Messaggioda zampaflex » 10 dic 2024 16:04
Per Vladimir Putin, la Siria è il simbolo della sua autoaffermazione come leader globale. Ma per la Russia, la Siria è un inutile fardello che richiede un enorme dispendio di forze militari, politiche ed economiche, senza dare nulla in cambio».
Questa doveva essere soltanto una chiacchierata sul presidente russo visto da vicino. Poi l’attualità ha imposto la sua legge. L’ex generale dell’Fsb Evgenij Savostyanov è considerato uno degli analisti più raffinati sullo stato del suo Paese.
Nella sua vita precedente è stato l’uomo chiamato da Boris Eltsin a smantellare il vecchio Kgb di Mosca, e poi un cosiddetto tecnico di prestigio impegnato in politica. Per via del suo passato, gli fu perdonata l’insubordinazione del 2015, quando se ne andò dal ministero della Cultura denunciando il clima di censura a suo giudizio ormai imperante su «ogni questione di pubblico interesse», come scrisse nella sua lettera di dimissioni. Nel 2022, promosse e firmò un documento contro la guerra in Ucraina e poi un altro ancora contro l’uso della minaccia nucleare.
Oggi vive all’estero. «Ho certamente pagato un prezzo. Ho perso quello che ho lasciato a Mosca, ho perso il mio status. Ma non ha importanza. Sono rimasto un uomo libero, i cui atti non sono in contrasto con le sue convinzioni».
Che cosa significa la caduta di Assad per Putin?
«È soprattutto una colossale umiliazione personale, ricevuta in primo luogo da Recep Erdogan, che già lo aveva umiliato altre volte. Erdogan l’ha cacciato dal Caucaso del Sud, gli ha chiuso il Bosforo, lo ha fatto aspettare ai loro incontri. Il presidente turco è consapevole di quanto la Russia sia indebolita dalla politica ambiziosa di Putin. Era già chiaro nel 2014, ai tempi del primo conflitto ucraino: quando inizi a fare una politica revanscista, tieni conto che qualcuno potrebbe prendersi la rivincita su di te. Un pezzo alla volta, Erdogan sta riconquistando quel che la Turchia aveva perso nel ventesimo secolo».
Quali ricadute per Mosca?
«Sul piano militare e politico, non molte. Le nostre basi in Siria non consentono di risolvere nessun compito importante, soprattutto ora che la Turchia ha chiuso l’accesso delle navi militari al Mar Nero. La presenza delle ammiraglie russe è sempre stata solo simbolica: era evidente a tutti che non possiamo contrapporci alle flotte della Nato nel Mediterraneo. Gli unici valori aggiunti dell’alleato Siria erano le sue votazioni filorusse all’Onu, che non decidono niente. E poi, la possibilità di fornire armi ai nostri “amici” in Libano, Cisgiordania, e Iraq. Adesso, dopo la disfatta di Hamas e Hezbollah a opera di Israele, è una operazione che ha pochissimo senso persino nella logica dei servizi segreti russi».
L’Ucraina fa bene a rallegrarsi di questa svolta in MedioOriente?
«Gli avvenimenti siriani dimostrano che le forze dell’esercito russo sono logorate dall’Operazione militare speciale. Se avesse potuto, Putin avrebbe salvato Assad. Ma oggi, impegnare qualunque risorsa in un altro scenario è quasi impossibile. Nel futuro immediato, il cambio di regime in Siria è invece vantaggioso per la
Russia: si risparmiano mezzi, si può rinforzare il contingente in Ucraina. Putin potrebbe addirittura utilizzare l’abbandono di quell’area come una risorsa di scambio nei negoziati, specie se verranno gestiti da Erdogan».
Come immagina la reazione di Putin alla caduta di Assad?
«Lui adotta una comunicazione burocratica, affidata ai documenti. Alle riunioni, tace. Si limita a osservare, in silenzio. Fin dagli inizi, questo aspetto caratterizza in modo esauriente la sua personalità».
Quanto pesa su di lui l’esperienza come ufficiale del Kgb?
«Molto. Putin veniva preparato per lavorare come arruolatore e reclutatore di agenti. A funzionari di questo genere, si insegna a studiare attentamente il carattere dell’interlocutore- oggetto di arruolamento, a saperlo ascoltare a lungo e con attenzione, fingendo una silenziosa socievolezza per adattarsi a lui e quando serve sopprimere la sua volontà premendo sui punti nevralgici scoperti. Ha sempre fatto così ».
Come giudica la sua evoluzione negli anni?
«Inesistente. Dopo aver occupato la carica di presidente della Russia, Putin non ha più inteso rendere il potere a nessuno. Ma è impossibile rimanere nella comunità di Stati democratici come governatore insostituibile. Quindi, ha dovuto imboccare la via della contrapposizione all’Occidente ».
Le minacce nucleari sono un bluff?
«Non vanno trattate con leggerezza. Ma tutta la politica estera di Putin, tutte le sue guerre e le sue provocazioni, non sono altro che un modo per garantirsi un governo eterno. Una persona che si appresta ad una guerra nucleare non investe miliardi nella ricerca di rimedi per prolungare la sua vita a 120 anni e più, come sta facendo lui».
Per la Russia i Brics sono una vera opzione di sopravvivenza?
«Già oggi siamo di fronte ad una totale dipendenza dell’economia russa dalla Cina. I Brics, che io chiamo “Club degli amatori degli investimenti cinesi”, cercano invece di tenersi lontano dalla Russia: non la finanziano tramite la banca dell’organizzazione, non sostengono le iniziative su una valuta alternativa e un sistema di pagamenti, hanno paura delle sanzioni secondarie dell’Occidente».
La crisi economica e la svolta siriana potrebbero contribuire alla fine della guerra in Ucraina?
«Nelle file dei ribelli vincitori di Assad ci sono non poche persone provenienti dall’ex Urss. Gente che potrebbe tornare a casa, nei Paesi dell’Asia centrale. Una destabilizzazione locale, penso al Tagikistan o all’eterno problema irrisolto del Caucaso, è possibile. Gli avvenimenti recenti hanno dimostrato che oggi la Russia non potrebbe fare molto in caso di nuovi focolai di rivolta. Questo potrebbe stimolare Putin alla ricerca di un’uscita dalla guerra in Ucraina. Ma dopo quel che è successo in Siria, la sua posizione negoziale risulta indebolita. Come dicevano in un celebre film, un vecchio leone è prima di tutto vecchio».
Non progredi est regredi