soffro oggi della stessa stanchezza intellettuale e culturale che si può soffrire di fronte alla diversità da tutti gli altri epperò sempre uguale a sé stessa che si trova conoscendo i vitigni aromatici. Alla fine per quanto l'approccio prometta tutte le suadenti dolcezze del mondo, il fondo del sorso è sempre amaro, e già visto.

Ora, da abbastanza (molto) vecchi i Trebbiano del Maestro sono sempre e comunque grandi vini, ma quanto in loro sopravvive di questa caratteristica mi rimane anch'esso un minimo ostacolo, e non come già detto e ripetuto una fonte di delizia in più.

Mi viene a mancare cioè la possibilità di triangolazione culturale con altri vini dello stesso vitigno, della stessa zona, della stessa annata, che sono l'essenza della cultura del vino. Paradossalmente, essendo in realtà per natali e consapevolezza stilistica il Trebbiano di Valentini uno dei pochi vini davvero colti d'Italia, che contro ogni cosa pur calando l'ammirazione continuo comunque ad amare.




io vedo questo "immobilismo", questo restar sempre magistralmente uguali a se stessi nel tempo, come una gran dote, un perfetto esercizio di stile.
una cosa è stufarsi di un vitigno aromatico che resta sempre uguale a quello che è il suo dna, ben altra cosa invece è vedere un maestro che "traghetta" il dna di un trebbiano attraverso le rapide del tempo, del clima, del terroir pur lasciandolo sempre intatto, sempre al suo massimo splendore.
il trebbiano di valentini è metafisico
..quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d'artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno «Oooooh!»..
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda l'oste » 29 dic 2010 05:25

Dedalus ha scritto:
l'oste ha scritto:
slow ciccio ha scritto:
l'oste ha scritto:Trebbiano Valentini 1995
... per la sua unicità e particolarità non ha altri bianchi a cui fare riferimento se non sè stesso in altre annate. Non mi sembra un dettaglio.
Penso che il Trebbiano di Valentini sia un vino semplice, come quello del contadino, ma con tatto raffinato ed un ventaglio olfattivo ricco quanto delicato.
...
Ci sono i profumi delicati, i "suoi varietali" di fiori secchi, camomilla ed erbe fini, che spesso ho trovato in questo vino, ma ancora una volta mi colpisce soprattutto quella forte presenza di essenzialità, anche sul palato che questo vino sa offrire. Elegante anche senza vestiti olfattivi sgargianti e densi, con quel "sapore" da vino nuovo che sta nei ricordi d'infanzia.

Descrizione fulminante.
Grazie Andrea.

Non per fare le belle statuine che fanno le riverenze, ma sono io che ringrazio per il tuo commento, visto che con il Trebbiano di maestro Edoardo hai perlomeno il doppio dei miei assaggi.


Non vi preoccupate che ci penso io a ristabilire la media glicemica della paginata... :twisted:

Da qualche tempo, come ho detto già in qualche altro intervento, per me questo aspetto
l'oste ha scritto:per la sua unicità e particolarità non ha altri bianchi a cui fare riferimento se non sè stesso in altre annate

rappresenta oggi più un limite che una fonte di ammirata devozione come fu fino a non molti anni fa.

Mi si passi l'ardito parallelo, soffro oggi della stessa stanchezza intellettuale e culturale che si può soffrire di fronte alla diversità da tutti gli altri epperò sempre uguale a sé stessa che si trova conoscendo i vitigni aromatici. Alla fine per quanto l'approccio prometta tutte le suadenti dolcezze del mondo, il fondo del sorso è sempre amaro, e già visto.

Ora, da abbastanza (molto) vecchi i Trebbiano del Maestro sono sempre e comunque grandi vini, ma quanto in loro sopravvive di questa caratteristica mi rimane anch'esso un minimo ostacolo, e non come già detto e ripetuto una fonte di delizia in più.

Mi viene a mancare cioè la possibilità di triangolazione culturale con altri vini dello stesso vitigno, della stessa zona, della stessa annata, che sono l'essenza della cultura del vino. Paradossalmente, essendo in realtà per natali e consapevolezza stilistica il Trebbiano di Valentini uno dei pochi vini davvero colti d'Italia, che contro ogni cosa pur calando l'ammirazione continuo comunque ad amare.

L'osservazione ci sta tutta, in effetti se per metafora atterrassi in una pianeta alieno in cui gli abitanti sono alti un metro e mezzo e hanno le gambe lunghe 5 centimetri ma giocano appassionatamente a basket, divento Micheal Jordan.

