Diario economico

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zampaflex
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 22 dic 2023 12:56

Prendo a prestito dal Corriere una spiegazione sufficientemente estesa di cosa sia il MES.
Ma prima di tutto bisogna capire che è il primo passo per l'Unione Bancaria, e che questa sarebbe il primo passo successivo verso una armonizzazione fiscale, quindi verso il sostegno diretto di bilancio, e poi verso gli Stati Uniti d'Europa.
Negando questo primo atto si vuole dire che si sceglie la strada sovranista della pura e semplice unione doganale stile CEE, cioé quel periodo storico nel quale abbiamo svalutato la lira a ripetizione senza venire a capo dei problemi di produttività, competitività, bilancio pubblico.
Si vuole dire che "siamo forti", battendosi il petto nudo e muscoloso, una battaglia della grana un secolo dopo, quando basta un modesto rialzo dei tassi per farci cagare sotto.
Miope ed irresponsabile.

E sottolineo l'ipocrisia di un governo che afferma "Il Mes non ci serve, serve alla Germania, le nostre banche sono solide" non più tardi di pochi mesi dopo avere detto che le nostre banche gaglioffe avevano rubato soldi ai clienti col rialzo dei tassi e pertanto bisognava tassarne gli extraprofitti (che peraltro sono già tassati ordinariamente), salvo fare marcia indietro consentendo l'accantonamento a patrimonio.

1 Che cos’è il Mes?
Il Meccanismo europeo di stabilità è una struttura istituita con un Trattato intergovernativo del 2012 tra i Paesi dell’area euro. I membri oggi sono 20, compresa l’Italia. Lo scopo del Mes è quello di concedere, a precise condizioni, aiuti finanziari ai Paesi membri che, pur avendo un debito sostenibile, trovino temporanee difficoltà a finanziarsi.
2 Quante risorse ha e come sono state usate finora?
Il capitale del Mes è di 809 miliardi di euro, di cui 80 versati, il resto a chiamata. L’Italia ha il 17,9% e ha versato finora 14,3 miliardi. Il Mes è stato utilizzato per sostenere Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro.
3 Che cosa ha bocciato il Parlamento italiano?
La ratifica di un accordo firmato nel 2021 dai governi dei Paesi membri del Mes per estenderne e rafforzarne le funzioni.
4 Cosa prevedeva la riforma?
Intanto l’utilizzo di una parte delle risorse del Mes, circa 70 miliardi, come sostegno del Fondo europeo di risoluzione, che interviene nelle crisi delle grandi banche. Poi un rafforzamento del ruolo del Mes nel seguire e valutare la situazione economica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito. Si prevedeva, poi, l’applicazione a tutti i nuovi titoli di Stato di una clausola per rendere più agevole l’eventuale ristrutturazione del debito.
5 In che modo?
In caso di crisi, e la necessità di modificare i termini di pagamento del debito di un paese membro, si prevedeva una maggioranza più semplice, da parte dei creditori, per approvarle.
6 Che cosa succede dopo il no del Parlamento?
Per entrare in vigore, le modifiche proposte avrebbero dovuto essere ratificate dai Parlamenti di tutti i 20 Paesi entro il 31 dicembre di quest’anno. Con il no italiano, dunque, la riforma non entra in vigore. E si ritorna alle regole del vecchio Mes, quello già intervenuto in passato.
7 Chi sosterrà la gestione delle crisi bancarie?
Ogni Paese provvederà ai suoi problemi, principalmente con l’utilizzo dei Fondi di garanzia dei depositi, poi applicando
le regole Ue sulle risoluzioni bancarie (il famoso bail-in) e in ultima istanza attraverso il Meccanismo di risoluzione unico europeo, alimentato dai contributi delle stesse banche.
8 La sorveglianza sui conti pubblici si indebolisce?
Non viene rafforzato il Mes, ma al tempo stesso c’è il nuovo patto di Stabilità, che dovrebbe fornire ampie garanzie sul rispetto degli obiettivi di bilancio dei Paesi membri.
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 22 dic 2023 20:14

pagheremo carissimo il nostro isolamento la prossima volta che si dovrà trattare con l'Europa su questioni economiche
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Re: Diario economico

