Diario economico

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zampaflex
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 04 apr 2025 08:48

Una interpretazione forte della apparentemente caotica politica economica trumpiana.

https://x.com/sfliberty/status/1907797659026374918

Altro che pifferaio, siamo oltre.
Abbattete i populisti ovunque essi siano e si manifestino, è l'unica via per salvare il mondo.
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Tex Willer
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Re: Diario economico

Messaggioda Tex Willer » 04 apr 2025 09:05

Dazi più svalutazione del dollaro... una politica aggressiva a cui l'Europa deve rispondere con una sola voce,qualunque decisione di qualunque singolo Paese sarebbe un altra pietra tombale per il nostro sistema. Ci si doveva pensare prima ad avere una sola voce,adesso c'è il rischio che si sfasci tutto.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 04 apr 2025 09:30

Tex Willer ha scritto:Dazi più svalutazione del dollaro... una politica aggressiva a cui l'Europa deve rispondere con una sola voce,qualunque decisione di qualunque singolo Paese sarebbe un altra pietra tombale per il nostro sistema. Ci si doveva pensare prima ad avere una sola voce,adesso c'è il rischio che si sfasci tutto.


Qualunque cosa avessimo detto prima, il carotone avrebbe tirato dritto. E' il suo modo di fare le cose, che è anche irrazionale e mafioso e bullista, ma lui è così.
Semmai è adesso il momento di non dividersi in Europa, perché corrisponderebbe esattamente alla tattica di Trump, divide et impera. Il nostro Magnifico Governo non ha la minima idea, purtroppo, di che cosa fare e se ce l'ha, quell'idea è pure sbagliata (inserire meme di Guzzanti please). Banda di dilettanti stupidi ed ignoranti guidati da una illusa e trombata manco fosse una scolaretta alle prime trepidazioni di cuore.

PS: grande battuta ieri di Barisoni sui conti di Trump, ha detto che sono stati fatti alla dazio di cane :mrgreen:
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Re: Diario economico

Messaggioda mennella » 04 apr 2025 11:01

zampaflex ha scritto:...
Il nostro Magnifico Governo non ha la minima idea, purtroppo, di che cosa fare e se ce l'ha, quell'idea è pure sbagliata (inserire meme di Guzzanti please) ...

https://www.youtube.com/watch?v=WGQ7JZRZ65M

PS: grande battuta ieri di Barisoni sui conti di Trump, ha detto che sono stati fatti alla dazio di cane :mrgreen:

si ieri pomeriggio a Focus economia era irritato per i messaggi degli ascoltatori nazionalisti entusiasti :lol:
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 04 apr 2025 14:45

mennella ha scritto:si ieri pomeriggio a Focus economia era irritato per i messaggi degli ascoltatori nazionalisti entusiasti :lol:


D'altronde questo governo sarà stato votato da qualcuno, no?

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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 05 apr 2025 19:37

Se si guarda la mappa d’Italia attraverso gli occhi di un turista, sembra un paziente col morbillo: un Paese disteso pieno di puntini rossi. A ogni puntino corrisponde un alloggio in affitto su Airbnb. Più passa il tempo più i puntini aumentano: alla fine del 2024 erano 754mila, un totale di 3 milioni e passa di posti letto. Ma la fotografia serve a poco. Per capire un fenomeno (e regolamentarlo) bisogna fare due cose: contarlo, come farebbero i bambini, e filmarlo nel tempo. Così Full, future urban legacy lab, centro studi del Politecnico di Torino, estraendo i dati dal database AirDna e seguendo l’evoluzione degli affitti brevi dal 2017 al 2024, ha provato a rispondere a una domanda: chi gestisce davvero il mercato Airbnb?.
Secondo Francesco Chiodelli, professore di Geografia economico-politica e tra i responsabili scientifici dell’indagine, sono quattro i trend da tenere d’occhio per sciogliere il quesito: «L’impressionante crescita quantitativa degli affitti brevi in sette anni, l’exploit nelle città in cui il mercato è ancora giovane, l’aumento esplosivo della redditività e l’espansione dei gestori professionali che si accaparrano ormai un’enorme fetta di ricavi».
Dimenticata la pandemia, lo scorso anno si è chiuso con il record di alloggi attivi per turisti: il 52 per cento in più del 2017. Ora, da città come Venezia o Milano, arrivano segnali d’arresto che i proprietari imputano alla burocrazia, alla stretta sulla sicurezza degli appartamenti o alla necessità del check-in in presenza.
La mappa non è omogenea ma intanto nascono nuove capitali dei b&b: se Roma guida la classifica degli annunci (47.094), la crescita più vertiginosa è al Sud. A Bari sono aumentati del 250 per cento, a Napoli del 98 per cento, a Catania del 90. «Dove il mercato è più maturo — dice Chiodelli — la crescita è più contenuta; dove il fenomeno Airbnb è arrivato da poco c’è un exploit anche dei ricavi per appartamento: a Bari sono cresciuti del 236 per cento, a Palermo del 235».
Anche il numero di notti prenotate online è salito: il 50 per cento in più. Per non parlare delle tariffe, cresciute di un altro 50 per cento: il prezzo medio per una notte da turisti è di 167 euro. Ecco perché il giro d’affari si è impennato passando dai 2,5 miliardi del 2017 agli 8,8 miliardi del 2024 (+242 per cento). «Questa drastica crescita delle prestazioni — continua Chiodelli — va in conflitto con le altre forme di affitto e porta conseguenze radicali sul mercato immobiliare tradizionale: un alloggio per turisti è infinitamente più appetibile di uno residenziale». Allora, se le case per i residenti diminuiscono, se nelle città cambia il mercato degli affitti, se le tariffe salgono, chi ne beneficia? Bisogna tornare a contare. Nel 2024 gli host, cioè i proprietari e gestori di case, erano 350mila. Nella maggior parte dei casi si tratta ancora di lavoratori che affittano la seconda casa per integrare il reddito. Al contrario i cosiddetti large host, cioè le agenzie che hanno più di dieci immobili, sono poco più dell’1,3 per cento. «Questo dato però non deve ingannare», ricorda Chiodelli. Anzitutto, il numero di gestori professionali è cresciuto in sette anni in maniera più sostenuta: +77%. E, per quanto pochi, hanno in mano un quarto degli alloggi: 42 a testa in media. Inoltre, se nel 2024 ogni appartamento affittato su Airbnb da un large host fruttava annualmente 17.900 euro, un piccolo proprietario ne guadagnava solo 8.500. La fetta più piccola della torta degli host è riuscita così ad accaparrarsi 3,3 miliardi di euro sugli 8,8 miliardi di ricavi complessivi, il 38 per cento del totale. Quei puntini rossi sono sempre più un business in mano a pochi.
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 08 apr 2025 20:04

