Messaggioda zampaflex » 04 apr 2023 11:57
Qualcuno avverta Giorgia Meloni che il «liceo del Made in Italy », di fatto, già ce l’abbiamo.
O meglio abbiamo una lunga serie di indirizzi, nei nostri istituti tecnici e professionali, perfettamente adatti allo scopo. Il problema è che sono snobbati dagli studenti, con percentuali di iscrizioni quasi impercettibili. Secondo i dati forniti dal ministero dell’Istruzione, solo l’1,5% degli iscritti al prossimo anno scolastico ha scelto l’indirizzo Agraria, Agroalimentare e Agroindustria.
Se vi sembrano pochi, sappiate che quelli che hanno optato per il Sistema Moda sono lo 0,3%. Vanno un po’ meglio gli indirizzi Meccanica, Meccatronica ed Energia insieme a Elettronica ed Elettrotecnica: gli iscritti solo il 2% del totale, eppure formano competenze fondamentali per alcuni settori del made in Italy.
Passando agli istituti professionali, lo scenario non cambia: l’indirizzo Agricoltura, Sviluppo Rurale, Valorizzazione dei Prodotti del Territorio e Gestione delle Risorse Forestali e Montane raccoglie solo lo 0,8% degli iscritti, mentre Industria e Artigianato per Il Made In Italy (si chiama proprio così) appena l’1,1%. Solo l’indirizzo Enogastronomia e Ospitalità alberghiera riesce a toccare il 4%, ma è comunque meno gettonato rispetto al liceo classico, dove andrà il 5,8% degli iscritti al prossimo anno scolastico, e sei volte meno attraente dello scientifico (26% delle iscrizioni). Insomma, il 57% degli studenti delle superiori iscritti al primo anno frequenterà un liceo: parliamo del 12% in più rispetto a quanto si registrava dieci anni fa. In alcune regioni, in particolare al Centro e al Sud, si arriva a punte di quasi il 70% di neoliceali.
E allora chissà che chiamarlo «liceo del Made in Italy» si riveli sufficiente ad attirare l’interesse delle famiglie (sulla scelta della scuola, a 13 anni, pesa inevitabilmente la volontà dei genitori) per percorsi formativi, che già esistono nel nostro ordinamento, ma vengono puntualmente trascurati.
Un’operazione simile a quella fatta con l’ex istituto magistrale, che oggi si chiama liceo delle scienze umane e, negli ultimi anni, ha registrato una buona crescita delle iscrizioni.
D’altra parte, c’è una grossa questione culturale da affrontare: da una ricerca svolta dal portale Skuola.net, emerge come solo il 20% degli studenti delle scuole superiori sia disposto a intraprendere percorsi professionali come quelli appena descritti.
Tutta colpa della “liceizzazione” della scuola italiana operata dalla sinistra salottiera, che ha «distrutto gli istituti tecnici», per dirla con la ministra Daniela Santanché (ma Meloni sottoscrive), e ha dimenticato le necessità lavorative dei figli dei ceti popolari?
Vecchio argomento retorico della destra, ma la storia, a livello legislativo, è un po’ diversa.
È stata la ministra Letizia Moratti, nel secondo governo Berlusconi (primi anni 2000), a portare a quota otto le tipologie di liceo esistenti. Al classico, allo scientifico e all’artistico, ne aggiunse cinque: il liceo economico, il musicale, il tecnologico, il già citato liceo delle scienze umane e il coreutico.
Poi nel 2011 è arrivata la riforma Gelmini, nel quarto governo Berlusconi (di cui faceva parte anche Meloni), a indebolire ulteriormente l’apprendimento lavorativo, tagliando le ore degli insegnamenti “di indirizzo” negli istituti tecnici e professionali. In sostanza, le attività nei laboratori, quelle più formative in determinati percorsi di studio. Guarda caso, le iscrizioni agli istituti professionali dal 2003 (riforma Moratti) al 2019 si sono dimezzate.
Quindi, Santadeché ignorante e bugiarda, e destra come al solito distruttiva.
Non progredi est regredi