montrachet61 ha scritto:Il Marsupino a Briaglia.
bellissime esperienze....in entrambe le mie visite mi sono davvero divertito con la cantina.
montrachet61 ha scritto:Il Marsupino a Briaglia.
ZEL WINE ha scritto:pipinello ha scritto:ZEL WINE ha scritto:Insomma, i monfortino si trovano a meno in alcuni tristellati, a parte uma due referenze mi sembrano piuttosto alti.
Diciamo che ho incrociato i dati: zona Langhe + bottiglie anni 80 e 90, immagino a prezzi umani.
Ai cacciatori hanno annate anni 80 e 90 di Gaja, Ceretto e Gresy, a prezzi fra i 170 e 550 euro. Bevute buonissime a prezzi giusti, non siderali.
Piazza duomo di vecchio non ha una mazza; la Ciau ha il mondo ma ci vuole il portafoglio foderato d'amianto.
Monfo 04 bevuto alle calandre a 600€ marconi bo 500€, ecc ecc potrei fare altri esempi in cui quella carta risulta esosossima (PER ME) questo intendevo. La carta del duomo e’ imbarazzante quasi quanto la cucina. Ho indicato Ciau per la profondità e la vastità, non ho detto che e’ economico.
Konstantin_Levin88 ha scritto:Mi auguro che gli venga tolta la Stella, per il bene dell'immagine della ristorazione langarola.
Konstantin_Levin88 ha scritto:ZEL WINE ha scritto:pipinello ha scritto:ZEL WINE ha scritto:Insomma, i monfortino si trovano a meno in alcuni tristellati, a parte uma due referenze mi sembrano piuttosto alti.
Diciamo che ho incrociato i dati: zona Langhe + bottiglie anni 80 e 90, immagino a prezzi umani.
Ai cacciatori hanno annate anni 80 e 90 di Gaja, Ceretto e Gresy, a prezzi fra i 170 e 550 euro. Bevute buonissime a prezzi giusti, non siderali.
Piazza duomo di vecchio non ha una mazza; la Ciau ha il mondo ma ci vuole il portafoglio foderato d'amianto.
Monfo 04 bevuto alle calandre a 600€ marconi bo 500€, ecc ecc potrei fare altri esempi in cui quella carta risulta esosossima (PER ME) questo intendevo. La carta del duomo e’ imbarazzante quasi quanto la cucina. Ho indicato Ciau per la profondità e la vastità, non ho detto che e’ economico.
Riprendo questo vecchio argomento per raccontare di una pessima esperienza avuta di recente alla Ciau del Tornavento.
Due note sulla cucina: ottime materie prime, poche idee, zero innovazione, in qualche piatto tendenza alla pesantezza (dalla fassona impanata nei grissini imbevuta d'olio ai ravioli di gallina con fois gras e marsala eccessivamente unti... il dolce sbagliato... ma non è questo il punto).
La tesi, in sintesi: il Servizio in generale, e in particolare tutto ciò che riguarda il vino in quel ristorante è una palese manifestazione di scarsa professionalità, incompetenza, superficialità, sfoggio senza contenuto e, probabilmente, propensione a fregare il cliente.
Carta dei vini da scaricare su smartphone tramite QR code (se non hai l'app di lettura, la devi scaricare... se no ti attacchi...). Apparentemente molto lunga, in realtà molto disomogenea e lacunosa anche solo restando in Langa: profonda sui barolo o barbaresco di pochi produttori, con netto sbilanciamento sui modernisti (una pagina e mezza di Conterno-Fantino, per dire), pochissimi i Langhe nebbiolo (o nebbiolo d'Alba) in carta. Nomi à la page nei ruggenti anni novanta, in linea con lo stile del locale. Scarsissima ricerca, pochissimo gusto contemporaneo. Ne prendo atto.
Siamo in due, mia moglie non beve. Chiedo se hanno un servizio al calice (non menzionato nella carta dei vini). Il sommelier mi dice di sì... ok, gli dico: per quali vini si può avere? "Tutti!" Mi dice. Io chiedo se ho capito bene. "Beh, certo, se mi chiede un Monfortino dell'85 non posso...", "no, certo... ma per vini di prezzo medio presenti in carta posso chiedere un calice?" "Certo, abbiamo un discreto giro al bicchiere, lei mi dice e io apro. Allora, vogliamo iniziare con un bel barolo o con un barbaresco?". Gli faccio notare che essendo i primi due piatti del nostro menu a base di gamberi e vitello tonnato, forse avrei atteso l'arrivo del primo per accostare simili vini. Lui, scocciato, non fa altre proposte e mi dice di avvertirlo quando avrei voluto bere qualcosa.