non per niente lo chiamano "l'oracolo di Omaha"

https://www.lastampa.it/esteri/2025/04/ ... -15093931/
I comunisti mi trattavano da fascista, i fascisti da comunista.
Tutto questo ha aiutato il film.
(Sam Fuller, a proposito di "The Steel Helmet")

http://fortezza-bastiani.blogspot.com
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 22 apr 2025 19:36

Secondo la Banca d’Italia, nei prossimi venticinque anni, se il tasso di occupazione rimarrà uguale a oggi, il calo demografico porterà a una diminuzione del Pil del 6,8 per cento.

https://www.linkiesta.it/2025/04/calo-demografico-lavoro-svezia-banca-italia/

L’Italia può salvarsi solo se raggiunge il tasso di occupazione della Svezia.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 03 mag 2025 21:27

PERCHÉ I POVERI VOTANO A DESTRA E SMETTONO DI CHIEDERE PIÙ UGUAGLIANZA ALLA POLITICA.
Una riflessione di Nicola Gennaioli e Guido Tabellini (docenti del Dipartimento Finanze e del Dipartimento Economia dell’Università Bocconi)

C'è un paradosso che attraversa la politica, al giorno d’oggi. Le disuguaglianze crescono, ma la domanda di redistribuzione diminuisce. Le classi popolari, storicamente legate alla sinistra, votano sempre più a destra. E le campagne elettorali si vincono con battaglie simboliche su religione, immigrazione e “valori tradizionali” più che su salari e welfare. La polarizzazione politica non ruota più attorno alla ricchezza, alle tasse o al reddito: non siamo più divisi in classi, ma in identità culturali. Ed è su queste che si gioca la partita della democrazia. È diventata una guerra tra visioni opposte della società: da un lato i progressisti multiculturali, dall’altro i conservatori legati a identità locali, religiose e tradizionali.
Si tratta di un modello semplice e radicale, proposto in uno studio in uscita su Econometrica. Ne deriva un chiave di lettura dell’oggi potente e spiazzante: le persone scelgono l’identità che sentono più rilevante nei conflitti sociali del momento. Quando l’economia domina l’agenda, ci si divide in classi. Ma quando la cultura diventa più saliente – ad esempio per via dell’immigrazione o dei temi etici – ci si riconosce in gruppi culturali contrapposti. Il posizionamento non è né fisso né casuale: è una risposta dinamica ed endogena alle tensioni sociali e politiche. Gli individui si identificano con il gruppo che percepiscono come più in conflitto con “l’altro” e con cui sentono maggiore affinità. Chi si identifica come “bianco, cristiano, tradizionalista” finirà per dare meno importanza alla redistribuzione e più alla difesa dei propri valori. Anche se è povero.
Si genera così una frattura culturale più visibile rispetto a quella economica, che può spingere anche un operaio precario a sentirsi parte di un’identità conservatrice piuttosto che di classe.
I partiti politici hanno capito - e sfruttato strategicamente - questo meccanismo. Un’operazione che ha un nome preciso: spargere stereotipi.
Invece di proporre programmi economici, i partiti investono risorse nella propaganda identitaria, amplificando gli stereotipi culturali che definiscono il proprio “noi” contro “loro”: il cittadino locale contro l’immigrato, il lavoratore tradizionale contro l’élite progressista. È una forma di propaganda che non punta a convincere, ma a radicalizzare. Costa risorse e produce polarizzazione. La capacità dei partiti di influenzare l’identità non è però uniforme, dal momento che i partiti sono storicamente legati a gruppi sociali specifici: un conservatore sarà più ricettivo ai messaggi della destra, un progressista a quelli della sinistra. E così si rafforzano le appartenenze, e con esse la polarizzazione.
Questo modello trova fondamento in un sondaggio su 3mila cittadini rappresentativi della popolazione americana, che mostra come la maggioranza non si identifichi più in termini economici, ma culturali. Chi si definisce “bianco, cristiano, tradizionalista” è più ostile agli immigrati e meno favorevole alla redistribuzione, indipendentemente dal reddito. Chi si riconosce in una cultura progressista, “secolare, multiculturale e cittadino del mondo”, ha posizioni opposte. E vota di conseguenza.
Una conferma empirica della bontà dl modello arriva poi dall’analisi dell’impatto della concorrenza cinese sulle aree industriali degli Stati Uniti, il cosiddetto “China shock”. Dai sondaggi e dai discorsi pronunciati al Congresso emerge che, nelle zone più colpite, gli elettori culturalmente conservatori hanno ridotto la richiesta di redistribuzione e aumentato la domanda di politiche anti-immigrazione. Proprio come il modello prevede. Non è stato un effetto retorico di Trump: il riallineamento era già in corso. E ha prodotto un risultato potente e duraturo: un’alleanza tra élite economiche e masse culturalmente conservatrici, che spiega l’ascesa dei populismi di destra anche in contesti di crescente disuguaglianza. Non dobbiamo illuderci che sia un fenomeno che attiene soltanto alla sfera pubblica statunitense. Anche in Europa, le identità e le credenze plasmano il comportamento politico ben oltre gli interessi economici. La destra guadagna terreno proprio tra chi più ha da perdere. Mentre la sinistra ha sottovalutato il fatto che la cultura possa contare più del reddito. Ma finché la sinistra stessa insisterà a parlare solo di diseguaglianze, senza affrontare il terreno delle identità, continuerà a perdere proprio tra i suoi ex elettori.
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Re: Diario economico