Messaggioda Tex Willer » 23 dic 2023 11:34

La democrazia è una bellissima cosa, ma quando si inizia la campagna elettorale il giorno dopo aver fatto le elezioni i risultati sono questi qui.
Con l'Europa dobbiamo per forza fare passi cauti, nella nostra situazione: respingere il MES è una dichiarazione di guerra che parla alla pancia dei tanti nostalgici dei bei tempi della liretta che si svalutava e faceva ripartire l'export(al Nord principalmente). Uno spottone pro Lega e pro Salvini che la Meloni pagherà al altissismo prezzo(echissenefrega)ma che pagheremo tutti alla prima turbolenza dei mercati.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 23 dic 2023 14:30

Tex Willer ha scritto:La democrazia è una bellissima cosa, ma quando si inizia la campagna elettorale il giorno dopo aver fatto le elezioni i risultati sono questi qui.
Con l'Europa dobbiamo per forza fare passi cauti, nella nostra situazione: respingere il MES è una dichiarazione di guerra che parla alla pancia dei tanti nostalgici dei bei tempi della liretta che si svalutava e faceva ripartire l'export(al Nord principalmente). Uno spottone pro Lega e pro Salvini che la Meloni pagherà al altissismo prezzo(echissenefrega)ma che pagheremo tutti alla prima turbolenza dei mercati.


Per nostra fortuna quel cretino di Salvini al massimo passerà dall'8% al 9%, io suo tempo lo ha fatto, è una cartolina dal passato recente.
Non vedo l'ora che lui e chi la pensa come lui nella Lega spariscano, sono una palla al piede per il futuro della nazione. Peggio dei Fratellici (e con questo ho detto tutto).
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 23 dic 2023 23:42

Non credete a quei cialtroni al governo, specie se vanno in tv a farsi belli.
Qui le stime del think tank Bruegel sugli aggiustamenti al bilancio italiano necessari col nuovo patto di stabilità (che non è il MES). Disclosure, sono altissimi.

https://phastidio.net/2023/12/22/fazzolari-e-i-risparmi-letali/
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 02 gen 2024 22:47

Ennesimo esempio di bacino elettorale da proteggere in barba alle norme europee ed ai principi della concorrenza e del libero mercato.

Come per le concessioni ai balneari, un anno fa, ora anche per quelle agli ambulanti contenute nella legge sulla Concorrenza il Capo dello Stato ravvisa “rilevanti perplessità di ordine costituzionale”.
Mattarella stila un lungo elenco, molto tecnico, di incongruenze, lamentando che la legge è basata su una concezione tale da premiare l’esistente, garantendo chi ha già.
Ciò è avvenuto “introducendo nel commercio su aree pubbliche la proroga automatica della concessioni in essere, per un periodo lungo”. Il periodo lungo è di dodici anni. “Una proroga eccessiva e sproporzionata”, bacchetta il Quirinale. Con “l’incongruenza di prevedere una proroga automatica per quelle in essere (dodici anni, appunto) rispetto a quelle delle nuove concessioni”.
C'è già una prima risposta, di sfida: “Lega impegnata, come da anni anche in questi giorni, per garantire diritti e futuro alle migliaia di lavoratori e imprenditori del commercio ambulante e del settore balneare. Non ci arrendiamo a chi, nel nome dell'Europa, ha provato a svendere lavoro e sacrifici di migliaia di italiani”.

Che fanfaronata autarchica. E perché allora Salvini non sale di livello e proibisce le vendite di qualunque bene prodotto all'estero? Non sono mica le importazioni, figlie di lavoro straniero? Che perciò riduce quello locale?
E perché i cittadini italiani devono restare ancorati a questa casta, questo sistema corporativo degno del medioevo?
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Messaggioda tenente Drogo » 03 gen 2024 00:24

zampaflex ha scritto:Che fanfaronata autarchica.

strano, eh?