Arriva il primo. Gli chiedo un barbaresco. Per non sbagliare, gli indico tre nomi di produttori: Colla, Castello di Neive e Sottimano, indicando di questi qualche annata matura: tutto presente in carta, ovviamente. "Ho capito i suoi gusti. Se mi permette, la vorrei stupire con qualcosa che magari non conosce". Piciu io a dire di sì, furbo lui a rifilarmi il 2016 di un produttore minore di Treiso (F.lli Grasso) che aveva già aperto da far andare e che si è rivelato vino assolutamente trascurabile. E già mi giravano...
Arriva il secondo: chiedo un altro calice "allora, andiamo di barolo?" "E un po' di bamba?" Volevo chiedergli...Manco fossimo in corso Como a Milano... Ci riprovo: tre nomi, presi dalla carta, perché già avevo il sentore che , forse, dalla carta alla cantina qualcosa cambiava... Riprovo col Bussia di Colla, il Brunate di Marcarini e il Sarmassa di Scarzello ( praticamente gli unici tradizionalisti ad eccezione di Rinaldi, i due Mascarello, Conterno e Giacosa). Chiedo nuovamente un'annata un po' matura, senza specificare per non mettere in ulteriore difficoltà. Chiedo, soprattutto, di avvertirmi qualora quelle bottiglie non fossero disponibili. "Assolutamente ". Arriva poco dopo con un'etichetta di colore sgargiante, un po' coperta dalla mano, ma che mi fa venire in mente "brunate". "Brunate del 2009, va bene?" Benissimo, grazie. Lo versa e se ne va. Lo guardo e penso: accidenti, non bevo Marcarini da un po' ma come si è fatto scuro nel colore! Lo assaggio e ho una folgorazione: mi ha fottuto. Era un brunate del 2009 con etichetta sgargiante, sì, ma arancione, non dorata come avrebbe dovuto essere. Etichetta arancione: è il brunate di Mario Marengo. Lo richiamo, gli faccio capire che non sono scemo, lui si arrampica sui vetri "eh, accidenti, li confondo sempre", mi dice, lui. Il sommelier della Ciau del Tornavento. Una Stella Michelin in Langa.
Sommelier che non ha saputo dire mezza parola sui vini che ci ha servito, che non ha saputo proporre un abbinamento minimamente sensato, e che mi ha preso in giro sperando che non me ne accorgessi.
Vino per la cronaca pesante, dal fruttone surmaturo, come ricordavo fosse il 2009 di Marengo.
Mi giravano abbastanza, ma per fortuna nella vita le cose importanti sono altre e non avevo voglia di fare piazzate.
Ultima chicca: il giro in cantina per ammirare questa specie di grotta di Aladino. Bottiglie tutte in bella vista, selezione patinata, più da investitore che da ristoratore appassionato. Ah, nessuna traccia dei vini che avevo chiesto, ribadisco: tutti presenti in carta.
È la quarta volta per me alla Ciau. L'ultima volta era stato cinque anni fa ed era tutta un'altra cosa: oggi la deriva commerciale è imbarazzante. La percezione è quella di un'arroganza pacchiana, totalmente anacronistico anche rispetto a ciò che cerca oggi il turista enogastronomico che viene in Langa. Molto distante da quei requisiti minimi di finezza, serietà, professionalità che dovrebbe avere uno stellato nel 2020.
Mi auguro che gli venga tolta la Stella, per il bene dell'immagine della ristorazione langarola.
Konstantin_Levin88 ha scritto:Arriva il secondo: chiedo un altro calice "allora, andiamo di barolo?" "E un po' di bamba?" Volevo chiedergli...Manco fossimo in corso Como a Milano...
Konstantin_Levin88 ha scritto:ZEL WINE ha scritto:pipinello ha scritto:ZEL WINE ha scritto:Insomma, i monfortino si trovano a meno in alcuni tristellati, a parte uma due referenze mi sembrano piuttosto alti.
Diciamo che ho incrociato i dati: zona Langhe + bottiglie anni 80 e 90, immagino a prezzi umani.
Ai cacciatori hanno annate anni 80 e 90 di Gaja, Ceretto e Gresy, a prezzi fra i 170 e 550 euro. Bevute buonissime a prezzi giusti, non siderali.
Piazza duomo di vecchio non ha una mazza; la Ciau ha il mondo ma ci vuole il portafoglio foderato d'amianto.