Messaggioda Patàta » 03 mag 2025 22:38

zampaflex ha scritto:PERCHÉ I POVERI VOTANO A DESTRA E SMETTONO DI CHIEDERE PIÙ UGUAGLIANZA ALLA POLITICA.
Una riflessione di Nicola Gennaioli e Guido Tabellini (docenti del Dipartimento Finanze e del Dipartimento Economia dell’Università Bocconi)

C'è un paradosso ...


Very interesting.
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Re: Diario economico

Messaggioda mennella » 04 mag 2025 10:40

Interessante.
Pero' per certi versi lascia presagire un futuro sempre piu' complicato.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 04 mag 2025 10:51

mennella ha scritto:Interessante.
Pero' per certi versi lascia presagire un futuro sempre piu' complicato.


Non lo è già abbastanza?
Viviamo in un epoca di contraddizioni. La sinistra è più liberale ed istruita della destra. La destra raccoglie i "poveri" e gli ignoranti. Sostenendo una corretta politica di immigrazione e integrazione vista la costante riduzione dei residenti italici, la sinistra consente una fornitura di manodopera che permetterà all'Italia di sopravvivere al proprio declino demografico di lungo periodo, mentre la destra vuole chiudersi in un fortino a costo di un costante calo della popolazione, mettendo a rischio molti servizi di base che nessuno svolgerà più, o lo vorrà fare a costi non sostenibili, e quindi l'esistenza stessa dello Stato.

I nostri figli vedranno una Italia declinante, se continuiamo così.
I nostri nipoti non vedranno più nessuna Italia, solo macerie come i quadri che ritraggono la Roma settecentesca.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 08 mag 2025 09:26

Rendendosi conto della propria totale incapacità di organizzare il più importante dei settori che le competono, la Regione Lombardia, di fronte a liste d'attesa matusalemmiche (che posso testimoniare di persona), ha deciso...di chiamare i NAS :roll:

https://www.quicomo.it/attualita/liste-attesa-infinite-visite-mediche-lombardia-nas.html

Liste d'attesa in Lombardia, Regione chiama i Nas: "Per la visita dermatologica mi danno gennaio 2026, se pago domani"
ll documento con l'Arma è stato siglato dal governatore Fontana con l'assessore Bertolaso, il generale Covetti e il tenente colonnello Pignatelli: "Dobbiamo capire perché aumentano"

Non c'è limite alla vergogna.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 10 mag 2025 09:25

Tutte le balle di Landini sul mercato del lavoro
Luciano Capone

Occupati, precarietà, contratti part time. La campagna del leader della Cgil prevede la sistematica diffusione di numeri falsi, smentiti da Istat e Inps. Riuscirà a dire un solo dato vero prima del referendum?

Il referendum contro il Jobs Act sembra circondato dal disinteresse generale e dallo scarso impegno dei partiti che pure lo sostengono, come Pd e M5s, che forse vedono come ineluttabile il mancato raggiungimento del quorum. L’unico che sta facendo un grande sforzo propagandistico è Maurizio Landini, il promotore dei quattro quesiti referendari sul lavoro. Ed è solo dalle sue interviste che, in questa campagna referendaria, possono emergere due sorprese: che il leader della Cgil fornisca per la prima volta un dato vero; che un intervistatore contesti per la prima volta uno dei tanti dati falsi diffusi da Landini. Apparentemente non sono due eventi improbabili, eppure finora non si sono mai verificati. Passiamo in rassegna alcuni dei numeri falsi diffusi dal leader della Cgil, tenendo conto che si tratta di un elenco indicativo e non esaustivo.

