Messaggioda zampaflex » 10 feb 2023 10:05
Dal Foglio, interessantissimo articolo sulla guerra sotterranea che Vlad conduce contro l'Occidente.
Visi di granito grigiastro. Espressioni facciali
assenti e voci monocorde. Occhi
che esprimono prima di tutto un’efferatezza
distaccata, una brutalità abusata al punto
da diventare noia. Chiunque abbia provato a
leggere nelle espressioni dei generali di
Vladimir Putin è rimasto intrappolato in un
labirinto di contraddizioni pericolose e audaci
previsioni smentite puntualmente dalle
decisioni del presidente russo. Meglio
non giocare a interpretare il bagliore brutale
degli sguardi dei generali di Mosca, tanto
ingessati da sembrare finti, robotici, impigliati
in una teca fatta di violenze e rimpianti
per un impero da riconquistare con ogni
mezzo. Tra tutti i generali, tutti gli uomini in
mostrine del presidente, uno su tutti ha scatenato
previsioni inesatte, aspettative infrante,
speculazioni sfrontate: Valeri Vasilevic
Gerasimov, nato a Kazan nel 1955, in
uniforme, prima sovietica e poi russa, dal
1976. Gerasimov è il capo di stato maggiore
delle Forze armate russe e tra tutti i volti
inespressivi dell’esercito di Mosca, il suo è il
più refrattario alla mimica. I romantici si
chiedono se abbia un’anima, gli sfrontati se
abbia una testa con cui pensare o se sia programmato
soltanto per obbedire. Gerasimov
parla pochissimo, sorride altrettanto, fa parte
della triade che decide se lanciare o meno
un ordigno nucleare – gli altri due sono il
presidente e il ministro della Difesa Sergei
Shoigu. Ha vissuto tutte le guerre russe, inclusa
la Cecenia e da gennaio è a capo della
guerra in Ucraina. Una promozione? No, occuparsi
del campo di battaglia è un calice
amaro e Gerasimov dovrà confrontarsi con
le aspettative molto alte di Putin che non ha
esperienza militare: se fallisce, potrebbe
sperimentare la fine rapida di una carriera
lunga. Poco dopo il suo nuovo incarico, il
generale Gerasimov ha rilasciato un’intervi -
sta a Argumenty i Fakty, un settimanale che
raccoglie spesso le dichiarazioni di uomini
importanti della cerchia del potere russo. In
quell’occasione disse che per la Russia la
vera minaccia non veniva dall’Ucraina ma
dalla Nato, dalla sua espansione, e quindi
bisognava pensare a neutralizzare i pericoli
dell’occidente. Aveva prospettato riforme
delle Forze armate russe per fronteggiare
questa minaccia e aveva promesso di neutralizzare
le insidie che provenivano
dall’“occidente collettivo”, termine con cui
Putin e i suoi si riferiscono in generale ai
paesi non autocratici. Ci si aspettava qualcosa
di più da questo generale di poche parole:
un manifesto programmatico delle
Forze armate, un testamento sui futuri mesi
di guerra. Invece l’intervista ad Argumenty i
Fakty poco aveva a che fare con l’articolo
dal titolo: “Il valore della scienza nella previsione”,
uscito nel 2013 sulla rivista Voenno
Promyshlennyj Kur’er, e che fu interpretato
come il pilastro delle future guerre di Mosca,
tanto da essere conosciuto come “la dottrina
Gerasimov”.
I confini della guerra. Partiamo da una
precisazione: la dottrina Gerasimov non esiste.
Fu Mark Galeotti, grande esperto di questioni
russe, a dare questo nome all’articolo
del generale russo, salvo poi pentirsene
qualche tempo dopo. In un articolo pubblicato
su Foreign Policy lo studioso spiegò che
la definizione gli servì per descrivere la
guerra non lineare russa e rendere più comprensibili
concetti altrimenti complessi. Il
danno però era ormai fatto e lo scritto di
Gerasimov è stato preso come una dottrina
e, soprattutto, al generale sono state affibbiate
capacità di predizione e vaticinio: l’ar -
ticolo era apparso un anno prima dell’occu -
pazione della Crimea e della guerra nel
Donbas e nessuno lo aveva preso in considerazione,
ma dopo gli eventi in Ucraina del
2014 divenne un testo letto e riletto per capire
le aspirazioni belliche di Mosca. Rileggendolo,
si trovano informazioni importanti,
come l’attenzione che da sempre ha Mosca
per le operazioni di maskirovka e di infowar.