E perché allora Salvini non sale di livello e proibisce le vendite di qualunque bene prodotto all'estero?

non gli dare idee
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Messaggioda mennella » 03 gen 2024 11:21

A differenza di quanto sosteneva E.Cuccia in politica i voti si contano e non si pesano.

Tassisti, balneari, ambulanti a quando la prossima "corporazione" da difendere dall'aggressione della UE?
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 07 gen 2024 11:17

Mario Seminerio smonta le sfrenate fantasie del Governo sul MES.
Quante palle inventate per fini di propaganda autarchica e deficit libero...

https://phastidio.net/2023/12/28/cattivissimo-mes-o-dellitalico-stupidario/
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 12 gen 2024 12:23

tenente Drogo ha scritto:
zampaflex ha scritto:https://www.huffingtonpost.it/esteri/2023/12/16/news/houthi_israele_mar_rosso-14600468/

Adesso ci si mettono pure gli Houthi a fare danni.
Ovviamente sono filo iraniani.
Ovviamente gli iraniani hanno interesse a provocare danni al resto del mondo.
Ayatollah da fare sparire dalla faccia della terra come Hamas, quanto prima possibile.


adesso ci pensa zio Sam


ci stanno pensando
insieme a GB

è una guerra mondiale scomposta
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 16 gen 2024 23:15

Vi ricordate quelli che qualche anno fa rompevano le palle con il ritornello del "surplus tedesco" che danneggiava le altre economie europee?

Beh, a quanto pare è la recessione tedesca che le danneggia.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 18 gen 2024 00:14

Escono oggi un paio di articoli sull'evasione e sull'aiuto dato dal governo agli evasori con il concordato fiscale, una procedura giurassica, dannosa, capziosa, furfantesca, acchiappavoti.

Su 2,42 milioni di autonomi censiti sono 1,34 milioni, cioè il 55,4%, a fermarsi sotto la sufficienza, rappresentata dall’«8», delle pagelle fiscali. Ma in questo gruppo il reddito medio dichiarato si ferma a 23.530 euro all’anno, il 68,5% in meno dei 74.698 euro dichiarati dai contribuenti «affidabili »: in pratica, questi ultimi dichiarano mediamente più del triplo degli altri.
Ma sia promossi che bocciati potranno beneficiare del concordato preventivo.

