Leopardi e uccellini
(Diego Formia)
Prendi un campione, digli che l’ami, lascia che ti esalti per ore,
Mandagli cori e poesie, dagli anche spremute di cuore,
Fa’ sentire che è molto importante, idolatralo da vero ultrà,
Cerca di essere un tenero amante, ma fuori dal campo nessuna pietà.
Leopardi e uccellini
(Dei felini e dei volatili)
Sembra incredibile.
Siamo ben dentro il nuovo millennio e c’è ancora qualche frolloccone che dà retta alle profezie di un pataccaro provenzale come Nostradamus.
Oggi più che mai stormi di studiosi si immergono nell’interpretazione delle sue vaghe e confuse quartine in rima, nella speranza (vana) di trarne indicazioni profetiche buone per interpretare la realtà quotidiana e/o azzeccare un sei al superenalotto in un prossimo futuro.
Stupisce come nessuno si sia ancora accorto che le profezie più incredibili, le ha formulate un altro poeta. E che le sue visioni in versi si verifiano punto per punto con precisione impressionante.
Il vero profeta lirico era un italiano. Appassionato di calcio. Ed era irrimediabilmente gobbo.
IL PASSERO SOLITARIO
Giacomo Leopardi (Canti,1829)
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Fin dal titolo, il poeta ci indica a chiare lettere il destinatario della sua profezia.
Si tratta evidentemente di Alessandro Del Piero, in questa come in altre liriche completamente identificato (trasfigurato, verrebbe da dire) con l’uccellino che lo accompagna negli spot Uliveto.
Leopardi non si fa pregare per andarci giù pesante. Dal suo osservatorio privilegiato, in cima alla "torre antica", e quindi presumibilmente ubicato al Dall’Ara di Bologna (sulla torre in mattoni, che torreggia da par suo sui distinti centrali), oppure al vecchio Comunale di Torino (sulla leggendaria Torre Maratona), punta subito il dito contro le discutibili prestazioni di un Del Piero in parabola discendente. Sotto accusa appare soprattutto la resa del numero 10 bianconero nelle partite in notturna: quelle, guarda caso, di Champions’ League. Perché se "finché non more il giorno" Alex va cantando (e magari portando pure la croce, sembra darci maliziosamente ad intendere il Leopardi, con un’allusione che tira in ballo l’inconsistenza offensiva delle Juve), i problemi nascono con l’arrivo delle tenebre. È allora che il nostro tenero amico "erra", cioè sbaglia: sbaglia occasioni incredibili, sbaglia passaggi, sbaglia troppo. Fino a incrinare irrimediabilmente la coesione dello spogliatoio ("l’armonia"), che il poeta ci presenta come profondamente diviso, addirittura da una "valle", tra amici e nemici di Alex.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore
Dunque siamo in piena primavera. La magica stagione in cui sui terreni di gioco sbocciano nuove zolle e si decidono scudetti e coppe. A Del Piero sembra dischiudersi un mondo di opportunità. Tutti hanno il cuore intenerito, cioè appaiono ben disposti, nei suoi confronti: i giornalisti sportivi (le greggi che belano), come le mandrie di procuratori e di direttori generali (gli armenti che "muggiscono", vale a dire si esprimono nel linguaggio proprio di Luciano Moggi).
Il campionato attraversa una fase molto incerta, con una classifica quanto mai insolita che vede primeggiare Lazio, Perugia, Genoa, L’Aquila e tutte le squadre simboleggiate da un volatile ("gli altri augelli… a gara insieme"). Tutte hanno la consapevolezza di vivere una stagione irripetibile ("il lor tempo migliore"), e sciorinano un gioco spettacolare ed estremamente dinamico ("…fan mille giri").