Mascherare, manipolare, insinuarsi nelle
menti e nelle informazioni ha portato Mosca
a investire sempre di più in questo tipo di
attacchi che da tempo sono rivolti contro i
paesi occidentali. A fianco a queste operazioni,
il Cremlino non ha mai smesso di
sguinzagliare la sua rete di spionaggio,
un’arma che dopo l’invasione dell’Ucraina è
rimasta piuttosto spuntata. Contro Kyiv Mosca
usa le bombe, parallelamente contro gli
alleati occidentali, la guerra russa prevede
un arsenale diverso. Alcuni paesi europei lo
temono più di altri, si sono corazzati e hanno
paura che queste offensive possano aumentare.
Tra i fronti senza bombe, c’è ne è uno
più esposto degli altri, lo ha detto anche il
generale Gerasimov: quello del nord, dove
la Russia ha fatto venire una grandissima
voglia di Alleanza atlantica.
Il rogo del Corano in Svezia. Indagando
sulla protesta in Svezia in cui è stato bruciato
un Corano, il 21 gennaio scorso, s’è scoperta,
senza troppo stupore, un’interferenza
russa. La protesta è stata guidata da Rasmus
Paludan, un politico danese di estrema destra
che non è nuovo a questo genere di operazioni
ma che ha detto che l’idea era “di
alcuni svedesi che volevano che io bruciassi
un Corano di fronte all’ambasciata turca”.
Secondo alcuni media svedesi, il permesso
per fare la protesta è stato richiesto da
Chang Frick, un giornalista sostenitore di
Vladimir Putin che ha lavorato per Russia
Today e ha creato un suo sito di informazione
“alternativa”, che si chiama Nyheter
Idag. Il nome di Frick compare in un’inchie -
sta del New York Times del 2019 che raccontava
le interferenze della Russia nella politica
e nella società svedese, tra provocazioni
e sostegno ai media di estrema destra che
hanno contributo a polarizzare il dibattito
(anche) in Svezia. Frick ha detto di essere
stato contattato da un sito svedese, Exakt24,
che gli ha detto che un politico danese stava
organizzando una protesta ma aveva bisogno
che qualcuno facesse la richiesta e pagasse
la tariffa prevista: Frick ha detto di
averlo fatto in nome della libertà di espressione.
Exakt24 ha però fornito una versione
diversa: il sito è stato contattato da Frick
che stava cercando qualcuno che bruciasse
un Corano davanti all’ambasciata turca e
che avrebbe pagato lui tutte le spese. Exakt24
ha detto: chiamate Paludan. Frick ha
poi detto a un altro media svedese di non
avere più rapporti con Russia Today dal
2014. Un “giornalista indipendente” finlan -
dese che sostiene la Russia, Panu Huuhtanen,
ha detto che vorrebbe ripetere la protesta
e il rogo in Finlandia, sempre davanti
all’ambasciata turca. Recep Tayyip Erdogan,
presidente turco alle prese con le conseguenze
del terremoto devastante tra Turchia
e Siria, e che in primavera ha una tornata
elettorale delicata, ha preso al volo il
pretesto del rogo del Corano per rimandare
ulteriormente il suo voto di ratifica
dell’adesione della Svezia alla Nato. Naturalmente
la Russia, che dopo un anno di
bombe e attacchi in Ucraina continua ancora
a ripetere che è la belligeranza di una
Nato molto allargata ad averlo costretto
all’invasione, apprezza il procrastinarsi della
decisione sulla Svezia e sulla Finlandia,
l’altro paese che aspetta il voto turco. Erdogan
sta sfruttando al massimo questo suo
ruolo decisivo nell’Alleanza atlantica per
ottenere il più possibile: armi dagli americani,
mano libera contro i curdi in Siria, la
consegna da parte di Stoccolma di oltre cento
persone, comprese alcune che hanno il
diritto d’asilo in Svezia perché considerate
dissidenti e che invece per Ankara sono terroristi.
