slow ciccio ha scritto:
Personalmente ritengo che ogni elemento in eccesso, in quanto tale, creerà disarmonie di fondo che il tempo difficilmente attenuerà. Potrà magari "mischiare le carte", o "depistare", distogliendo l'attenzione dal difetto coi pregi della terziarizzazione dei profumi, o del fascino romantico/emotivo che ogni bottiglia invecchiata inevitabilmente esercita (e mi ci metto in prima linea). Ma un difetto resta un difetto.
In ogni caso, tendo a rilevare ostinati ed "autoreferenziali" squilibri di acidità soprattutto sui vini bianchi, per ovvi motivi (basti citare le vecchie Coulèe de Serrant, ancora belle verdoline brillanti, mah...).
Sui bianchi non mi pronuncio, non avendo grande esperienza con gli "invecchiati", (Valentini e poco altro a parte).
Sono molto d'accordo sulla disarmonia e sul depistaggio che l'acidità in eccesso può creare nella percezione della terziarizzazione.
Per i rossi, pinot noir in particolare, ho il timore che a volte si fraintenda acidità con tannicità (peraltro spesso non eccessivamente presente nel vitigno), percependo quel "bruciante" senso dato dall'acidità con la sensazione "allappante" tattile dei tannini.
Ho fatto questa riflessione perchè mi è capitato di sentir dire appunto che "è un vino con eccesso di acidità che però il tempo saprà domare". E non è che mi sono trovato molto d'accordo.
L'acidità, pur differente tra vitigni, dovrebbe sostenere il vino nel tempo, ma in fondamentale sinergia ad esempio con alcol e tannini, in equilibrio appunto.
Ma non penso sia caratteristica indicativa che consenta di valutare come più o meno "invecchiabile" un vino.