Capisco che con vini come il Trebbiano (ma vale per scrittori, musicisti, attori) subentri una specie di stanchezza intellettuale, pur riconoscendone la grandezza disturba il non-genere e l'ovvio ma limitato autoinseguimento.
La mancanza di una possibile pietra di paragone in bottiglia a parte sè stesso, è un limite geografico e ampelografico, non del vino. Questo limite, per motivi molto simili, dovrebbe allora venire esteso ad altri casi in cui le scelte di vitigno non offrono "triangolazioni culturali" e mettono un po' fuori categoria un dato vino. Mi vengono in mente vini di zone più o meno vocate, come Rayas, Eremita di Palacio, Paleo, Calvari, Es, il Semillon di Boncompagni-Ludovisi...
Fino a venti anni fa lo stesso Sassicaia o il Pergole Torte non avevano identici riferimenti di zona, essendo stati guide seminali e fondatori, anche se per vie differenti.
Tirandolo per la barba anche il...Barbacarlo non è di facile collocazione di genere, essendo esso stesso l'originale, l'imago, la first issue del genere stesso. Per estremo paradosso, persino la tipologia amarone non ha in ambito nazionale e internazionale altri references, se non lo sfursat, unicamente per la tecnica simile.

Quello che può accomunare le scelte dei produttori citati è riferirsi ad un'altra pietra di paragone che non può essere geo-ampelografica bensì sensoriale.
E' il nostro piacere la pietra liscia del paragone, è per questo che si parla di questi vini, perchè sono vini piaciuti a molti. Sono "fuori categoria", ma in francese.
Di questi vini "inconsueti" si narrano le note, si mettono in fila verticali tra appassionati e nascono anche mezzi aloni di leggenda, proprio perchè inimitati, anche se nell'intimo si spera sempre che altri seguano la loro strada per arricchire il nostro piacere.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda slow ciccio » 29 dic 2010 12:29

Andrea, Rossano, per me un vino è davvero grande quando riesce a tirar fuori pensieri come i vostri.

Grazie veramente.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda silvia23 » 29 dic 2010 19:11

slow ciccio ha scritto:Andrea, Rossano, per me un vino è davvero grande quando riesce a tirar fuori pensieri come i vostri.

Grazie veramente.


per me ci vuole pure la materia prima che produce i pensieri....oltre al vino!
"Il panino con la mortadella è il generico del Prozac."

"Trovo che stagnolare Vatan sia un po' come farlo con Travaglini." - Pippuz
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda slow ciccio » 29 dic 2010 20:48

silvia23 ha scritto:
slow ciccio ha scritto:Andrea, Rossano, per me un vino è davvero grande quando riesce a tirar fuori pensieri come i vostri.

Grazie veramente.


per me ci vuole pure la materia prima che produce i pensieri....oltre al vino!


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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda silvia23 » 29 dic 2010 20:53

slow ciccio ha scritto:
silvia23 ha scritto:
slow ciccio ha scritto:Andrea, Rossano, per me un vino è davvero grande quando riesce a tirar fuori pensieri come i vostri.

Grazie veramente.


per me ci vuole pure la materia prima che produce i pensieri....oltre al vino!


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Tendo a ribadire l'ovvio.
Pardon.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Dedalus » 29 dic 2010 21:34

l'oste ha scritto:La mancanza di una possibile pietra di paragone in bottiglia a parte sè stesso, è un limite geografico e ampelografico, non del vino. Questo limite, per motivi molto simili, dovrebbe allora venire esteso ad altri casi in cui le scelte di vitigno non offrono "triangolazioni culturali" e mettono un po' fuori categoria un dato vino. Mi vengono in mente vini di zone più o meno vocate, come Rayas, Eremita di Palacio, Paleo, Calvari, Es, il Semillon di Boncompagni-Ludovisi...
Fino a venti anni fa lo stesso Sassicaia o il Pergole Torte non avevano identici riferimenti di zona, essendo stati guide seminali e fondatori, anche se per vie differenti.
Tirandolo per la barba anche il...Barbacarlo non è di facile collocazione di genere, essendo esso stesso l'originale, l'imago, la first issue del genere stesso. Per estremo paradosso, persino la tipologia amarone non ha in ambito nazionale e internazionale altri references, se non lo sfursat, unicamente per la tecnica simile.


Capisco bene il motivo -il tratto comune con il Trebbiano di Valentini- che ti porta ad elencare questi produttori, ma l'argomento che mi vado lambiccando nella testa in questi giorni è invece parallelo, e diverso.

Rayas è un vino la cui eccezionalità deriva dalla rarità dell'uvaggio e dalla straordinaria riuscita qualitativa. Ma rimane tipico e riconoscibile come Grenache. Spettro aromatico, impianto strutturale, comportamento evolutivo, rapporto con l'ossigeno nel bicchiere... tutto torna ragionevolmente. E torna anche come vino del Rodano.