“C’è stato un aumento della precarietà che nel nostro paese non ha precedenti, sono aumentati i contratti a termine”, dice Landini. Non è vero. Negli ultimi anni, come mostrano i dati dell’Istat, è aumentata notevolmente l’occupazione a tempo indeterminato e si è ridotta quella a tempo determinato. Nel IV trimestre 2024 l’Istat ha registrato +486 mila occupati permanenti e -295 mila occupati a termine: la quota di occupati a termine sul totale è così scesa dal 12,4% all’11%.

“L’occupazione è aumentata, ma perché sono cresciuti i part time: in nessun altro paese d’Europa c’è questo livello di contratti part time”, dice Landini. Falso. L’Istat dice che nel IV trimestre 2024 gli occupati a tempo parziale sono 4 milioni: -328 mila rispetto al 2023 (-7,6%), con un’incidenza che cala dal 18,2% al 16,7%. Non è un fenomeno sporadico, ma un trend che va avanti da molti anni, come scrive l’Inps nel suo ultimo rapporto annuale: per i part time “i valori del 2023 sono inferiori a quelli del 2019”. È altrettanto falso che si tratta del livello più alto in Europa. Secondo i dati Eurostat, la quota di occupati part time sul totale in Italia nel 2024 è del 16,7%, a fronte di una media dell’Eurozona pari al 20% e dell’Ue pari al 17,2%.

“Ma a essere aumentato è il part time involontario”, dice Landini, quindi “aumentano gli occupati ma diminuiscono le ore lavorate”. Doppiamente falso. Come indica l’Istat le ore lavorate sono aumentate (indice a 117,2 a fine 2024 fatto 100 l’anno 2021). Ma anche il part time involontario, ovvero chi lavora a tempo parziale perché non trova un’occupazione a tempo pieno, è in diminuzione. Lo certifica l’Istat nell’ultimo rapporto sul Benessere equo e sostenibile: “Nel 2023 prosegue per il quarto anno consecutivo il calo della quota di occupati in part time involontario”, scrive l’istituto di statistica. Il tasso è sceso sotto il 10%, attestandosi al 9,6%, a fronte del 12,1% del 2019. Eurostat calcola anche l’incidenza non sugli occupati totali, ma in rapporto ai soli occupati part time: pure in questo caso si registra un calo costante, dal 65,6% del 2019 al 51,3% del 2024.

Come ha sinteticamente scritto l’Inps nel suo ultimo rapporto annuale, “dalla pandemia il paese è uscito con un maggiore tasso di occupazione, una crescente quota di lavoro a tempo indeterminato, una riduzione nel ricorso al part time”. Di contro, dalla pandemia la Cgil di Landini è uscita senza mai aver diffuso un dato vero sul mercato del lavoro. C’è tempo fino all’8 giugno, ma le probabilità che accada sono inferiori a quelle che venga raggiunto il quorum.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 19 mag 2025 13:08

Meditato articolo su una delle questioni referendarie

https://www.ilfoglio.it/economia/2025/05/19/news/dieci-anni-di-jobs-act-numeri-da-ricordare-7738041/

Tre quesiti su cinque intervengono sul mercato del lavoro, tentando di irrobustire le tutele per i dipendenti e rendere più complicata l’adozione di contratti a tempo determinato e licenziamenti per i datori di lavoro. Proprio nel momento in cui l’Italia ha raggiunto il record di occupati stabili e dopo anni di continuo calo dei posti di lavoro considerati precari. Concentriamoci sul primo quesito, il più discusso. Propone di cancellare l’indennizzo economico al lavoratore dipendente licenziato in modo illegittimo nelle imprese con più di 15 addetti, tornando alla possibilità di essere reintegrato sul posto di lavoro. Era stato il Jobs Act di Matteo Renzi a introdurre l’indennizzo commisurato agli anni lavorati in azienda, da un minimo di 6 mesi di stipendio a un massimo di 36. L’intento della riforma era ridurre il contenzioso in tribunale e l’incertezza per i datori di lavoro, così da incoraggiarli a programmare maggiori assunzioni. Un risultato raggiunto solo in parte: secondo i dati del ministero della Giustizia, con il Jobs Act i licenziamenti finiti in tribunale sono calati di circa il 20 per cento (circa 2.000 contenziosi in meno all’anno) studio.

Qual è l’eredità del Jobs Act, dopo dieci anni dalla sua entrata in vigore? Secondo gli studi scientifici pubblicati nell’ultimo decennio, l’effetto della riforma sui licenziamenti è stato piuttosto limitato. Gli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi hanno stimato un aumento ridotto e concentrato nelle grandi imprese. Così come è stata limitata la spinta che la maggiore flessibilità ha fornito alle assunzioni: secondo uno studio di due economisti della Banca d’Italia (Paolo Sestito ed Eliana Viviano) solo il 5 per cento dei nuovi contratti sono stati firmati grazie alla maggiore flessibilità dei contratti. Mentre è stato maggiore l’impulso della riforma alla conversione dei contratti da tempo determinato a indeterminato: i datori di lavoro sono stati meno riluttanti a offrire posizioni stabili anche a lavoratori che non conoscevano.

