Messaggioda Wineduck » 11 mar 2025 09:35
Per comprendere a fondo i danni che sta per procurare la politica economica di Trump dovete leggere questo fantastico pezzo dell'economista Prof. Alberto Graziani che copio-e-incollo dalla sua bacheca FB:
La politica economica annunciata dal Presidente Trump, se attuata, non risolverà i problemi degli Stati Uniti e influirà negativamente sull’economia mondiale.
Muove, tale politica, a detta dello stesso Trump, dalla manifestazione più vistosa di quei problemi: lo squilibrio esterno, vissuto dall’attuale presidente come umiliante, contro natura, per un grande paese leader.
La bilancia dei pagamenti USA è in cronico, continuo, crescente disavanzo dai primi anni Settanta del secolo scorso. Nel 2024 il deficit ha sfiorato il trilione di dollari. I disavanzi sono stati coperti da una posizione debitoria netta verso l’estero esplosa in questo secolo da uno a 24 trilioni di dollari (prossimi all’85% del Pil degli USA).
Dicevano Charles de Gaulle e il suo economista Jacques Rueff: “gli americani vivono al disopra di quanto producono, finanziati dal Resto del Mondo, meno ricco di loro”.
In posizione creditoria netta – anche verso altri paesi debitori, non verso un’Italia in surplus – si situano il Giappone, la Germania e in misura crescente la Cina, ciascuno con un attivo compreso fra tre e quattro trilioni di dollari.
L’eccesso delle passività americane (depositi, prestiti, titoli, azioni) detenute dall’estero sulle attività americane verso l’estero si è sinora retto, ed è in parte fisiologico per una valuta di riserva, sull’accettazione del dollaro quale strumento di transazione e di riserva internazionale. Ma la permanenza, se non l’irreversibilità, si basa sull’assenza di rischio delle obbligazioni del tesoro statunitense. Se l’accettazione del dollaro scemasse, se i creditori, i detentori, la vendessero, il suo corso cederebbe. Sarebbero gravissime le ripercussioni per l’economia mondiale e per il tenore di vita del popolo americano, che subirebbe inflazione, crolli di Borsa, crisi finanziaria, disoccupazione.
Un economista dovrebbe spiegare al presidente Trump che il disavanzo della bilancia dei pagamenti di parte corrente degli Stati Uniti, come di qualsivoglia economia, risale a due fattori strutturali: la carente propensione al risparmio (7 punti di Pil al disotto dell’Euroarea, per eguale propensione a investire) e la mediocre competitività di prezzo delle merci. Sul primo fronte – l’eccesso della spesa interna sulla capacità produttiva – è da evocare il pieno impiego, con la disoccupazione al 4% della forza-lavoro. Sul secondo fronte, dal 2011 nell’intera economia del Paese, l’aumento del costo del lavoro per unità di prodotto ha ecceduto di un terzo quello delle altre economie. Alla base di tale perdita di competitività si situano salari giunti agli attuali 65mila dollari annuali, non compensati dalla produttività. La sopravvalutazione del dollaro, in termini reali, mina ulteriormente la competitività delle merci americane.
Idealmente, alla stregua di qualsivoglia economia, la ricerca dell’equilibrio esterno dell’economia senza pregiudicarne l’equilibrio interno dovrebbe orientarsi alla restrizione fiscale della domanda unita al deprezzamento controllato del tasso di cambio.
Trump invece ha escluso di percorrere tale via canonica all’aggiustamento dei conti con l’estero. Punta sull’autarchia e sul protezionismo: autarchia, attraverso trasferimenti pubblici e detassazione in favore delle imprese nazionali anche se inefficienti, protezionismo, attraverso dazi doganali e divieti di importazione imposti alle merci straniere, cinesi ed europee in particolare. Misure che nulla possono nel riequilibrare i conti con l’estero senza cambiamenti macroeconomici strutturali.
Trump dichiara di voler porre fine alle guerre, ma ignora la principale lezione dei grandi economisti: l’antidoto ai conflitti è nel commercio, che beneficia tutte le nazioni e le allontana dalla guerra. Il ricorso al protezionismo e all’autarchia è l’evidente segno di debolezza economica degli Stati Uniti. Oltre a frantumare il commercio internazionale peggiorerà la condizione dell’economia americana.
Trump ha vinto le elezioni promettendo l'abbassamento dei prezzi dei generi alimentari, cosa che non aveva modo e non aveva intenzione di onorare. In particolare si accentuerà l’ulteriore aumento del livello dei prezzi connesso con le tariffe doganali.
Oggi, negli Stati Uniti, l’inflazione è vicina al 3%. Non un problema ma neppure in zona sicurezza completa. Non per i dazi, ma per la dinamica della domanda, come viene segnalato dalla disoccupazione ai minimi e dalla dinamica salariale che ne consegue e da un disavanzo e un debito della PA rispettivamente pari al 7 e al 120% del Pil. In una economia così gli interventi minacciati da Trump, quali la chiusura agli immigrati e il rimpatrio della forza lavoro straniera, mentre la manodopera scarseggia, possono rilanciare l’inflazione. Inoltre contribuiscono l’espansione della spesa pubblica, unita a detassazione, l’avversione per l’autonomia della banca centrale, il legame del governo con i gruppi monopolistici, che caricano i prezzi, i maggiori costi interni legati all’autarchia, ai dazi, ai divieti d’importazione. Come nel 2021-2022, dagli Stati Uniti l’inflazione contagerebbe l’economia globale.
Trump pensa di esorcizzare lo spettro dell’inflazione espandendo l’offerta nazionale di energia fossile (carbone, petrolio, gas) e forzando verso il basso (come?) gli stessi prezzi del petrolio OPEC. Posto che queste misure incidono al massimo sul livello dei prezzi ma non sulla loro dinamica, egli sottovaluta quanto siano complesse le determinanti macroeconomiche del processo inflazionistico– domanda aggregata, quantità di moneta, aspettative – a cui non può ovviare il calo delle quotazioni di singoli input, ammesso che si riesca a comprimerle.
Se questa politica economica verrà perseguita, l’ autarchia, il protezionismo, il conflitto geopolitico, la rottura dell’integrazione e della cooperazione internazionali si diffonderanno. Incideranno pesantemente sull’intera economia mondiale.
"Woke up this morning with a wine glass in my hand - Whose wine? What wine? - Where the hell did I dine? - Must have been a dream - I don't believe where I've been - Come on, let's do it again"
Peter Frampton