Lo stesso si può dire di Paleo, Calvari, ES, Semillon Boncompagni Ludovisi. Di Ermita non dico, avendone avuta rarissima frequentazione.

Lo stesso si poteva dire di Sassicaia e Pergole Torte, fino a che non c'erano che pochissimi emuli. Ma proprio qui viene la chiave: ora che invece di vini fatti con lo stesso uvaggio nella stessa zona ce ne sono molti altri, risultano tutti comparabili e riconoscibili come omologhi fra di loro, anche alla cieca.

Il Trebbiano di Valentini di altri vini che sono omologhi per vitigno e territorio ne ha una montagna da quando esiste, di qualità anche alta specie negli ultimi anni, ma nessuno nel bicchiere gli assomiglia, nemmeno lontanamente.

Quanto al Barbacarlo, non è tanto la "first issue" ma l'Highlander della sua tipologia: ne è rimasto solo uno, ma un tempo quello era il modello normale del vino di qualità in zona. Spiccava per qualità, ma non era diverso per tipologia.

Invece l'Amarone è una tipologia a sé, la cui diversità dipende dalla tecnica utilizzata. E' poco diffusa fuori dalle due zone della Valpolicella e della Valtellina, ma dovunque vengano fuori vini fatti allo stesso modo, ritorna la comparabilità specifica. Vedasi il Graticciaia e gli altri Negroamaro appassiti o anche solo surmaturati come il Patriglione.

Per quanto io ami l'interpretazione culturale e anche poetica del vino, specie se di grande interprete e terroir, questo non mi trattiene dall'approcciarlo anche sotto la luce del pragmatico. Anzi, la metafisica e la poesia del vino per quanto mi riguarda hanno ragione di essere solo dopo l'analisi obiettiva. Solo se sopravvive qualcosa, c'è buona ragione per concedersi la trasvolata emotiva, poetica, pindarica.

Altrimenti quello che uno dice del Trebbiano di Valentini, un altro lo può dire di un qualsiasi vino imbrettato e/o ossidato che risulta diverso da tutti gli altri. Eccecredo, che risulta diverso...

Dunque mi chiedo, in conclusione: che cos'è che fa il Trebbiano di Valentini così diverso da qualsiasi altro Trebbiano d'Abruzzo? Di solito le risposte si trovano in tre luoghi, vitigno, vigna, tecnica. Non dovrebbe essere così difficile inquadrare almeno a grandi linee le coordinate di uno dei vini più famosi d'Italia, e provare a replicarle.

Perché nessuno pensa/prova/riesce a farlo uguale?
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda l'oste » 29 dic 2010 22:43

Dedalus ha scritto:Per quanto io ami l'interpretazione culturale e anche poetica del vino, specie se di grande interprete e terroir, questo non mi trattiene dall'approcciarlo anche sotto la luce del pragmatico. Anzi, la metafisica e la poesia del vino per quanto mi riguarda hanno ragione di essere solo dopo l'analisi obiettiva. Solo se sopravvive qualcosa, c'è buona ragione per concedersi la trasvolata emotiva, poetica, pindarica.

Dunque mi chiedo, in conclusione: che cos'è che fa il Trebbiano di Valentini così diverso da qualsiasi altro Trebbiano d'Abruzzo? Di solito le risposte si trovano in tre luoghi, vitigno, vigna, tecnica. Non dovrebbe essere così difficile inquadrare almeno a grandi linee le coordinate di uno dei vini più famosi d'Italia, e provare a replicarle.

Perché nessuno pensa/prova/riesce a farlo uguale?

A prescindere dall'unicità di Valentini, la domanda finale potrebbe valere per molti grandi vini di successo e a "parità" di terroir.
Perchè la Grand Rue che è attaccata a La Tache non gli somiglia pe' niente?
Perchè Collina Rionda è stato un vino assoluto e il Vigna Rionda no?

