Messaggioda zampaflex » 25 apr 2023 12:52
Posto oggi un articolo di due mesi fa sul nostro debito pubblico. Autarchia portami via.
Il programma di aste dei Btp ieri (metà febbraio) ha visto collocare 8,5 miliardi di titoli a 3-7 e 15 anni con rendimenti in lieve crescita rispetto alle aste precedenti. Del resto, il programma del Mef è incalzante: quest'anno dovrà collocare titoli a medio-lungo per circa 320 miliardi. Tanto che sul fronte governativo si stanno moltiplicando le tentazioni "autarchiche" per dare stabilità al debito pubblico italiano e sottrarlo agli shock di mercato: è l'obiettivo di Giorgia Meloni, con il suo progetto di Btp tricolore, o comunque "domestico e retail", sulla falsariga del debito giapponese. Ben più alto del nostro, in relazione al Pil: il 240% (rispetto al 145,7% italiano a fine 2022). Praticamente tutto in mano ai giapponesi.
In realtà, rispetto ai momenti di maggior tensione del passato - durante la crisi dei debiti sovrani del 2011 - la composizione dei detentori dei Btp è molto cambiata e sotto vari aspetti il quadro è ben più stabile. A fine 2011 infatti gli investitori esteri detenevano oltre il 40% dei titoli di Stato (42,38%) mentre la quota di debito pubblico in mano alle Banche centrali era decisamente più contenuta, il 5,6%. In compenso il retail domestico, quello che ora è l'obiettivo del governo per dare stabilità al debito, conservava nei suoi portafogli il 17,7% del totale del debito. Livello stellare, se paragonato al 7,7% che oggi è direttamente in mano alle famiglie, ma che tuttavia non aveva minimamente impedito le violentissime oscillazioni del 2011.
La differenza l'ha fatta in realtà la Bce e il "whatever it takes" voluto dall'allora presidente della Banca Centrale, Mario Draghi. L'inizio degli acquisti di bond (soprattutto pubblici) europei, nel marzo del 2015, ha gonfiato i forzieri della Bce di Btp, sorretto le quotazioni ma anche portato a una profonda ricomposizione dei detentori del debito pubblico italiano. A fine 2017, per esempio, la Bce aveva bond italiani pari al 16,8% del debito pubblico, la componente estera era già scesa al 36%, il retail si era ridotto a poco più del 9% (anche se la quota indiretta, attraverso i fondi comuni, era aumentata) mentre banche e assicurazioni erano poco sora il 35% (in crescita rispetto all'anno della crisi dei debiti sovrani).
Negli anni la tendenza è andata sempre più consolidandosi. Quindi, una quota crescente - fino al 31,4% del totale - in mano alla Bce (per il tramite della Banca d'Italia, in larghissima misura) una percentuale abbastanza stabile di banche, assicurazioni e fondi (grosso modo un terzo del debito pubblico) e una quota in costante discesa della componente estera, ora di poco sotto il 28%. Nota da segnalare, negli ultimi mesi sta risalendo proprio la componente del retail domestico: è al 7,7% rispetto al 6,5% del maggio scorso.
Ma in realtà i dati, sia quelli per i risparmiatori individuali sia tutti gli altri, si riferiscono all'ottobre 2022: quando cioè la lenta ritirata della Bce dal mercato dei titoli di Stato era appena partita. Prima c'è stata la fine degli acquisti post pandemici, limitandosi a rinnovo dei titoli in scadenza, ora si avvicina la tappa più incisiva, la riduzione del bilancio della Banca centrale; il che significa che i titoli che scadono non vengono più rinnovati.
La rete di protezione della Bce sta quindi per venir meno, potenzialmente rimettendo in discussione l'equilibrio tra le varie componenti dei detentori del debito pubblico italiano. Da qui l'attenzione ad ampliare la platea dei risparmiatori italiani ai collocamenti dei titoli di Stato. Incoraggiati, tra l'altro, da rendimenti tornati interessanti dopo un decennio di tassi vicini allo zero. Un obiettivo che il Mef stava già perseguendo con i governi precedenti, attraverso prodotti studiati proprio per il retail come il Btp Italia e il Btp Futura. Che tuttavia, differenza fondamentale, non creano barriere ed esclusioni normative: sono pensati per il mercato domestico, ma non hanno esclusioni e veti.
Non progredi est regredi