Analisi dei distretti italiani: quelli meglio organizzati continuano a crescere e alcuni fanno meglio che prima della prima crisi del 2008. Articolo che parte da queste analisi di Banca Intesa.
http://www.group.intesasanpaolo.com/scriptIsir0/si09/studi/ita_distretti.jspCibo, vino e meccanica: così i distretti industriali hanno battuto la crisi
Il fatturato è cresciuto del 13% tra 2008 e 2017, anche i margini hanno colmato il gap. Buone nuove per le imprese giovanili nel Mezzogiorno. Aumenta la gittata dell'export: ora i prodotti del Made in Italy fanno 400 chilometri in più per arrivare ai mercati di sbocco.
Sono gli alimentari e la meccanica gli ingranaggi più oleati della ripresa economica italiana degli ultimi tempi. Sono loro i distretti industriali che si mettono più in luce per l'espansione di margini e fatturato nel biennio 2016-2017. L'esser parte di un blocco di industrie che lavorano nella stessa filiera è una garanzia di performance migliori rispetto alla media, dicono i numeri del recente passato; e il traino dell'export è una assicurazione di crescita sostenuta anche per il prossimo futuro. Innovazione, qualità e marchi in crescita sono alla base di un tessuto industriale che sta dimostrando una spiccata capacità di rinnovarsi, se si guarda all'avvento di imprese condotte da giovani: un fenomeno che - una volta tanto - permette di guardare con ottimismo anche ai dati provenienti dal Mezzogiorno.
Queste le evidenze del corposo lavoro della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo riassunte nel decimo Rapporto sull'economia e finanza dei Distretti industriali, presentato stamattina a Milano dal Consigliere Delegato Carlo Messina, insieme al capoeconomista Gregorio De Felice e al responsabile della Ricerca Industry & Banking Fabrizio Guelpa. Nel rapporto confluiscono i bilanci aziendali degli anni 2008-16 di quasi 18.000 imprese appartenenti a 153 distretti industriali e di quasi 54.000 imprese non-distrettuali, attive negli stessi settori di specializzazione.
A guardare la classifica dei migliori distretti per crescita e redditività spiccano i colori verde dell'agro-alimentare e arancione della meccanica, anche se il primato va all'occhialeria bellunese che va al traino del colosso Luxottica. Nel mondo del cibo e del bere, meritano i primi posti il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene e i salumi di Parma.
A livello di numeri aggregati, i distretti vantano una crescita del fatturato del 13% tra il 2008 e il 2017, che supera dunque il +8,7% delle aziende che operano negli stessi settori ma fuori dalle aree distrettuali. L'agroalimentare spicca con un balzo del 29% abbondante, come a dire che gli affari sono cresciuti di un quarto nonostante la dura crisi.
"Anche i margini unitari sono ormai su livelli superiori a quelli pre-crisi. Al contrario, al di fuori dei distretti il divario è ancora significativo". Nel solo biennio 2016-2017, il margine operativo lordo si è attestato in media al 7,6% del fatturato, spiega la ricerca, in seguito alla debolezza dei prezzi.
Nel prossimo futuro, le previsioni sono positive con una crescita per il biennio 2018-19 stimata in accelerazione al +5,8% cumulato, "trainata nuovamente dai mercati esteri, in presenza di una domanda interna che rimane sostenuta, con un maggior ruolo per i beni di investimento.
In particolare, un contributo importante potrà venire dalla filiera metalmeccanica, sulla spinta degli investimenti in macchinari, a loro volta supportati dalle misure di incentivazione previste nel Piano Industria 4.0", dice il rapporto. (mia nota: recentemente qui si è discusso di cosa aveva fatto il Governo per il sistema industriale: ecco, la validità di questa iniziativa è certificata dalle cifre)
Ma qual è la ricetta per questi numeri superiori alla media? Gli esperti li chiamano fattori di competitività, e dentro ai distretti italiani non sono pochi. A partire dalla forza con la quale il tessuto produttivo è uscito dalla crisi, che è stata però pagata dai lavoratori. "La base produttiva ha subito modifiche importanti, risultando ridimensionata in termini numerici ma ampliata per valori di fatturato (+12,3 miliardi di euro)", dice il rapporto. Marchi registrati, brevetti e certificazioni di qualità sono aumentati, così come è cresciuta la gittata delle esportazioni: ora i prodotti Made in Italy fanno in media 400 chilometri in più per arrivare sui mercati di sbocco (si va dai 3.900 chilometri dei materiali per le costruzioni a 2.700 degli elettrodomestici).
Da citare poi l'inversione di marcia (re-shoring) delle produzioni, che in parte stanno tornando in Italia soprattutto nel sistema della moda. E proprio nel fashion spicca la presenza di imprese femminili (una su tre), che nel complesso si collocano a un buon 23%. Altra annotazione positiva: "La presenza di imprese giovanili, soprattutto nel Mezzogiorno, altamente dinamiche e in grado di garantire un ricambio generazionale. Nei distretti un’impresa su dieci è gestita da under 35, con punte del 15,5% nel Mezzogiorno e del 20% nella Metalmeccanica e nel Sistema moda". E, infine, i nuovi bacini che si affacciano: quello della cosmesi lombarda, per esempio, ha già ora un saldo commerciale con l'estero favorevole per 2,3 miliardi.