Per provare a rispondere, credo che in assenza di un terroir particolarmente storico, esteso, comprovato da studi geologici, i motivi per cui il Trebbiano di Valentini è "il Trebbiano di Valentini" siano semplicemente quelli comuni ad altri grandi vini di produzione "artigianale", fatti da un vigneron più che da un proprietario padrone.
Ovvero una "piastrella" di terra buona con esposizione ideale, cura della vigna, selezione nel tempo dei cloni e studio, sperimentazione ed interpretazione del vitigno, rese, selezione alla vendemmia... Naturalemente va aggiunto, perchè è fondamentale anche se non facilmente definibile pragmaticamente, il talento personale, la sensibilità del vignaiolo (e la ricetta segreta che quasi ogni produttore ha ereditato dal passato).
Il paradosso del Trebbiano è per ora quello di essere riconoscibile, seppur tra nessuno.
Se altri produttori di zona non lo fanno così (o così buono), in fondo è un complimento per i Valentini ed uno sprone per coloro che volessero fare un trebbiano di questo tipo.
In questo caso la poesia non c'entra,
Ma non sempre tutto è analizzabile "matematicamente", soprattutto nel vino.
Anche perchè, realisticamente, bisognerebbe aver vissuto con Edoardo e ora con Francesco per fare considerazioni obbiettive, citando tutti i mille dettagli e le decine di fatti che rendono questo produttore e suoi vini diversi e unici.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda vinogodi » 29 dic 2010 22:50

l'oste ha scritto:...Perchè la Grand Rue che è attaccata a La Tache non gli somiglia pe' niente?
Perchè Collina Rionda è stato un vino assoluto e il Vigna Rionda no?

.

... :lol: ... scusa , non è da te fare certi paragoni alla "Chris" . Pur attaccati , La Tache e La Grande Rue sembra abbiano un sottosuolo geologicamente molto ... poco simile ; il merito di Collina Rionda è dato dal fatto che l'abbia "creata" il povero Canale , vero artista vigneron , nel bene e nel male ... e un vino assoluto non lo è mai stato , anche se a qualcuno ha fatto e fa vedere visioni mistiche ...
PS: in certe annate splendido e struggente vino , niente da dire...
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda l'oste » 29 dic 2010 23:12

vinogodi ha scritto:
l'oste ha scritto:...Perchè la Grand Rue che è attaccata a La Tache non gli somiglia pe' niente?
Perchè Collina Rionda è stato un vino assoluto e il Vigna Rionda no?

.

... :lol: ... scusa , non è da te fare certi paragoni alla "Chris" . Pur attaccati , La Tache e La Grande Rue sembra abbiano un sottosuolo geologicamente molto ... poco simile ; il merito di Collina Rionda è dato dal fatto che l'abbia "creata" il povero Canale , vero artista vigneron , nel bene e nel male ... e un vino assoluto non lo è mai stato , anche se a qualcuno ha fatto e fa vedere visioni mistiche ...
PS: in certe annate splendido e struggente vino , niente da dire...

Ma è appunto per questo che ho fatto due esempi così diversi, poichè all'unicità di un dato vino corrispondono infiniti altri aspetti, anche se esteriormente (vedi Grand Rue e LT) vengono dallo stesso vitigno e sono "vicini".
Idem per il discorso sul Collina Rionda (e potenzialmente su altri vini), altro caso in cui il talento di un "artista" ha permesso di raggiungere vette più alte e diverse da altri manici.
L'unicità del trebbiano di Valentini nel suo comprensorio geografico e come trebbiano tout court dipende da molti fattori vitivinicoli. Ma soprattutto è così perchè è fatto (inventato?) da Valentini.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Dedalus » 30 dic 2010 01:40

l'oste ha scritto:
Dedalus ha scritto:Per quanto io ami l'interpretazione culturale e anche poetica del vino, specie se di grande interprete e terroir, questo non mi trattiene dall'approcciarlo anche sotto la luce del pragmatico. Anzi, la metafisica e la poesia del vino per quanto mi riguarda hanno ragione di essere solo dopo l'analisi obiettiva. Solo se sopravvive qualcosa, c'è buona ragione per concedersi la trasvolata emotiva, poetica, pindarica.

Dunque mi chiedo, in conclusione: che cos'è che fa il Trebbiano di Valentini così diverso da qualsiasi altro Trebbiano d'Abruzzo? Di solito le risposte si trovano in tre luoghi, vitigno, vigna, tecnica. Non dovrebbe essere così difficile inquadrare almeno a grandi linee le coordinate di uno dei vini più famosi d'Italia, e provare a replicarle.

Perché nessuno pensa/prova/riesce a farlo uguale?

A prescindere dall'unicità di Valentini, la domanda finale potrebbe valere per molti grandi vini di successo e a "parità" di terroir.
Perchè la Grand Rue che è attaccata a La Tache non gli somiglia pe' niente?
Perchè Collina Rionda è stato un vino assoluto e il Vigna Rionda no?


Non riesco a farmi capire.