Nella versione finale che arriverà in consiglio dei ministri entro la fine del mese, il concordato biennale chiamato a far siglare tra fisco e autonomi accordi preventivi sul reddito da dichiarare (e quindi sulle imposte da pagare) aprirà le porte a tutte le partite Iva, senza escludere quelle considerate «inaffidabili» in base agli indici sintetici come previsto dal testo approvato in prima lettura dal Governo il 3 novembre. Ma nel costruire le proprie proposte, l’amministrazione finanziaria non sarà vincolata alla richiesta di non superare del 10% il reddito dichiarato dal contribuente nell’ultimo anno utile.
Si concluderà insomma con un pareggio la partita fra il Governo e il Parlamento su uno degli snodi chiave della riforma fiscale per gli autonomi. Messa in questi termini, sembra una battaglia teorica da addetti ai lavori: ma rivela immediatamente il suo
fitto risvolto pratico quando si guardano i numeri reali o, per dire meglio, i redditi dichiarati dalle diverse categorie di partite Iva. Per capire il punto, è bene partire dalla morale della favola: si tratta di decidere se il nuovo strumento dovrà puntare a recuperare il maggior gettito possibile o a evitare troppi problemi ai diretti interessati, in un equilibrio delicato fra lotta all’evasione e sanatoria preventiva che andrà trovato nella formulazione delle proposte sui redditi. L’obiettivo è di «stimolare sempre di più la gente ad adeguarsi e a essere confidenti con il fisco», ha assicurato ieri al Senato il viceministro all’Economia Maurizio Leo (FdI), il regista della riforma.
Il fatto è che il mondo delle partite Iva è diviso in due gruppi, separati da quello che a tutti gli effetti appare un baratro enorme. Il confine oggi è tracciato dalle pagelle fiscali, gli «indici sintetici di affidabilità» che dal 2018 hanno sostituito i vecchi studi di settore nel tentativo di fotografare i redditi effettivi di lavoratori autonomi, professionisti e microaziende. In base a una serie di indicatori che tengono conto, oltre ovviamente che del settore di attività, di parametri congiunturali
e territoriali, gli Isa assegnano a ogni contribuente un voto in base al reddito dichiarato. Dall’8 in su si è considerati «affidabili», sotto si è giudicati a rischio evasione e più esposti agli accertamenti.
In questa condizione si trova la maggioranza delle partite Iva interessate dagli studi di settore. Nella radiografia delle dichiarazioni 2022 sui redditi 2021, in base agli ultimi dati resi disponibili dal dipartimento Finanze sul proprio sito ufficiale, su 2,42 milioni di autonomi censiti erano 1,34 milioni, cioè il 55,4%, a fermarsi sotto la sufficienza rappresentata dall’«8». Ma, e qui arriva il dato chiave, in questo gruppo il reddito medio dichiarato si ferma a 23.530 euro all’anno, vale a dire il 68,5% in
meno dei 74.698 euro dichiarati dai contribuenti «affidabili». Questi ultimi, in pratica, dichiarano mediamente più del triplo (3,17 volte per la precisione) le cifre comunicate al Fisco dagli altri. La distanza è allargata anche dal fatto che in maggioranza chi si colloca sopra l’8 si avvicina in genera ai pieni voti (10), mentre chi è sotto si divide a sua volta in due gruppi, più o meno paritari, tra chi è a un passo dalla sufficienza e chi invece si ferma sui primissimi scalini nella graduatoria
dei giudizi (e del rischio evasione).
La media generale è il frutto di forbici che si ripetono in tutte le 175 categorie indicate dagli Isa. Nelle società immobiliari, il gruppo più numeroso, gli «affidabili» dichiarano in media 65.503 euro all’anno, mentre chi si ferma prima dell’«8» indica 13.816 euro (il 78,9% in meno). Nella ristorazione commerciale si passa dai 38.387 euro lordi annui medi dei contribuenti «virtuosi» ai soli 3.362 degli insufficienti (-91,2%), nei negozi di abbigliamento si va da 34.889 a 4.424 euro (-87,3%) e in bar e pasticcerie il primo gruppo dichiara 29.107 euro mentre il secondo non va oltre i 5.633 (-80,6%); uno stabilimento balneare giudicato fedele al Fisco indica in media 46.401 euro all’anno, gli altri dicono di accontentarsi di 13.853 euro. Le quote più
ampie di dichiarazioni «insufficienti» si incontrano tra lavanderie (82,9%), noleggi auto (78,2%) e servizi di assistenza (76,1%), mentre all’altro capo della classifica studi medici e farmacie sono gli unici a raccogliere più del 75% di voti sopra l’8.
Dati come questi aiutano a indicare dove cresce quel «tax gap» che anche l’ultimo rapporto del ministero dell’Economia sul tema indica in un 68,8% (cioè: 68,8 euro ogni 100 teoricamente dovuti sfuggono alle casse dello Stato) che negli ultimi tre anni monitorati ha sottratto mediamente 31,2 miliardi l’anno di Irpef da lavoro autonomo o impresa al bilancio pubblico. Il nuovo concordato preventivo biennale deve partire da qui: trovando il modo di far aderire, nel tempo, la quota più ampia possibile di contribuenti anche senza presentare loro offerte troppo generose per essere rifiutate.
Anche perché fra i suoi compiti ci sarà anche quello di far maturare almeno una parte delle coperture strutturali che servono a confermare e far avanzare nei prossimi anni la riforma dell’Irpef per chi la paga.