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
In questo scenario idilliaco irrompe in tutta la sua drammaticità la figura di un Del Piero cupo ed emarginato. A dispetto delle premesse, infatti, il povero Pinturicchio è relegato in panchina. Non ci è dato sapere se per scelta tecnica o per infortunio. Fatto sta che non può essere altro che spettatore lontano e distaccato delle gesta altrui ("…in disparte il tutto miri").
Solo, forse abbandonato ("non compagni"), sicuramente triste ("non ti cal d’allegria"), Alex schiva gli spassi, vale a dire rifiuta persino il classico torello con gli altri panchinari nel corso dell’intervallo. Si sente in forma come non mai ("…di tua vita il più bel fiore"), ma non riesce a trovare lo spazio che meriterebbe. Così finisce per dedicarsi al canto. Cinguettando presumibilmente qualcosa degli Eagles.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore
La verità comincia a fare capolino. Qualcuno che indossa la stessa maglia di Del Piero ("quanto somiglia al tuo costume il mio" è un chiaro riferimento alla divisa da gioco) gli insidia il posto da titolare. Addirittura lo dileggia (l’impietoso chiamare in causa "sollazzo e riso").
Si tratta indubbiamente di un giovane, dal momento che Leopardi ci dice che la sua età è "novella", del quale potrebbe anche darsi che il nostro sia invaghito (l’ambiguo riferimento all’amore). Ma sulla sua identità gli esegeti si dividono. Secondo i più, l’espressione "german di giovinezza" che lo tratteggia autorizza a pensare che si tratti di un attaccante proveniente da un vivaio tedesco (Klose?). Ma appare suggestivamente sostanziata l’ipotesi che individua il misterioso rivale in Cassano, i cui biondi capelli lo fanno assomigliare a un "germano".
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio
La tragedia umana e sportiva si arricchisce qui di una nuova, pesante tematica, che tormenta e fa sospirare Del Piero. È impossibile infatti non collegare il passo sui "provetti giorni" al coinvolgimento nel noto processo sul doping alla Juventus (il periodo delle flebo e, appunto, delle provette). È difficile non vedere dietro l’espressione "Non curo, io non so come" l’ombra inquietante di un Dottor Agricola che si disinteressava della pratica terapeutica ordinaria per dedicarsi completamente alla sperimentazione di nuovi cocktail farmacologici sui giocatori.
In un sussulto di coscienza, Alex sembra meditare la clamorosa rescissione del contratto ("Quasi fuggo lontano"), per rifugiarsi nel suo paese d’origine (il "loco natio").
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
A questo punto, la sofferenza sembra divorare Del Piero fino ad assumere proporzioni sempre più vistose. Come la primavera che passa, come il giorno che cede alla sera, anche la sua età e la sua freschezza atletica scorrono via veloci.
E c’è addirittura chi se ne rallegra festeggiando, nello stesso suo "borgo" (il paese natìo di cui sopra, o forse Casa Italia, secondo gli studiosi più maligni).
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Alex ha un disperato bisogno di scaricare le tensioni che lo squassano e ritrovare serenità. Dalle opulente case (qui definite ville) di altri calciatori di primo piano gli giunge eco dell’esistenza di un luogo che sembra fatto apposta per alleviare lo stress dei grandi professionisti. Trattasi del centro benessere torinese "Viva Lain", noto per offrire ai giocatori un’ampia gamma di massaggi effettuati da personale femminile qualificatissimo e dalla voce melodiosa ("suon di squilla"). Se necessario con l’ausilio di coadiuvanti assai fantasiosi (le "ferree canne" che tuonano).
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Arriva la domenica. I giovani ultrà juventini, equipaggiati di tutto punto, sciamano per le strade diretti allo stadio. Come spesso accade si innescano tafferugli e sassaiole, che si svolgono secondo quella squallida ritualità che Leopardi si premura di stigmatizzare ironicamente. La teppaglia juventina "mira ed è mirata", ma vive lo scontro come una manifestazione quasi positiva di esuberanza e spirito guerriero. Tant’è che "in cor s’allegra".