La Grand Rue è diverso da La Tache per qualità, ma entrambi sono chiaramente Pinot Noir di Borgogna. Condividono lo stesso modello di tipicità, mi dispiace ripetermi pedissequamente, ma hanno lo stesso tipo di spettro aromatico, impianto strutturale, comportamento evolutivo, rapporto con l'ossigeno nel bicchiere. Non identico, ma lo stesso tipo: quello che tutti abbiamo imparato a riconoscere come quello del Pinot Noir di Borgogna. Se te li danno alla cieca dici subito: "due Pinot Noir di Borgogna", in seconda battuta "uno più e uno meno buono", in terza ti dilunghi sulle varie caratteristiche di dettaglio etcetera.

Idem per il Collina Rionda e il Vigna Rionda di Massolino, mutatis mutandis.

Con il Trebbiano di Valentini non va così.

Se per assurdo uno avesse assaggiato tutti i Trebbiano d'Abruzzo esistenti delle ultime 30 annate tranne quello di Valentini, e gli si dessero alla cieca un qualunque Trebbiano d'Abruzzo e quello di Valentini, ti direbbe che sono un Trebbiano d'Abruzzo ed un vino di cui non ha mai sentito l'uguale in vita sua.

Il Trebbiano di Valentini non fa la tipicità del Trebbiano d'Abruzzo. Può rappresentarne l'eccellenza, ma la tipicità no, essendo assolutamente eccentrico rispetto alla categoria di riferimento sotto qualsiasi punto di riferimento.

Dunque mi chiedo: cos'è che lo rende totalmente diverso da qualsiasi altro Trebbiano d'Abruzzo? A prescindere dal fatto che uno sia contento che sia diverso, a prescindere dal fatto che Edoardo e Francesco Valentini siano da ascrivere senza dubbio alla razza eccelsa dei pochissimi grandi veri vigneron italiani, è un vitigno/clone diverso, come qualcuno dice tirando in ballo il Bombino? E' qualcosa di unico che caratterizza pedoclimaticamente le vigne dei Valentini, cosa difficile perché le vigne sono vaste e mi risulta che il Trebbiano sia una selezione di vendemmia e non una vigna unica? E' qualche prassi particolare e magari segreta che riguarda la vinificazione o l'invecchiamento, come è evidente considerando ad esempio la carbonica sempre intenzionalmente presente in questo vino?

Ripeto il concetto: per me la poetica del grande vino capace di affermarsi nell'unicità dello stile ha senso quando si può capire che bestia sia, tracciandone le generali coordinate di terroir: vitigno, vigna, tecnica produttiva. Altrimenti è un gioco diverso, che rincorre, coltiva e crea l'estro dell'incomprensibile, che finisce per naufragare nell'esaltazione dell'etichetta prestigiosa o carismatica, ma senza aumentare la conoscenza e la comprensione del vino.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Pigigres » 30 dic 2010 05:06

Sono troppo stanco per fare un pensiero argomentato, dico solo una cosa veloce. Mi sembra di capire che qui cade un parametro valutativo del vino, che è esattamente ciò che si intende per tipicità. Tipicità intesa appunto come insieme di fattori che all'assaggio fanno riconoscere il vino all'interno di una ben definita zona geografica/temporale/stilistica. La vera domanda da farsi forse non è "perché nessuno riesce a replicare quel vino?", bensì credo "quanto quest'aspetto conta nel vino?", ovvero "quanto ci interessa questo parametro?". E qui... :roll: :D
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda l'oste » 30 dic 2010 07:12

Dedalus ha scritto:Non riesco a farmi capire.

La Grand Rue è diverso da La Tache per qualità, ma entrambi sono chiaramente Pinot Noir di Borgogna. Condividono lo stesso modello di tipicità, mi dispiace ripetermi pedissequamente, ma hanno lo stesso tipo di spettro aromatico, impianto strutturale, comportamento evolutivo, rapporto con l'ossigeno nel bicchiere. Non identico, ma lo stesso tipo: quello che tutti abbiamo imparato a riconoscere come quello del Pinot Noir di Borgogna. Se te li danno alla cieca dici subito: "due Pinot Noir di Borgogna", in seconda battuta "uno più e uno meno buono", in terza ti dilunghi sulle varie caratteristiche di dettaglio etcetera.

Idem per il Collina Rionda e il Vigna Rionda di Massolino, mutatis mutandis.

Con il Trebbiano di Valentini non va così.

Se per assurdo uno avesse assaggiato tutti i Trebbiano d'Abruzzo esistenti delle ultime 30 annate tranne quello di Valentini, e gli si dessero alla cieca un qualunque Trebbiano d'Abruzzo e quello di Valentini, ti direbbe che sono un Trebbiano d'Abruzzo ed un vino di cui non ha mai sentito l'uguale in vita sua.

Il Trebbiano di Valentini non fa la tipicità del Trebbiano d'Abruzzo. Può rappresentarne l'eccellenza, ma la tipicità no, essendo assolutamente eccentrico rispetto alla categoria di riferimento sotto qualsiasi punto di riferimento.