Dopo la revisione di settembre dell’Istat dei dati sul pil, il Mef a inizio anno ha pubblicato l’aggiornamento della relazione sull’evasione fiscale per gli anni 2016-2021. Si tratta, quindi, del periodo che precede il governo Meloni.
I dati, che forse avrebbero meritato un maggiore risalto e una discussione più ampia, sono positivi.
L’evasione fiscale e contributiva risulta ancora molto elevata (83,7 miliardi nel 2021), ma in forte calo (era 107,7 miliardi nel 2016): 24 miliardi in meno.
Questo trend che dura ormai un periodo ampio dimostra che diversi provvedimenti di contrasto all’evasione (split payment, reverse charge, fatturazione elettronica) hanno funzionato, come è evidente dalla forte riduzione del tax gap dell’Iva (-16 miliardi).
Dall’aggiornamento della relazione emergono due aspetti rilevanti.
Il primo è che la forte riduzione dell’evasione che si è registrata nel 2020 (da 100 a 86 miliardi) è proseguita anche nel 2021, con un ulteriore calo in valore assoluto (83,7 miliardi) nonostante il forte rimbalzo. Si poteva pensare che il calo del sommerso fosse dovuto solo ai lockdown, alle restrizioni per contrastare la pandemia e alla conseguente recessione, e invece con la ripresa post-Covid non c’è stato un ritorno alle abitudini precedenti: il tax gap (cioè il rapporto tra imposte evase e quelle teoriche) si è ulteriormente ridotto di circa due punti (dal 17,2 al 15,3 per cento).
L’altra notizia positiva riguarda proprio questo indicatore, che è più basso dell’obiettivo del Pnrr per il 2024.
L’obiettivo quantitativo del Pnrr, che era ritenuto ambizioso, indicava un calo della propensione al gap (al netto di Imu e accise) almeno al 15,8 per cento entro il 2024, con una riduzione del 15 per cento rispetto al 2019: i dati dicono che già nel 2021 questo indicatore è al 15,2 per cento, con una riduzione del 18,2 per cento rispetto al 2019. In pratica, il governo Meloni ha ereditato il raggiungimento di un difficile obiettivo con largo anticipo.
La principale nota negativa della relazione riguarda l’evasione degli autonomi. C’è una riduzione in valore assoluto di 3,3 miliardi dell’evasione, ma la propensione all’evasione che è elevatissima non solo non è diminuita ma è addirittura aumentata (dal 66 al 67 per cento). Questi numeri sfatano le teorie e le infelici dichiarazioni di Giorgia Meloni sul “pizzo di stato”, secondo cui la lotta all’evasione va fatta “dove sta davvero: le big company, le banche, le frodi sull’Iva, non il piccolo commerciante”. La lotta all’evasione delle società è stata fatta (tax gap su Ires e Iva sono in forte calo), mentre è tra gli autonomi che non si registrano progressi. E va anche al di là dell’Irpef, visto che come ha segnalato su Domani Alessandro Santoro, che è presidente della Commissione che elabora Relazione sull’evasione del Mef, la flat tax per gli autonomi “è esemplare” per come abbia incentivato “la massiccia sottodichiarazione del fatturato” per restare sotto la soglia che garantisce l’aliquota agevolata.



