diego ha scritto:Pigigres ha scritto:pippuz ha scritto:Il bello è che il Rossese è stato stagnolato per mezz'ora e nessuno aveva la minima idea di cosa fosse (io ho ipotizzato Rayas, però poi ho visto la bottiglia bordolese).
Tra l'altro questo risponde anche all'"accusa" di aver dato un giudizio molto positivo sulla base della moda dei vini "alternativi"...
Essendo stagnolato nessuno poteva sapere cosa fosse. Comunque anch'io ad un certo punto ho ipotizzato Rodano, regione vinicola notoriamente alternativa.
Onore al merito a Rossano che invece, ad un certo punto, l'ha beccato come Rossese...
Io veramente me lo sono tenuto dentro per un bel po', proprio per non rovinare la festa, ovvero per non rischiare di sviare la valutazione sulla denominazione e il vitigno anziché sul vino che c'era nel bicchiere. Ma lo avevo riconosciuto quasi subito.
Si porta appresso nitida l'impronta della vigna, visto che alla cieca avevo pensato al Bricco Arcagna 2004 di Terre Bianche, anche se i conti non tornavano perché è un vino assai diverso dai Rossese di prima fila dell'ultima generazione.
Il filo giusto va ricollegato ai vini più vecchi di Dolceacqua. Impossibile non riconoscere lo stesso identico stampo del monumentale Luvaira 1988 fatto alla Tenuta Giuncheo quando il proprietario era Biamonti, bevuto da Aldo un paio d'anni fa.
Quello stese con noncuranza assoluta Tettineive 1988 Scarpa e Vigna Monticchio 1988 Lungarotti;
questo ha steso quasi irridente Domaine de la Janasse 2004 e Ferrando Etichetta Nera 2005.
Nonché tutti gli altri vini della serata, con cui quasi tutti hanno continuato increduli a confrontarlo, tenendo il bicchiere a parte fino alla fine.
A volerla mettere sul tecnico, come è doveroso quando si comincia a parlare di vini assoluti, la bocca pagava qualcosa in purezza, anticipata da un occhio non limpidissimo, a parlare dell'artigianato enoico di cui è figlio, che è causa prevedibile di una forte variabilità di bottiglia. Ma il naso è stato una delle mie più grandi esperienze di sempre. Fosse venuta fuori una grande annata dei vini culto di Rostaing, di Clape, di Chave, di Guigal, di Rayas, nessuno avrebbe detto nulla, se non: "lamadonnasantissima, eccoperchéimiticostanocosìtanto". Con tutto che non sarebbe stato possibile, perché il Rossese è diverso dagli altri vini, è Rossese e basta, è Dolceacqua e basta.
Capitano raramente, queste bottiglie. Certo che sì. Già detto della facilmente immaginabile variabilità di bottiglia, confermatami poco fa al telefono da Aldo. Già detto dell'umiltà di mezzi con cui viene fatto questo vino, e molti altri della denominazione. Aggiungiamo lo sparutissimo numero di produttori, ovvero l'improba fatica emotiva, economica e intellettuale di fare con costanza grandissimi vini di levatura mondiale, quando si è un villaggio arrampicato sulla costa, isolato dal resto del mondo e misconosciuto dal grande giro del vino mondiale.
Tranne il buon Veronelli, che forse non a caso parlava della Romanée italiana. La Romanée, mica pizza e fichi.
Davanti a bicchieri come quello di ieri sera, le chiacchere stanno a zero. Fascia alta dei 90 punti, ovvero da 95 in su. Vini che ci si ricorda per tutta la vita. Voto alla cieca, non voto emozionale.
Volendo dire con dettaglio, 97-98 al naso, e 92-93 alla bocca.
Un vino fatto in un garage da un artigiano senza altre pretese che tirare a campare.
Forse un potenziale c'è, laggiù, con quel vitigno.
“La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri.”