Ho capito cosa intendevi, spostavo da un'altra visuale, più ampia forse dispersiva.
Bisognerebbe capire quale sia la tipicità del trebbiano d'Abruzzo, tenendo presente che "il termine trebbiano è usato per identificare un'intera famiglia di vitigni, forse la più grande e diversificata tra quelle conosciute tanto da raccogliere varietà che non hanno generalmente alcuna affinità tra loro [...] Le grandi differenze evidenziate da ogni singola varietà non permettono di tratteggiare delle caratteristiche comuni per i vini prodotti nelle diverse zone d'Italia" (cit. da "I vitigni f'Italia", Slow Fodd).

Dedalus ha scritto:Dunque mi chiedo: cos'è che lo rende totalmente diverso da qualsiasi altro Trebbiano d'Abruzzo? A prescindere dal fatto che uno sia contento che sia diverso, a prescindere dal fatto che Edoardo e Francesco Valentini siano da ascrivere senza dubbio alla razza eccelsa dei pochissimi grandi veri vigneron italiani, è un vitigno/clone diverso, come qualcuno dice tirando in ballo il Bombino? E' qualcosa di unico che caratterizza pedoclimaticamente le vigne dei Valentini, cosa difficile perché le vigne sono vaste e mi risulta che il Trebbiano sia una selezione di vendemmia e non una vigna unica? E' qualche prassi particolare e magari segreta che riguarda la vinificazione o l'invecchiamento, come è evidente considerando ad esempio la carbonica sempre intenzionalmente presente in questo vino?

E' legittimo chiedersi come mai quello di Valentini sia così unico in mezzo agli altri trebbiano, anche della stessa zona.
Ma come già detto, solo Francesco Valentini possiede la memoria storica dell'azienda e delle vigne.


Dedalus ha scritto:Ripeto il concetto: per me la poetica del grande vino capace di affermarsi nell'unicità dello stile ha senso quando si può capire che bestia sia, tracciandone le generali coordinate di terroir: vitigno, vigna, tecnica produttiva. Altrimenti è un gioco diverso, che rincorre, coltiva e crea l'estro dell'incomprensibile, che finisce per naufragare nell'esaltazione dell'etichetta prestigiosa o carismatica, ma senza aumentare la conoscenza e la comprensione del vino.

Non sono d'accordo su questo.
Del Mosen Cleto 1955 (vitigno Carinena) bevuto da vinogodi, sapevo nulla o poco più, conoscere le coordinate diventa difficili con zone minori e a 50 anni di distanza. Nondimeno è stato un vino eccezionale per l'emozione che mi hanno dato i suoi sapori e profumi, che per alcune sfumature non avevo provato prima e pur essendo certamente atipico, ha arrichito la mia esperienza, conoscenza e comprensione del vino.
E anche se un'intreressante discussione non riuscirà a svelare perchè il trebbiano di Valentini sia diverso da tutti gli altri, il "mistero" non è sufficiente per farmi percepire come "minore" questo vino, andrei contro i miei sensi.
Fondamentalmente è chiaro che mi interessa di più che sia così, che non perchè lo sia.
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Messaggioda Kalosartipos » 30 dic 2010 10:24

l'oste ha scritto:Del Mosen Cleto 1955

1953
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Messaggioda hansen » 30 dic 2010 11:59

Il discorso vale anche sul "suo"Montepulciano nelle annate mature(sempre però sperando di non beccar la bottiglia sfortunata) ricordo che il 77 alla cieca era indovinabile poteva ricordare un austero morey-saint denis con una bocca alla biondi santi, alla fine quello che conta è cosa ti rimane dentro ed anche se non è tipico o simile ad altri non mi frega più di tanto
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda vinogodi » 30 dic 2010 12:06

... beh , esempi di "atipicità" potremmo scovarne in ogni angolo del mondo , e sempre con grande godimento alla faccia di qualsiasi considerazione su riconoscibilità o tipicità nel contesto di tradizione locale . Qualche esempio?
- Che "tipicità" ha Pingus?
- Che territorialità Chateau de Valandraud o La Mondotte ?
- E Hommages a Jaques Perrin cosa c'entra con CNDP ?
- Ma Monfortino è davvero tipico di Serralunga?
PS: continuo? ...
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Pigigres » 30 dic 2010 14:24

vinogodi ha scritto:... beh , esempi di "atipicità" potremmo scovarne in ogni angolo del mondo , e sempre con grande godimento alla faccia di qualsiasi considerazione su riconoscibilità o tipicità nel contesto di tradizione locale . Qualche esempio?
- Che "tipicità" ha Pingus?
- Che territorialità Chateau de Valandraud o La Mondotte ?
- E Hommages a Jaques Perrin cosa c'entra con CNDP ?
- Ma Monfortino è davvero tipico di Serralunga?
PS: continuo? ...