Tutti i governi vorrebbero spendere molto e tassare poco. I governi si distinguono però tra quelli che, almeno a parole, vogliono recuperare soldi dall’evasione fiscale e quelli che invece degli evasori fiscali ne fanno un serbatoio di voti. In un paese come il nostro, con un numero molto elevato di lavoratori autonomi e dove l’evasione fiscale del lavoro autonomo raggiunge il 70 per cento del reddito stimato, la tentazione è forte. Peccato perché una delle novità proposte dal governo Meloni, il concordato preventivo biennale (cioè l’accordo tra Agenzia delle entrate e contribuente su una dichiarazione “ragionevole” per i prossimi due anni), poteva essere un modo promettente per convincere “con le buone”gli evasori a dichiarare volontariamente qualcosa di più con la promessa, in cambio, di minori accertamenti.
Invece rischia di essere solo un aiuto agli evasori.
Oggi il fisco ha a disposizione una mole di dati pressoché infinita per capire dove sta l’evasione e ha strumenti nuovi come la fatturazione elettronica (che già ha fatto molto in passato per ridurre l’evasione) e le comunicazioni giornaliere delle banche sulle transazioni dei Pos che sono potenzialmente decisive per stanare gli evasori. Per ora l’Agenzia delle entrate usa come strumenti presuntivi gli Isa (Indici sintetici di affidabilità), degli indicatori da 1 a 10 a seconda della “affidabilità” della dichiarazione che scaturiscono dalla combinazione di dati di un modulo che ogni contribuente compila sulla base del suo bilancio e di poche altre informazioni aggiuntive (come il numero dei dipendenti e la superficie della sua attività).
Per essere utile, il concordato deve essere basato su dati obiettivi, migliorando gli Isa e aggiungendo anche qualche verifica sul campo, non può essere basato sulle dichiarazioni passate. Per il motivo banale che un evasore è uno che dichiara poco, se basi il suo concordato sulle sue dichiarazioni passate vuol dire che lo stai autorizzando a continuare a dichiarare poco: la maggioranza parlamentare sta proponendo esattamente questo. Si noti che il governo non aveva ancora specificato come intendesse declinare la delega e quindi applicare in pratica il concordato preventivo e la maggioranza parlamentare gli sta suggerendo il modo sbagliato di farlo.
La commissione Finanze guidata dal senatore Massimo Garavaglia (Lega) propone di emendare la proposta del governo sul concordato fiscale biennale che consentiva l’accesso al concordato solo a coloro i quali avessero un punteggio Isa uguale o superiore a 8 (un attestato di affidabilità relativa al reddito dichiarato). In un precedente articolo obiettavamo il fatto che, se si crede che gli Isa effettivamente consentano di distinguere tra contribuenti affidabili (sopra il punteggio di 8 ) e poco affidabili (sotto il punteggio di 8 ), non aveva molto senso proporre un concordato fiscale a coloro i quali risultavano affidabili. Il concordato, se si voleva recuperare gettito, si sarebbe dovuto proporre ai meno affidabili. Ma come sempre il diavolo sta nei dettagli, ovvero nella proposta di concordato da fare ai contribuenti non affidabili. Nel nostro articolo proponevamo che l’Agenzia delle entrate offrisse al contribuente con Isa minore di 8 un concordato che si concretizzasse in una somma da dichiarare pari a quella che guadagna un contribuente simile in tutto e per tutto (caratteristiche dell’attività e della sua localizzazione) ma con un Isa di 8 o superiore, usando così tutte le informazioni e i dati a disposizione dell’Agenzia non per punire i contribuenti, ma per confrontarsi con loro su una dichiarazione “ragionevole”in una fase di dichiarazione spontanea che non comporta nessun vincolo e nessun accertamento.
Ovviamente il contribuente con Isa basso accetterebbe solo se la minaccia dei controlli in caso di rifiuto del concordato fosse credibile. E’ vero che la commissione guidata da Garavaglia propone di estendere il concordato anche a coloro i quali hanno un Isa inferiore a 8, e fa bene, ma propone che l’Agenzia delle entrate possa chiedere a coloro i quali aderiscono al concordato di dichiarare un reddito pari a un valore non superiore al 10 per cento di quanto dichiarato l’anno precedente alla stipula del concordato. Cioè un concordato tutto basato sulle dichiarazioni del passato, quindi potenzialmente infedele al 70 per cento come indica la percentuale di reddito evaso, con buona pace del ruolo che avrebbero potuto giocare gli Isa. Questo, per coloro i quali hanno un Isa molto basso rappresenta un incentivo, ad esempio, per il 2024 a tenersi su un livello molto basso di reddito, che sarà poi il riferimento su cui si calcolerà il possibile incremento da dichiarare nell’anno successivo in
cui si aderirà al concordato, che permetterà di congelare le imposte da pagare per due anni. Sarebbe il meccanismo perfetto, non già per recuperare l’evasione, ma per giustificarla.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 18 gen 2024 00:27