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Come Del Piero, anche Leopardi si trova isolato in campagna. Al momento di uscire per recarsi alla partita di pallacorda (il gioco di cui si diletta), ha l’illuminazione decisiva sulla sorte che attende l’uomo-simbolo della Juve. Ci pensa un po’ su, volge lo sguardo in direzione dell’Aprica, nota località sciistica valtellinese, e finalmente comprende.
Colpito in piena fronte da un raggio del sole che cala tra le montagne distanti, si lancia in un’ardita associazione di idee. Se il sole cala sulle nostre montagne, dovrà per forza sorgere su altri, più remoti rilievi. Soffermandosi su questi semplici elementi (comunque molti più di quelli sui quali si basi una qualsiasi previsione di Maurizio Mosca), il poeta formula quindi la sua sorprendente profezia sul futuro prossimo di Alex ("indugio in altro tempo"): il campione la cui "beata gioventù vien meno" (e ridagli…), concluderà la sua carriera in Giappone, il paese del Sol Levante e del monte Fuji, appunto.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
Del Piero partirà "solingo", cioè da solo (e chissà se questo significa che a pochi mesi dal matrimonio si separerà) e una volta a Tokio saranno le stelle a dargli da vivere. Questo significa che chiederà ospitalità, vitto, alloggio e paghetta settimanale in yen a qualche celebrità locale: Nakata, un paio di ballerine di Gwen Stefani, Shingo Tamai.
In pratica andrà a scrocco, senza dolersene, senza provare vergogna alcuna. Un costume, un abitudine che dev’essere molto radicata in Alex, tanto da farlo sentire certo del successo del suo piano. Il suo segreto? A quanto pare riesce a fare il parassita con la massima naturalezza. E se proprio viene messo alle strette ne esce facendo il vago.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro
Com’era lecito aspettarsi, Leopardi prende le distanze da Pinturicchio. Se all’inizio della lirica appariva comprensivo, molto vicino alla sensibilità e alle sofferenze dello juventino, qui cambia atteggiamento. E comincia a porsi su un altro piano, rimarcando con piccato puntiglio le differenze, a partire dal diverso modo di vivere l’assillo dell’anagrafe. Del Piero gli appare ossessionato dall’invecchiamento; Leopardi confessa di detestare la soglia della maturità atletica e agonistica, ma sa che è una prospettiva inevitabile. Eppure, malgrado ciò, finisce per far sua la prospettiva del calciatore: proprio a questo processo di identificazione letteraria è infatti riconducibile l’utilizzo del verbo "impetrare", vale a dire "diventare Pietro" ovverosia, come diremmo oggi, "delpierizzarsi".
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vóto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Al momento del ritiro di Del Piero, prefigura Leopardi, i suoi occhi e quelli del mondo intero saranno muti, incapaci di giudicare nel complesso il suo reale valore, dandogli un voto. Certo, i giorni che seguiranno saranno più noiosi e tetri per tutti (tranne, forse, per Totti). Ma come sarà possibile valutare la voglia di Alex di essere sempre in campo, la voglia di Capello di lasciarlo negli spogliatoi a pulire le piastrelle delle docce, la voglia di ogni italiano di tagliarlo a dadini quando si mangiò quei due goal già fatti nella finale degli Europei 2000?
Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
In chiusura, Leopardi si lascia prendere la mano dagli interrogativi. Il poeta finisce per chiedersi il significato dei tanti anni da lui consacrati alla Juventus e alla sua bandiera (prima ancora della loro nascita, tra l’altro) e, in ultima analisi, il significato della sua stessa esistenza.
È una domanda che non si doveva fare. Leopardi è conscio di doversi pentire ripetutamente per la sua sciagurata scelta di campo. Ma commetterà l’errore di voltarsi indietro. Allora vedrà la sua gobba e capirà di essere segnato per l’eternità.
da: http://www.bareddu.it/index.php?page=articolo&id=451