Pur essendo d'accordo che esistono tanti esempi analoghi al caso in questione, faccio notare che gli esempi che hai citato non sono pertinenti, o meglio, sicuramente non lo è Monfortino, gli altri non so. Se uno beve alla cieca Monfortino per la prima volta nella sua vita, supponendo che abbia una buona conoscenza della denominazione, dice "Barolo". Quindi non è proprio la stessa cosa.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Dedalus » 30 dic 2010 15:10

Pigigres ha scritto:
vinogodi ha scritto:... beh , esempi di "atipicità" potremmo scovarne in ogni angolo del mondo , e sempre con grande godimento alla faccia di qualsiasi considerazione su riconoscibilità o tipicità nel contesto di tradizione locale . Qualche esempio?
- Che "tipicità" ha Pingus?
- Che territorialità Chateau de Valandraud o La Mondotte ?
- E Hommages a Jaques Perrin cosa c'entra con CNDP ?
- Ma Monfortino è davvero tipico di Serralunga?
PS: continuo? ...


Pur essendo d'accordo che esistono tanti esempi analoghi al caso in questione, faccio notare che gli esempi che hai citato non sono pertinenti, o meglio, sicuramente non lo è Monfortino, gli altri non so. Se uno beve alla cieca Monfortino per la prima volta nella sua vita, supponendo che abbia una buona conoscenza della denominazione, dice "Barolo". Quindi non è proprio la stessa cosa.


Sono abbastanza d'accordo su Monfortino. Se non è riconoscibile come Barolo il Monfortino andiamo tutti a casa. Sull'influenza della singola vigna o del microterroir contro la mano del produttore ha parlato recentemente Armando, fra gli altri. Che sia perfettamente riconoscibile come Barolo di Serralunga o meno è affare controverso, ma rimane compatibile con la cultura dell'assaggio dei vini di Barolo, questo è importante. Intreccia cioé una serie di rimandi e contrasti tutti compatibili con il modello astratto ma riconoscibile che ogni appassionato può farsi della denominazione. Il Trebbiano di Valentini no.

Pingus non l'ho mai assaggiato, quindi passo. Valandraud, verificato in cantina a Saint Emilion, ha la territorialità del troppo legno, del troppo concetratore ad osmosi ed altre lavorazioni piuttosto impattanti, imho. La Mondotte del troppo maturo, imho. Ma entrambi sono perfettamente interpretabili come vini della loro zona, contrassegnati da particolari lavorazioni note e riconoscibili. Il Trebbiano di Valentini no.

Con l'Hommage a Jacques Perrin forse ci avviciniamo, pare si tratti di brett, ma non è chiaro. Ecco, un altro caso simile al Trebbiano di Valentini potrebbe essere questo qui. Nel caso di Chateau de Beaucastel c'è l'appoggio non piccolo degli altri vini della casa a rendere più accessibile ed interpretabile il "mistero" dell'Hommage, mentre lo splendido isolamento anche interno della linea di Valentini, che fa un solo bianco, un solo rosato ed un solo rosso, serra ancora di più le porte intorno al "mistero".
Ultima modifica di Dedalus il 30 dic 2010 15:43, modificato 1 volta in totale.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Dedalus » 30 dic 2010 15:26

l'oste ha scritto:E anche se un'intreressante discussione non riuscirà a svelare perchè il trebbiano di Valentini sia diverso da tutti gli altri, il "mistero" non è sufficiente per farmi percepire come "minore" questo vino, andrei contro i miei sensi.
Fondamentalmente è chiaro che mi interessa di più che sia così, che non perchè lo sia.


Qui arriviamo al punto focale, anche se il divertente sta in realtà nell'indagine concreta.

I miei sensi mi dicono che il vino è così, e ne godo quanto te. Sono storicamente uno dei più convinti ed appassionati sostenitori di questi vini, credo sia utile ricordarlo spesso.

Però se ai miei sensi poco ne cale se mi manca il perché, alla fetta raziocinante del mio cervello invece sì che glie ne cale.

La fetta raziocinante del mio cervello non prende mica poca parte nel godimento complessivo del vino. E' infatti l'unica capace di spiegarmi perché do tanta importanza alle delizie dei sensi che vengono da un bicchiere di vino, mentre altre delizie saranno pure altrettanto piacevoli, persino di più, ma alla fine meno appassionanti. E' la famosa e sempre invocata componente culturale del vino, senza la quale il vino sarebbe solo una bevanda più o meno moderatamente alcolica come tante altre.