Quello che è certo è che il Jobs Act non ha provocato un’esplosione dei licenziamenti, come qualcuno temeva. I circa 3,5 milioni di lavoratori a cui – dal 7 marzo 2015 – è stata applicata la nuova normativa rischiano meno di essere licenziati rispetto ai propri colleghi che lavoravano prima dell’introduzione della riforma. Secondo i dati Inps, i licenziamenti economici e disciplinari di dipendenti a tempo indeterminato l’anno scorso sono stati 191 mila in meno rispetto al 2014: quasi il 30 per cento in meno. Nonostante la crescita dei contratti a tempo indeterminato intercorsa nel frattempo. In altre parole, nel 2014 vi era un licenziamento ogni 21 lavoratori stabili, mentre l’anno scorso se ne è verificato uno ogni 34. Nello stesso periodo invece i licenziamenti di dipendenti a tempo determinato, non coinvolti dal Jobs Act, sono cresciuti del 70 per cento.

Insomma, il Jobs Act ha modificato al margine la condizione dei lavoratori italiani: il rischio di essere licenziati è diminuito, e i dipendenti che hanno ricevuto l’indennizzo al posto del reintegro sono stati al più un paio di migliaia all’anno. Si tratta di lavoratori impiegati in imprese medio-grandi, solitamente più tutelati dalle organizzazioni sindacali rispetto agli addetti delle micro e piccole aziende. Nel periodo storico, lo ricordiamo, di massima occupazione, in particolare a tempo indeterminato.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 22 mag 2025 09:51

Lunga ma non prolissa la spiegazione di come il dollaro rappresenti la moneta globale, perché abbia questa funzione, che conseguenze ha sul mondo e sugli Stati Uniti. In inglese, sorry.

https://www.lynalden.com/may-2025-newsletter/
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 22 mag 2025 10:45

Le pensioni d'oro, queste apparentemente conosciute
https://www.today.it/economia/pensioni-oro-35-miliardi-euro-chi-sono-pensionati.html

I cosiddetti "pensionati d’oro", ovvero coloro che percepiscono oltre 5.000 euro al mese, sono poco più di 400.000, pari al 2,6 per cento del totale. Cifra percepita lorda, su cui vanno poi tolte le imposte.
Nel settore privato ci sono oltre 50.000 ex dipendenti che percepiscono in media 6.400 euro mensili, mentre circa 47.000 ex dirigenti pubblici iscritti all’Inpdai ricevono oltre 6.600 euro al mese.
Le pensioni più elevate si registrano tra alcuni iscritti al fondo dei "telefonici", l’ex cassa per il personale dei servizi pubblici di telefonia, confluita in Inps nel 2000. Circa 1.500 ex dipendenti percepiscono una pensione media di quasi 8.200 euro al mese. Seguono quasi 2.000 pensionati del "fondo volo", oggi gestito da Inps e riservato al personale aereo (7.900 euro mensili), 1.000 ex ferrovieri (oltre 7.000 euro al mese) e 500 ex dipendenti dell’Enel e delle aziende elettriche (circa 5.500 euro mensili).

Tutti i fondi di aziende ex statali (tipo Poste, Telecom, Enel, gas, FFSS eccetera) offrono pensioni più alte della media, e sono in rosso.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 22 mag 2025 21:37

Il disastro dell'economia italiana, che non ha uno straccio di guida nonostante il Magnifico Governo Progressivo abbia speso roboanti parole in tonitruanti discorsi.