Monfo 04 bevuto alle calandre a 600€ marconi bo 500€, ecc ecc potrei fare altri esempi in cui quella carta risulta esosossima (PER ME) questo intendevo. La carta del duomo e’ imbarazzante quasi quanto la cucina. Ho indicato Ciau per la profondità e la vastità, non ho detto che e’ economico.
Riprendo questo vecchio argomento per raccontare di una pessima esperienza avuta di recente alla Ciau del Tornavento.
Due note sulla cucina: ottime materie prime, poche idee, zero innovazione, in qualche piatto tendenza alla pesantezza (dalla fassona impanata nei grissini imbevuta d'olio ai ravioli di gallina con fois gras e marsala eccessivamente unti... il dolce sbagliato... ma non è questo il punto).
La tesi, in sintesi: il Servizio in generale, e in particolare tutto ciò che riguarda il vino in quel ristorante è una palese manifestazione di scarsa professionalità, incompetenza, superficialità, sfoggio senza contenuto e, probabilmente, propensione a fregare il cliente.
Carta dei vini da scaricare su smartphone tramite QR code (se non hai l'app di lettura, la devi scaricare... se no ti attacchi...). Apparentemente molto lunga, in realtà molto disomogenea e lacunosa anche solo restando in Langa: profonda sui barolo o barbaresco di pochi produttori, con netto sbilanciamento sui modernisti (una pagina e mezza di Conterno-Fantino, per dire), pochissimi i Langhe nebbiolo (o nebbiolo d'Alba) in carta. Nomi à la page nei ruggenti anni novanta, in linea con lo stile del locale. Scarsissima ricerca, pochissimo gusto contemporaneo. Ne prendo atto.
Siamo in due, mia moglie non beve. Chiedo se hanno un servizio al calice (non menzionato nella carta dei vini). Il sommelier mi dice di sì... ok, gli dico: per quali vini si può avere? "Tutti!" Mi dice. Io chiedo se ho capito bene. "Beh, certo, se mi chiede un Monfortino dell'85 non posso...", "no, certo... ma per vini di prezzo medio presenti in carta posso chiedere un calice?" "Certo, abbiamo un discreto giro al bicchiere, lei mi dice e io apro. Allora, vogliamo iniziare con un bel barolo o con un barbaresco?". Gli faccio notare che essendo i primi due piatti del nostro menu a base di gamberi e vitello tonnato, forse avrei atteso l'arrivo del primo per accostare simili vini. Lui, scocciato, non fa altre proposte e mi dice di avvertirlo quando avrei voluto bere qualcosa.
Arriva il primo. Gli chiedo un barbaresco. Per non sbagliare, gli indico tre nomi di produttori: Colla, Castello di Neive e Sottimano, indicando di questi qualche annata matura: tutto presente in carta, ovviamente. "Ho capito i suoi gusti. Se mi permette, la vorrei stupire con qualcosa che magari non conosce". Piciu io a dire di sì, furbo lui a rifilarmi il 2016 di un produttore minore di Treiso (F.lli Grasso) che aveva già aperto da far andare e che si è rivelato vino assolutamente trascurabile. E già mi giravano...
Arriva il secondo: chiedo un altro calice "allora, andiamo di barolo?" "E un po' di bamba?" Volevo chiedergli...Manco fossimo in corso Como a Milano... Ci riprovo: tre nomi, presi dalla carta, perché già avevo il sentore che , forse, dalla carta alla cantina qualcosa cambiava... Riprovo col Bussia di Colla, il Brunate di Marcarini e il Sarmassa di Scarzello ( praticamente gli unici tradizionalisti ad eccezione di Rinaldi, i due Mascarello, Conterno e Giacosa). Chiedo nuovamente un'annata un po' matura, senza specificare per non mettere in ulteriore difficoltà. Chiedo, soprattutto, di avvertirmi qualora quelle bottiglie non fossero disponibili. "Assolutamente ". Arriva poco dopo con un'etichetta di colore sgargiante, un po' coperta dalla mano, ma che mi fa venire in mente "brunate". "Brunate del 2009, va bene?" Benissimo, grazie. Lo versa e se ne va. Lo guardo e penso: accidenti, non bevo Marcarini da un po' ma come si è fatto scuro nel colore! Lo assaggio e ho una folgorazione: mi ha fottuto. Era un brunate del 2009 con etichetta sgargiante, sì, ma arancione, non dorata come avrebbe dovuto essere. Etichetta arancione: è il brunate di Mario Marengo. Lo richiamo, gli faccio capire che non sono scemo, lui si arrampica sui vetri "eh, accidenti, li confondo sempre", mi dice, lui. Il sommelier della Ciau del Tornavento. Una Stella Michelin in Langa.