Non fosse per questo genere di perché, se bastasse il solo piacere dei sensi in quanto tale, sarebbe allora perfettamente legittimo produrre il vino con la logica industriale dell'addizione di ingredienti di diversa origine e natura con cui si produce la Coca Cola.

Il "mistero" è evocativo e può aggiungere fascino, ma oltre un certo limite è nemico della comprensione, e può rappresentare un impedimento non piccolo al pieno godimento del vino, che è complesso e stratificato per definizione, ed è proprio questa la radice del suo fascino. Se i conti non tornano con il vitigno, la zona e le tecniche, allora la curiosità di farmi un'idea almeno generale intorno a questa diversità assume un ruolo centrale. Se questa diversità non me la spiego nemmeno a grandi linee, per me alla fine il Trebbiano di Valentini finisce per essere una monade isolata dal tessuto vitale di relazioni complesse e sfumate che fanno l'intelligenza del vino: il terroir. E' qui la radice della passione, e se il Trebbiano di Valentini rimane del tutto sfuggente a questo tipo di comprensione, finisce per essere non un vero vino di terroir (per me l'unico vino che mi interessi davvero), ma una bevanda moderatamente alcolica che sa di Trebbiano di Valentini. Buona ed intrigante, ma finita lì.

Nota importante: la metto giù netta e dura più per spiegare con maggior chiarezza i miei dubbi, che per dare un ritratto davvero calzante del vino in questione.
Ultima modifica di Dedalus il 30 dic 2010 15:53, modificato 1 volta in totale.
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Re: CRONACHE D'OSTERIA

Messaggioda Pigigres » 30 dic 2010 15:43

Dedalus ha scritto:
l'oste ha scritto:E anche se un'intreressante discussione non riuscirà a svelare perchè il trebbiano di Valentini sia diverso da tutti gli altri, il "mistero" non è sufficiente per farmi percepire come "minore" questo vino, andrei contro i miei sensi.
Fondamentalmente è chiaro che mi interessa di più che sia così, che non perchè lo sia.


Qui arriviamo al punto focale, anche se il divertente sta in realtà nell'indagine concreta.

I miei sensi mi dicono che il vino è così, e ne godo quanto te. Sono storicamente uno dei più convinti ed appassionati sostenitori di questi vini, credo sia utile ricordarlo spesso.

Però se ai miei sensi poco ne cale se mi manca il perché, alla fetta raziocinante del mio cervello invece sì che glie ne cale.

La fetta raziocinante del mio cervello non prende mica poca parte nel godimento complessivo del vino; infatti prende parte assolutamente maggioritaria nello spiegare perché ha senso dare tanta importanza alle delizie dei sensi che vengono da un bicchiere di vino, mentre altre delizie saranno pure altrettanto piacevoli, ma alla fine meno appassionanti. Spiega cioè il ruolo della famosa componente culturale del vino, senza la quale il vino sarebbe solo una bevanda più o meno moderatamente alcolica, e poco altro.

Non fosse per questo genere di perché, allora sarebbe perfettamente legittimo comporre il vino con la logica con cui si produce la Coca Cola, ed anche un'ormai non piccola sedicente parte del vino di qualità. Caso che evidentemente non riguarda affatto Valentini, anzi potrei dire che è uno di quei casi concreti in cui si capisce cosa significa che gli opposti si toccano.

Rimane però l'impedimento alla comprensione. Se i conti non tornano con il vitigno, la zona e le tecniche, allora la curiosità di farmi un'idea almeno generale intorno a questa diversità assume un ruolo centrale. Se non me la spiego, per me alla fine il Trebbiano di Valentini finisce per essere una monade isolata dal tessuto vitale di relazioni complesse e sfumate che fanno l'intelligenza del vino, la radice della passione, e finisce per essere non un vero vino di terroir (per me l'unico vino che mi interessi davvero), ma una bevanda moderatamente alcolica che sa di Trebbiano di Valentini. Buona ed intrigante, ma finita lì.


Quindi, per rispondere alla domanda che facevo, mi sembra di capire che per te la componente della "riconoscibilità" sia fondamentale nell'approccio al vino; anzi, è quella componente che permette il passaggio dalla semplice dimensione edonistica, dal piacere fisico fine a se stesso, alla dimensione cultural/antropologica, assai più interessante, che permette di guardare al vino non solo come ad una corrispondenza immediata dei sensi, ma anche come qualcosa che può arrivare ai livelli più alti del nostro essere umano.

Se così, molto interessante, devo rifletterci su.
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