Più occupati e, in proporzione, meno ricchezza. Il paradosso che azzoppa l’economia italiana emerge netto dal Rapporto annuale diffuso ieri dall’Istat, così come l’aggravamento negli ultimi anni. Il suo nome è «deficit di produttività». Cenerentola nel dibattito pubblico italiano, dov’è forse penalizzata dalla sua apparenza di concetto teorico, la produttività (che manca) è invece il cuore pratico del problema economico italiano. Spiega le dinamiche modeste del Pil complessivo e l’affanno delle buste paga, che tra 2019 e 2024 hanno perso sotto i colpi dell’inflazione il 4,4% del loro potere d’acquisto (le retribuzioni contrattuali hanno segnato un -10,5%) contro il -2,6% registrato in Spagna e il -1,3% della Germania. Nella produttività che zoppica c’è la ragione della dinamica del Pil per occupato, più fiacca di quella del Prodotto interno lordo complessivo, nascosta dall’andamento più vivace del Pil pro capite spinto anche dalla crisi demografica (Sole 24 Ore di ieri).
Come sempre, sono i dati a parlare il linguaggio più limpido. La produttività per ora lavorata è calata l’anno scorso dell’1,4%, e quella per occupato dello 0,9%. Questo indica che la crescita del numero di occupati si è concentrata nei settori a minor valore aggiunto, e ha generato in media posti caratterizzati da orari più contenuti (il tempo di lavoro per addetto si è infatti ridotto di un significativo 6,5%). Ad aggravare questa patologia italiana è la sua durata, che produce numeri pesanti nel confronto internazionale di lungo periodo: tra 2000 e 2024 il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto di un leggerissimo 0,7%, cioè 22 volte meno che in Francia (dove l’indicatore segna nello stesso periodo un +15,7%), 28 volte meno che in Spagna (+19,7%) e 31 volte meno che in Germania (+21,8%).
I dati sulla produttività non misurano ovviamente la “voglia di lavorare” di un Paese, ma la sua capacità di innovare processi e organizzazione e di sfruttare le occasioni offerte dagli investimenti tecnologici. In questa competizione i primi due handicap italiani sono rappresentati dalla ridotta dimensione media delle imprese, perché sono le aziende più grandi a sviluppare in proporzione più capacità di investimento, e dalla (in parte conseguente) geografia dell’occupazione: che infatti da noi cresce con la stessa pervicacia con cui cala la produzione industriale (-4% nel 2024, con una flessione quasi doppia rispetto al -2,4% della media Ue).
Il Rapporto dell’Istat indaga a fondo questi fenomeni, che come ulteriore effetto collaterale finiscono per far crescere i contribuenti titolari di reddito molto più del Pil, con quel che ne consegue in termini di pressione fiscale. A far correre più velocemente l’occupazione sono state costruzioni, turismo e servizi alla persona, cioè proprio i settori nei quali l’alto impiego di forza lavoro si accompagna a una produttività bassa. Mentre le «attività ad alta tecnologia», dove sono più intensi gli incrementi produttivi, «rappresentano una quota limitata nell’economia italiana», e nei calcoli Istat abbracciano il 4,5% degli occupati (e l’8% del valore aggiunto) nella manifattura e il 3% (6% di valore aggiunto) nei servizi. Nell’industria, fra 2019 e 2024 il traino del valore è stato costruito interamente da farmaceutico, elettronica e alimentari, mentre tutti gli altri settori hanno perso terreno: nel terziario, a primeggiare sono le attività professionali e tecniche, informazione e comunicazione.

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Il Rapporto Annuale dell’Istat 2025 conferma questi fatti che tuttavia non sono novità ma problemi che affondano le radici nei lustri passati. La situazione è grave e, se non si troveremo rapidamente soluzioni, già nel 2028 la domanda di lavoro sarà superiore all’offerta per oltre un milione di posti, con conseguenze potenzialmente disastrose per l’economia.
A fronte di questo scenario, purtroppo anche gli interventi a favore della natalità e della famiglia non consentono di evitare la crisi perché hanno effetti molto differiti e più contenuti che in passato. Non che non sia una strada da percorrere, un obiettivo sacrosanto, ma non basta. Al di là dei cervelli in fuga, è il saldo migratorio dei giovani (18-34), negativo per oltre 350.000 unità in tre anni, il dato veramente preoccupante. I giovani lasciano l’Italia e non tornano. Se la motivazione è l’anticipazione di future emozioni positive, rischiamo di diventare un paese depresso. Inoltre, l’eterogeneità territoriale peggiora la situazione: mentre alcune regioni guidano il gruppo di testa dell’innovazione europea, altre scivolano inesorabilmente in basso.

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Dal Rapporto Istat emerge che l’Italia continua tuttavia a scontare un forte ritardo nella dotazione di capitale umano qualificato: nel 2023 gli occupati laureati e/o impiegati come professionisti o tecnici (risorse umane in scienza e tecnologia) rappresentavano circa il 40 per cento del totale, 10 punti percentuali in meno rispetto a Germania e Spagna e 17 nei confronti
della Francia. La dotazione di capitale umano si riflette sulla velocità nell’adozione delle tecnologie digitali che richiedono competenze più elevate.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 30 mag 2025 20:09

Secondo qualcuno, l'uso delle IA sta GIA' modificando il mercato del lavoro:
https://www.dday.it/redazione/53181/lai-sta-gia-portando-via-migliaia-di-posti-lavoro-ma-nessuna-ha-il-coraggio-di-parlarne

L'articolo originale è sotto chiave, ma l'ho recuperato. Dall'Atlantic:

Something strange, and potentially alarming, is happening to the job market for young, educated workers.
According to the New York Federal Reserve, labor conditions for recent college graduates have “deteriorated noticeably” in the past few months, and the unemployment rate now stands at an unusually high 5.8 percent. Even newly minted M.B.A.s from elite programs are struggling to find work. Meanwhile, law-school applications are surging—an ominous echo of when young people used graduate school to bunker down during the great financial crisis.
What’s going on? I see three plausible explanations, and each might be a little bit true.
The first theory is that the labor market for young people never fully recovered from the coronavirus pandemic—or even, arguably, from the Great Recession. “Young people are having a harder time finding a job than they used to, and it’s been going on for a while, at least 10 years,” David Deming, an economist at Harvard, told me. The Great Recession led not only to mass layoffs but also to hiring freezes at many employers, and caused particular hardships for young people. After unemployment peaked in 2009, the labor market took time to heal, improving slowly until the pandemic shattered that progress. And just when a tech boom seemed around the corner, inflation roared back, leading the Federal Reserve to raise interest rates and cool demand across the economy. White-collar industries—especially technology—were among the hardest hit. The number of job openings in software development and IT operations plunged. The share of jobs posted on Indeed in software programming has declined by more than 50 percent since 2022. For new grads hoping to start a career in tech, consulting, or finance, the market simply isn’t that strong.
A second theory points to a deeper, more structural shift: College doesn’t confer the same labor advantages that it did 15 years ago. According to research by the San Francisco Federal Reserve, 2010 marked a turning point, when the lifetime-earnings gap between college grads and high-school graduates stopped widening. At the same time, the share of online job postings seeking workers with a college degree has declined.
To be clear: College still pays off, on average. The college wage premium was never going to rise forever, and the fact that non-college workers have done a little better since 2010 isn’t bad news; it’s actually great news for less educated workers. But the upshot is a labor market where the return on investment for college is more uncertain.
The third theory is that the relatively weak labor market for college grads could be an early sign that artificial intelligence is starting to transform the economy.
“When you think from first principles about what generative AI can do, and what jobs it can replace, it’s the kind of things that young college grads have done” in white-collar firms, Deming told me. “They read and synthesize information and data. They produce reports and presentations.”
Consider, then, a novel economic indicator: the recent-grad gap. It’s the difference between the unemployment of young college graduates and the overall labor force. Going back four decades, young college graduates almost always have a lower—sometimes much lower—unemployment rate than the overall economy, because they are relatively cheap labor and have just spent four years marinating in a (theoretically) enriching environment.
But last month’s recent-grad gap hit an all-time low. That is, today’s college graduates are entering an economy that is relatively worse for young college grads than any month on record, going back at least four decades.
The strong interpretation of this graph is that it’s exactly what one would expect to see if firms replaced young workers with machines. As law firms leaned on AI for more paralegal work, and consulting firms realized that five 22-year-olds with ChatGPT could do the work of 20 recent grads, and tech firms turned over their software programming to a handful of superstars working with AI co-pilots, the entry level of America’s white-collar economy would contract. The chaotic Trump economy could make things worse. Recessions can accelerate technological change, as firms use the downturn to cut less efficient workers and squeeze productivity from whatever technology is available. And even if employers aren’t directly substituting AI for human workers, high spending on AI infrastructure may be crowding out spending on new hires.
Luckily for humans, though, skepticism of the strong interpretation is warranted. For one thing, supercharged productivity growth, which an intelligence explosion would likely produce, is hard to find in the data. For another, a New York Fed survey of firms released last year found that AI was having a negligible effect on hiring. Karin Kimbrough, the chief economist at LinkedIn, told me she’s not seeing clear evidence of job displacement due to AI just yet. Instead, she said, today’s grads are entering an uncertain economy where some businesses are so focused on tomorrow’s profit margin that they’re less willing to hire large numbers of entry-level workers, who “often take time to learn on the job.”
No matter the interpretation, the labor market for young grads is flashing a yellow light. It could be the signal of short-term economic drag, or medium-term changes to the value of the college degree, or long-term changes to the relationship between people and AI. This is a number to watch.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 31 mag 2025 19:18

Mentre la struttura dell'economia italiana pian piano si sgretola vittima del conservatorismo e della "robba", questo Magnifico Governo di melma pensa solo a introdurre 14 nuovi reati.

https://www.youtube.com/watch?v=idp4TOMaDnw

E' un paese per (di) vecchi (di berda).
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 10 giu 2025 09:46

Elucubrazioni post referendum

https://lavoce.info/archives/107942/dove-ci-porta-il-referendum-sul-jobs-act/

Il contratto a tutele crescenti diventa operativo il 7 marzo 2015, limitatamente ai dipendenti assunti dopo quella data da imprese con più di 15 dipendenti. E le assunzioni a tempo indeterminato esplodono: a fine 2015 sfioreranno i 2 milioni, record tuttora imbattuto, probabilmente imbattibile (i dati citati, salvo diversa indicazione, si riferiscono al settore privato extra-agricolo e sono ricavati dai Rapporti annuali Inps e dall’Osservatorio mercato del lavoro – ex Osservatorio precariato). Si aggiungono poi oltre mezzo milione di trasformazioni da tempo determinato con un saldo complessivo (= incremento dei posti di lavoro a tempo indeterminato) di quasi 900mila unità, anch’esso un valore mai più visto.
...
Nel contempo, a partire dal 2017, s’impenna il ricorso al lavoro a termine: per la prima volta si superano nell’anno i 3 milioni di assunzioni (al netto di stagionali, intermittenti, somministrati). Come mai? Non doveva il tempo determinato essere riassorbito dal contratto a tutele crescenti, data la “maggior facilità” (alias maggior certezza degli eventuali costi) di ricorrere ai licenziamenti? Evidentemente le imprese hanno continuato a preferire, ove possibile, il contratto a termine, perché il contratto a tutele crescenti non risulta un incentivo sufficiente a cambiare abitudini e valutazioni sul rischio connesso alle assunzioni a tempo indeterminato. Ma c’è stato anche dell’altro: da un lato si è manifestata l’onda lunga (ritardata) del “decreto Poletti” del 2014 con la facilitazione dei contratti a termine (sostituzione di vincoli quantitativi alle causali, con l’obiettivo di ridurre l’incertezza e deflazionare il contenzioso), dall’altro l’effetto “vasi comunicanti” generato dalla soppressione di altre tipologie di rapporti di lavoro (contratti a progetto e contratti di associazione in partecipazione abrogati proprio con il Jobs act e soprattutto i lavori occasionali a voucher soppressi a marzo 2017), come documentato dettagliatamente nel Rapporto annuale Inps del 2018.
...
Ma l'effetto più potente della (allora) nuova legislazione sul lavoro è la terrificante riduzione delle cause di lavoro, costo occulto che gravava sulle imprese e le scoraggiava, spesso, dall'assumere personale se non provato e necessario:
https://lavoce.info/archives/96039/cosa-significa-riduzione-delle-cause-di-lavoro/