Il sistema previdenziale italiano è «sostenibile» con 1,44 lavoratori per ogni pensionato. E lo sarà «anche tra 10-15 anni», quando la maggior parte dei baby boomer, nati dal dopoguerra al 1980, si sarà pensionato.
Lo sarebbe ancora di più, per l’XI Rapporto di Itinerari previdenziali presentato ieri alla Camera, se la spesa per l’assistenza fosse scorporata da quella per la previdenza. Vorrebbe dire un’Italia virtuosa che per le pensioni spende il 13% del Pil, «in linea con la media europea del 12,6%». E non il 16,7%, come comunicato da Roma a Bruxelles nel 2022.
Alberto Brambilla, autore del Rapporto e presidente di Itinerari Previdenziali, crede da anni nello scorporo delle due voci di spesa. Per un motivo ben preciso: «È fondamentale evitare che eccessive sovrastime convincano l’Europa a imporre tagli alle pensioni che presentano invece una spesa tutto sommato sotto controllo». Posizione condivisa dai sindacati. Sul punto, il leader della Cisl Luigi Sbarra torna a chiedere con urgenza al governo «un’operazione verità » e di «riaprire il confronto».
Questo non significa che sulle pensioni non ci sia niente da fare.
Anzi il professor Brambilla, un tempo consigliere di Matteo Salvini, ha rotto con la Lega proprio quando nel 2019 l’allora vicepremier si inventò Quota 100, seguita poi da Quota 102 e Quota 103. «Le pensioni devono smettere di essere terreno di conquista e facili consensi, ci vuole un patto di non belligeranza », dice. «L’Italia prenda consapevolezza di essere dinanzi alla più grande transizione demografica di tutti i tempi».
Per Brambilla le soluzioni sono tre.
Primo: «Limitare le numerose forme di anticipazione a pochi ed efficaci strumenti, come fondi esubero, isopensione e contratti di solidarietà ».
Secondo: «Bloccare l’anzianità contributiva a 42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne» con sconti per le madri e i lavoratori precoci e un «superbonus per quanti scelgono di restare al lavoro fino a 71 anni».
Terzo: «Equiparare le regole di pensionamento dei contributivi puri (i post-1996) a quelle degli altri lavoratori».
Nel 2022 l’Italia ha speso 559 miliardi per le prestazioni sociali: pensioni, sanità e assistenza. Il 6,2% in più del 2021, pari ad oltre la metà della spesa pubblica totale. Di questi però “solo” 248 miliardi riguardano le pensioni, coperte dai contributi versati da lavoratori e imprese. Se leviamo anche l’Irpef, si scende a 165 miliardi netti, l’8,64% del Pil. L’assistenza invece pesa per 157 miliardi: 4 milioni di prestazioni pagate dallo Stato a 3,7 milioni di beneficiari totalmente assistiti e altre 6,7 milioni di prestazioni per 2,8 milioni di soggetti parzialmente assistiti, con una qualche dote di contributi.
In totale, «i pensionati totalmente o parzialmente assistiti sono 6,6 milioni, il 41% del totale» dei 16,1 milioni di pensionati italiani, a cui va quasi la metà (46%) delle prestazioni erogate da Inps. «Una percentuale che non sembra rispecchiare le reali condizioni socio-economiche del Paese», sottolinea Brambilla. «A differenza delle pensioni finanziate dai contributi sociali, questi trattamenti gravano del tutto sulla fiscalità generale, senza neppure essere soggetti a tassazione».
Parliamo di invalidità civile, accompagnamento, assegni sociali, pensioni di guerra, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali. Istituti che servono a sostenere i più deboli, ma dove si annidano anche indebiti a danno di chi ha veramente bisogno.