Sommelier che non ha saputo dire mezza parola sui vini che ci ha servito, che non ha saputo proporre un abbinamento minimamente sensato, e che mi ha preso in giro sperando che non me ne accorgessi.
Vino per la cronaca pesante, dal fruttone surmaturo, come ricordavo fosse il 2009 di Marengo.
Mi giravano abbastanza, ma per fortuna nella vita le cose importanti sono altre e non avevo voglia di fare piazzate.
Ultima chicca: il giro in cantina per ammirare questa specie di grotta di Aladino. Bottiglie tutte in bella vista, selezione patinata, più da investitore che da ristoratore appassionato. Ah, nessuna traccia dei vini che avevo chiesto, ribadisco: tutti presenti in carta.
È la quarta volta per me alla Ciau. L'ultima volta era stato cinque anni fa ed era tutta un'altra cosa: oggi la deriva commerciale è imbarazzante. La percezione è quella di un'arroganza pacchiana, totalmente anacronistico anche rispetto a ciò che cerca oggi il turista enogastronomico che viene in Langa. Molto distante da quei requisiti minimi di finezza, serietà, professionalità che dovrebbe avere uno stellato nel 2020.
Mi auguro che gli venga tolta la Stella, per il bene dell'immagine della ristorazione langarola.
maxer ha scritto:..... così, ad occhio, percepisco che il tuo amore per la Toscana sia, se possibile, ancora di molto aumentato .....
Konstantin_Levin88 ha scritto:ZEL WINE ha scritto:pipinello ha scritto:ZEL WINE ha scritto:Insomma, i monfortino si trovano a meno in alcuni tristellati, a parte uma due referenze mi sembrano piuttosto alti.
Diciamo che ho incrociato i dati: zona Langhe + bottiglie anni 80 e 90, immagino a prezzi umani.
Ai cacciatori hanno annate anni 80 e 90 di Gaja, Ceretto e Gresy, a prezzi fra i 170 e 550 euro. Bevute buonissime a prezzi giusti, non siderali.
Piazza duomo di vecchio non ha una mazza; la Ciau ha il mondo ma ci vuole il portafoglio foderato d'amianto.
Monfo 04 bevuto alle calandre a 600€ marconi bo 500€, ecc ecc potrei fare altri esempi in cui quella carta risulta esosossima (PER ME) questo intendevo. La carta del duomo e’ imbarazzante quasi quanto la cucina. Ho indicato Ciau per la profondità e la vastità, non ho detto che e’ economico.
Riprendo questo vecchio argomento per raccontare di una pessima esperienza avuta di recente alla Ciau del Tornavento.
Due note sulla cucina: ottime materie prime, poche idee, zero innovazione, in qualche piatto tendenza alla pesantezza (dalla fassona impanata nei grissini imbevuta d'olio ai ravioli di gallina con fois gras e marsala eccessivamente unti... il dolce sbagliato... ma non è questo il punto).
La tesi, in sintesi: il Servizio in generale, e in particolare tutto ciò che riguarda il vino in quel ristorante è una palese manifestazione di scarsa professionalità, incompetenza, superficialità, sfoggio senza contenuto e, probabilmente, propensione a fregare il cliente.
Carta dei vini da scaricare su smartphone tramite QR code (se non hai l'app di lettura, la devi scaricare... se no ti attacchi...). Apparentemente molto lunga, in realtà molto disomogenea e lacunosa anche solo restando in Langa: profonda sui barolo o barbaresco di pochi produttori, con netto sbilanciamento sui modernisti (una pagina e mezza di Conterno-Fantino, per dire), pochissimi i Langhe nebbiolo (o nebbiolo d'Alba) in carta. Nomi à la page nei ruggenti anni novanta, in linea con lo stile del locale. Scarsissima ricerca, pochissimo gusto contemporaneo. Ne prendo atto.
Siamo in due, mia moglie non beve. Chiedo se hanno un servizio al calice (non menzionato nella carta dei vini). Il sommelier mi dice di sì... ok, gli dico: per quali vini si può avere? "Tutti!" Mi dice. Io chiedo se ho capito bene. "Beh, certo, se mi chiede un Monfortino dell'85 non posso...", "no, certo... ma per vini di prezzo medio presenti in carta posso chiedere un calice?" "Certo, abbiamo un discreto giro al bicchiere, lei mi dice e io apro. Allora, vogliamo iniziare con un bel barolo o con un barbaresco?". Gli faccio notare che essendo i primi due piatti del nostro menu a base di gamberi e vitello tonnato, forse avrei atteso l'arrivo del primo per accostare simili vini. Lui, scocciato, non fa altre proposte e mi dice di avvertirlo quando avrei voluto bere qualcosa.