In una intervista odierna (che devo trovare), Boeri dichiara che la riduzione delle cause è tuttora in corso, e che il numero di licenziamenti è ai livelli più bassi dall'inizio del secolo (42 licenziamenti ogni mille dipendenti).

Succo ultimo dell'elaborato linkato qui sopra, è che più che la volontà legislativa contano le tendenze demografiche (col calo del numero di entranti nel mercato del lavoro, insufficienti a bilanciare i pensionamenti) ed economica, con una fase di espansione che tra alti e bassi regge comunque dal 2012, quando la crisi dei debiti sovrani distrusse un quinto della nostra capacità industriale.
Da quel momento siamo diventati, grazie alla parte più dinamica della manifattura, una macchina da guerra per le esportazioni; mentre la domanda interna è rimasta fiacca anche per l'invecchiamento della popolazione / calo delle nascite, due fenomeni che distruggono domanda netta, non compensati dall'afflusso di immigrati più giovani. Immigrati che sono qui per lavorare e quindi dediti a guadagnare e spendere per migliorare la propria condizione.
Ma anche che la normativa sul lavoro, innovata tra il 2012 ed il 2015, ha agevolato questo movimento e non ha assolutamente peggiorato le condizioni per il lavoratore: chi, datore, vuole massima flessibilità può ancora fare uso ed abuso dei part-time verticali, del lavoro a chiamata, delle partite IVA e così via.
Concentrare le attenzioni del sindacato sulla normativa oggetto del referendum non ha avuto nessun senso, se non quello banditesco di regolare i conti con Renzi e la sinistra riformista.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 10 giu 2025 11:57

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Re: Diario economico

Messaggioda vinogodi » 10 giu 2025 13:28

...non capisco perche' uno che si fa il culo per una vita per crearsi un po' di benessere , anche per i figli, non debba trasferire questi beni ai successori ma farseli "fregare" dallo stato incapace e vorace...gia' ci tassa in maniera indecente senza darci un corrispettivo in servizi... 8)
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 10 giu 2025 17:20

siamo il paese con le tasse di successione più basse al mondo

in Francia per esempio la tassa di successione sugli immobili è talmente alta che spesso gli eredi sono costretti a vendere la casa ereditata
I comunisti mi trattavano da fascista, i fascisti da comunista.
Tutto questo ha aiutato il film.
(Sam Fuller, a proposito di "The Steel Helmet")

http://fortezza-bastiani.blogspot.com
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 11 giu 2025 17:23

Il fiscal drag erode il taglio del cuneo fiscale. L’Upb svela l’effetto boomerang dell’ultima legge di bilancio

https://www.open.online/2025/06/11/cuneo-fiscale-tasse-upb-chi-paga-piu-tasse/

La legge di bilancio 2025 del governo Meloni avrebbe dovuto alleggerire il peso delle tasse, rendendo strutturale il taglio al cuneo fiscale e trasformandolo in una serie di detrazioni per i lavoratori dipendenti. Peccato che questa mossa abbia finito per portare all’esatto opposto, ossia un aumento dei contributi da versare al Fisco. È quanto afferma il Rapporto annuale sulla politica di bilancio, redatto dall’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio. «Con la progressività – si legge nel documento – è aumentato anche l’effetto di drenaggio fiscale», ossia l’effetto per cui gli aumenti salariali finiscono per spingere i contribuenti verso aliquote più alte.

Aumentano le tasse per i lavoratori dipendenti
Nella simulazione condotta dall’Upb, a parità di inflazione e in confronto al 2022, i lavoratori dipendenti hanno pagato il 13% in più di tasse. In termini assoluti, si tratta di 370 milioni di euro. «In un contesto in cui la dinamica retributiva è già risultata insufficiente a compensare l’inflazione – osserva l’Ufficio parlamentare di bilancio -, l’intensificazione del prelievo fiscale derivante dall’interazione tra quest’ultima e la progressività dell’imposta rischia di erodere in misura considerevole gli incrementi nominali delle retribuzioni, con potenziali ricadute negative sui consumi e sulla domanda interna».

Il rapporto originale è qui https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2025/06/UPB-Rapporto-sulla-politica-di-bilancio-2025.pdf

Io ribadisco che un lavoratore dipendente che abbia votato questo governo, che ha approvato venti condoni per lavoratori autonomi e imprese ed introdotto l'evasione fiscale legalizzata con la flat tax, e allo stesso tempo ha aumentato il prelievo fiscale sui dipendenti non sterilizzando il fiscal drag (aumento della tassazione dovuto all'inflazione), per me è un CRETINO.
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