In Svezia la comunità curda è grande,
circa 100 mila persone, in Finlandia 15
mila. Mentre Erdogan s’appiglia a ogni pretesto
per estendere il proprio potere tra gli
alleati occidentali, gli agitatori filoputiniani
sono molto attivi per costruirglieli, questi
pretesti.
A scuola di disinformazione. La Finlandia,
in questo triangolo con la Turchia, è in una
posizione privilegiata: alcuni commentatori
dicono che anzi Erdogan potrebbe dare il
via libera all’adesione di Helsinki ma non di
Stoccolma, giusto per creare un ulteriore
grattacapo alla Nato, con tutto vantaggio di
Mosca. In Finlandia la lotta alla propaganda
russa è diventata una materia scolastica,
tanto che secondo un’indagine sulla “alfa -
betizzazione mediatica”, cioè sulla capacità
di decifrare le fake news nel flusso frammentato
dell’informazione, il paese compare
al primo posto, seguito da Norvegia, Danimarca,
Estonia, Svezia e Irlanda (l’indice è
stato calcolato dall’Open Society Institute di
Sofia: non stupirà sapere che l’Italia sta nella
seconda metà della classifica dei 41 paesi
europei, assieme a Slovacchia, Croazia, Malta,
Ungheria e Cipro). In Finlandia, che come
è noto ha un sistema scolastico molto
riconosciuto nel mondo (e un gran rispetto
degli insegnanti e in genere delle istituzioni:
anche per questo hanno fatto tanto scandalo
i balli festaioli della premier, Sanna
Marin, che ha dovuto scusarsi pubblicamente)
l’alfabetizzazione mediatica inizia, in
modo giocoso, fin dalla scuola materna. Il
programma è iniziato nel 2013, comincia dai
fondamentali, come illustrare la differenza
tra quel che si vede su TikTok e quel che si
legge sui giornali finnici e poi si procede
con l’analisi dei titoli, dei testi, delle fonti,
dei video. Un modo facile per intercettare la
propaganda straniera, hanno raccontato alcuni
insegnanti al New York Times, è la lingua:
se ci sono errori di grammatica o di sintassi,
probabilmente è stato usato un traduttore
automatico. Una professoressa ha fatto
un test proprio sui video delle feste della
Marin: nonostante l’attenzione alla materia,
buona parte dei suoi studenti era convinta
che la premier avesse assunto delle droghe.
L’ho visto su TikTok, dicevano i ragazzi. Secondo
molte fonti, era la propaganda russa.
Le spie ovunque. Il 24 ottobre scorso, la
polizia norvegese è arrivata all’Università
di Tromso, sul circolo polare artico, con un
mandato d’arresto: cercava José Giammaria,
un ricercatore brasiliano che si era autofinanziato
la ricerca (cosa piuttosto rara) e
piuttosto taciturno. Il suo vero nome era Mikhail
Mikushin, ed era una spia russa: in effetti,
hanno poi detto i colleghi, non lo avevano
mai sentito parlare portoghese, né delle
sue ricerche. Così, nello sconcerto di tutti,
è diventato chiaro che oltre alla disinformazione,
e ben oltre la minaccia militare, i paesi
europei, soprattutto quelli più duri con la
Russia, sono pieni di spie e di sabotatori. In
Germania ci sono droni che volano sopra le
basi dove si addestrano i soldati ucraini: potrebbero
essere russi; alcuni cavi marini vicini
alla costa francese sono stati sabotati e
resi inutilizzabili: potrebbero essere stati i
russi, e via di esempi e sospetti. La Russia
parla da sempre di “isteria” nei suoi confronti,
ma i paesi europei hanno imparato
che l’attenzione non è mai abbastanza: il governo
di Oslo registra tutti gli incidenti ritenuti
strani, sabotaggi, droni non identificati,
o le forniture d’acqua che non funzionano
più proprio vicino alle basi militari. Poi indaga
e tira i fili: al momento è in corso il
processo ad Andrei Yakunin, figlio di Vladimir
Yakunin, uno stretto collaboratore di
Putin, che è accusato di aver fatto volare
droni-spia dal suo yacht, il Firebird. Lui nega,
“non sono una spia, ho solo la collezione
dei film di James Bond”, ha detto con un
sorriso sprezzante. Un altro ingegnere russo
è accusato di spionaggio perché è stato trovato
con delle foto di mezzi militari scattate
da una cancellata. Anche lui dice di non
aver fatto nulla di illegale, ma a differenza
del figlio di papà sullo yacht, piange in tribunale
dicendo che è l’unico a poter sostentare
la sua famiglia e deve tornare a lavorare.