Arriva il primo. Gli chiedo un barbaresco. Per non sbagliare, gli indico tre nomi di produttori: Colla, Castello di Neive e Sottimano, indicando di questi qualche annata matura: tutto presente in carta, ovviamente. "Ho capito i suoi gusti. Se mi permette, la vorrei stupire con qualcosa che magari non conosce". Piciu io a dire di sì, furbo lui a rifilarmi il 2016 di un produttore minore di Treiso (F.lli Grasso) che aveva già aperto da far andare e che si è rivelato vino assolutamente trascurabile. E già mi giravano...
Arriva il secondo: chiedo un altro calice "allora, andiamo di barolo?" "E un po' di bamba?" Volevo chiedergli...Manco fossimo in corso Como a Milano... Ci riprovo: tre nomi, presi dalla carta, perché già avevo il sentore che , forse, dalla carta alla cantina qualcosa cambiava... Riprovo col Bussia di Colla, il Brunate di Marcarini e il Sarmassa di Scarzello ( praticamente gli unici tradizionalisti ad eccezione di Rinaldi, i due Mascarello, Conterno e Giacosa). Chiedo nuovamente un'annata un po' matura, senza specificare per non mettere in ulteriore difficoltà. Chiedo, soprattutto, di avvertirmi qualora quelle bottiglie non fossero disponibili. "Assolutamente ". Arriva poco dopo con un'etichetta di colore sgargiante, un po' coperta dalla mano, ma che mi fa venire in mente "brunate". "Brunate del 2009, va bene?" Benissimo, grazie. Lo versa e se ne va. Lo guardo e penso: accidenti, non bevo Marcarini da un po' ma come si è fatto scuro nel colore! Lo assaggio e ho una folgorazione: mi ha fottuto. Era un brunate del 2009 con etichetta sgargiante, sì, ma arancione, non dorata come avrebbe dovuto essere. Etichetta arancione: è il brunate di Mario Marengo. Lo richiamo, gli faccio capire che non sono scemo, lui si arrampica sui vetri "eh, accidenti, li confondo sempre", mi dice, lui. Il sommelier della Ciau del Tornavento. Una Stella Michelin in Langa.
Sommelier che non ha saputo dire mezza parola sui vini che ci ha servito, che non ha saputo proporre un abbinamento minimamente sensato, e che mi ha preso in giro sperando che non me ne accorgessi.
Vino per la cronaca pesante, dal fruttone surmaturo, come ricordavo fosse il 2009 di Marengo.
Mi giravano abbastanza, ma per fortuna nella vita le cose importanti sono altre e non avevo voglia di fare piazzate.
Ultima chicca: il giro in cantina per ammirare questa specie di grotta di Aladino. Bottiglie tutte in bella vista, selezione patinata, più da investitore che da ristoratore appassionato. Ah, nessuna traccia dei vini che avevo chiesto, ribadisco: tutti presenti in carta.
È la quarta volta per me alla Ciau. L'ultima volta era stato cinque anni fa ed era tutta un'altra cosa: oggi la deriva commerciale è imbarazzante. La percezione è quella di un'arroganza pacchiana, totalmente anacronistico anche rispetto a ciò che cerca oggi il turista enogastronomico che viene in Langa. Molto distante da quei requisiti minimi di finezza, serietà, professionalità che dovrebbe avere uno stellato nel 2020.
Mi auguro che gli venga tolta la Stella, per il bene dell'immagine della ristorazione langarola.
Konstantin_Levin88 ha scritto:maxer ha scritto:..... così, ad occhio, percepisco che il tuo amore per la Toscana sia, se possibile, ancora di molto aumentato .....
posso accettare che in Toscana abbiano saputo in qualche caso guardare più in là, e che forse, almeno in una fascia media e medio-alta, i loro sangiovese siano più goduriosi dei nostri nebbiolo.
gianni femminella ha scritto:Konstantin_Levin88 ha scritto:maxer ha scritto:..... così, ad occhio, percepisco che il tuo amore per la Toscana sia, se possibile, ancora di molto aumentato .....
posso accettare che in Toscana abbiano saputo in qualche caso guardare più in là, e che forse, almeno in una fascia media e medio-alta, i loro sangiovese siano più goduriosi dei nostri nebbiolo.
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