Messaggioda ferrari federico » 27 mar 2024 00:33
“un vino tecnicamente ben fatto ma lontano dal territorio”
“risultati che alterano un po' la collocazione geografica della chiavennasca”
Mi sembra qui, dunque, che si sia arrivati a discutere del tema “tipicità”… cosa è la “tipicità” del vino valtellinese.
Premetto che per me tipicità vuole dire essenzialmente legame con il territorio non uniformità di stile né tantomeno attaccamento alle tradizioni anche quando sono “cattive”.
Quando ho conosciuto da vicino la prima volta il vino valtellinese, negli anni novanta, la situazione era questa: da una parte sopravviveva a stento una tradizione fatta di vini molto diluiti, profumati e tutto sommato fini - a loro modo - ma alquanto rustici alla beva, quasi sempre troppo acida, e troppo spesso imprecisi e fuori fuoco, con puzzette date dalle botti di castagno non sempre pulite e da vendemmie che “buttavano dentro” un po’ di tutto, compresi grappoli marci e uve bianche; dall’altro lato alcuni uomini di punta del Consorzio, Maule, Introini, Triacca, Fay e Rainoldi (solo in seguito si è aggiunto Mamete Prevostini) che, spinti sull’onda del “modernismo” stile Barolo boys che in quegli anni imperversava, “guidati” dalle recensioni positive dell’amico Giacomo Mojoli sulla guida del Gambero Rosso, puntavano tutto su barriques e Sforzato, che nella loro ottica avrebbe dovuto diventare il nuovo Amarone anche in termini di successo di mercato.
Pelizzatti Perego era a sé stante: non puntava né sui legni piccoli né sullo Sforzato ma i suoi vini dell’epoca uscivano spesso già “stanchi” (successivamente sono stati descritti come “autunnali” non a caso…).
Il modello attuale, mi sembra dagli assaggi degli ultimi anni, sia una evoluzione dello stile Ar.Pe.Pe., con rese più basse in vigna e più attenzione ai processi di cantina, mescolato alla ricerca di una fruizione più moderna, che adegui la raffinatezza e l’esuberanza dei profumi con una beva più pronta e accogliente.
Se questo vuole dire “distaccarsi dalla tipicità”, quando la tipicità era a volte fatta di acidità e puzzette, sono contento che sia accaduto.
Anzi, mi sembra che questa new wave di produttori, che negli anni ‘90 non esistevano, unitamente alla evoluzione dei migliori produttori precedenti (Ar.Pe.Pe., Negri, Rainoldi, Fay e Prevostini) siano riusciti a portare il vino valtellinese ad un livello di qualità che vent’anni fa era sconosciuto, se non per certe grandi annate di Pelizzatti e di Negri. Sono contento anche del fatto che oggi come oggi mi sembra che molti, giustamente, puntino più sui Valtellina Superiore (Sassella ecc.) che non sullo Sforzato, vino che a mio parere è sempre stato sopravvalutato: quello, si, poco legato al terroir, difficile da bere perché troppo alcolico e troppo simile, anzi, troppo poco diverso dall’Amarone, senza averne la fruttata suadenza.