Anche le autorità e i giudici norvegesi si
muovono con molta cautela: sanno che le ingerenze
del Cremlino sono molte e multiformi,
ma non vogliono cadere nell’altra trappola,
quella della discriminazione di chi ha
la nazionalità russa.
La corazza di Visegrád. Non c’è campo che
la Russia ritenga troppo arduo per le capacità
della sua disinformazione. Non c’è frontiera
che non tenti di abbattere. Oltre a impegnarsi
a nord, anche nel composito universo
di Visegrád tenta di agire e fare pressione
sull’opinione pubblica. In Ungheria
riceve un buon aiuto dalla grancassa del primo
ministro Viktor Orbán e anche nella vicina
Slovacchia è riuscita a farsi strada nella
popolazione, nonostante il governo di Bratislava
abbia tenuto nei confronti della guerra
un atteggiamento molto diverso rispetto a
quello di Budapest. A luglio il giornale slovacco
Dennik N aveva fatto un sondaggio tra
la popolazione e aveva scoperto che la maggior
parte dei cittadini credeva nella vittoria
della Russia in Ucraina. A dicembre il
quotidiano è tornato sull’argomento scoprendo
che i sostenitori di una vittoria di
Mosca si dividevano in hard e soft, i primi
traggono principalmente le notizie da internet,
sono convinti che Zelensky sia nascosto
chissà dove e credono che i media tradizionali
eseguono il compito ricevuto dalle istituzioni:
coprire la verità. La Slovacchia è
ritenuto un campo abbastanza semplice per
la disinformazione, ma forti tentativi di modellare
l’opinione pubblica ci sono stati anche
in Polonia. Una delle prime teorie del
complotto sullo scoppio della guerra raccontava
che ci fosse un asse assai bislacco
tra Russia, Polonia e Ungheria per spartirsi
l’Ucraina. Nelle scorse settimane una bufala
che aveva a che fare con la Polonia si è
insinuata anche nel dibattito italiano ed è
stata ripetuta da esperti e analisti in televisione.
La notizia riguardava l’entrata in
guerra in primavera di soldati polacchi
mandati dal governo a combattere al fianco
dell’esercito di Kyiv. La notizia arrivava da
un un sito polacco, il Niezalezny dziennik
polityczny, che raccontava come Varsavia
preparasse un’operazione su larga scala in
Ucraina. La notizia è stata ripetuta più e più
volte anche nella Duma russa, dove più di
un deputato sicuramente è al corrente del
fatto che il giornale polacco ha una storia
alquanto oscura e un legame con i servizi
segreti russi.
In Polonia la propaganda russa pare aver
pensato anche a idee più bizzarre per indebolire
il sostegno dei polacchi. Una delle
bufale messe in circolazione sui social riguarda
il fatto che chi fugge dall’Ucraina
cerca una vita stabile in Polonia e sono soprattutto
le donne ad andarsene e, consapevoli
che potrebbero non rivedere più i loro
mariti, si affrettano a irretire uomini polacchi,
sottraendoli così alle povere polacche
che, non soltanto si sarebbero tanto adoperate
per aiutare le ucraine con i loro bambini
in fuga dalla guerra, ma ne riceverebbero
in cambio uno sgarro tanto subdolo. Questa
bufala è girata molto sui social, dove account
femminili si beffano dell’accoglienza
di Varsavia e probabilmente in qualcuno
avrà anche fatto breccia, nonostante il popolo
polacco sia coriaceo nei confronti della
disinformazione di Mosca. Ognuno ha le proprie
debolezze, ma cari troll e care trollesse,
tra popoli fratelli si condivide tutto.
Non progredi est regredi