michelep ha scritto:zampaflex ha scritto:Bravo, esattamente quello che intendevo.
Ogni tanto litigo, un po' per vero un po' per finta, con un amico accanito difensore dei naturali e regolarmente cerco di metterla sul piano che non importa come si definiscano, l'importante è che siano buoni. Solo che poi la definizione di "buono" slitta semanticamente…
"guarda, questa è un'annata, questa la successiva. Nel primo ho fatto questo e quell'errore e infatti è venuto così, niente di speciale, c'è sentore di questo e quell'altro, a me piace poco. Nel secondo ci ho pensato bene, ho messo a posto la vinificazione, corretto due cose ed è venuto stupendo, senti com'è buono, non c'è paragone. Bene, certi clienti vogliono solo il primo, del secondo nemmeno a parlarne."
[in effetti non c'era paragone]
Avendo un po' di tempo, mi son letto la discussione, e provo a dire la mia.
Se questo è l'andazzo, quella dei naturali è una bolla che scoppierà presto, un po' come altre mode passeggere, che se si va a vedere da trent'anni a questa parte ogni decennio ha la sua. Ci pensavo guardando Sanremo e lo sdoganamento del rap / trap a livello nazionalpopolare... Tra l'altro c'è un nesso, i rapper non sanno cantare e sanno poco di musica, nel senso proprio di armonia, composizione, solfeggio.. (esagero), così come molti naturals sanno poco-niente di enologia, ma entrambi in qualche modo sanno vendere molto bene la loro ignoranza, reale o "recitata" che sia.
A me quello che colpisce è quanto poco sia giunto a contare il vino in sè: quello che si beve e basta, quello che dà sensazioni in bocca, nel naso, nello stomaco e ha dignità di per sè, senza che si debbano associare immagini, idee o ideologie. Mi spiego: se apro il sito di un'azienda qualsiasi noto che oggi la strategia di marketing più battuta non è tanto parlare di come è il vino sensorialmente (che sarebbe peraltro noioso) ma di raccontare quanto vi sta attorno e di come viene fatto, veicolando immagini potenti: le viti centenarie, con le loro radici che raggiungono il centro della terra, gli strati di limestone , clay, and sand che guarda caso danno sempre il miglior risultato possibile per complexity and depth, le rese basse, e poi tutto il bio: no diserbo, inerbimento, no sistemici che entrano dentro la vite e quindi dentro l'uva e quindi nel vino (immagine molto potente), pochissimi solfiti, lunghe macerazioni (per estrarre l'"essenza", altra immagine forte) meglio se in anfora (l'utero neutro), solo legno grande, nessuna filtrazione, ecc... Ora, sappiamo tutti che alcune di queste pratiche sono realmente utili per fare qualità, ma quello che mi colpisce è un'altra impressione: cioè che a
gratificare il naturalofilo ortodosso sia proprio l'idea di "bere" quella filosofia, quel mondo, quelle pratiche, più che il prodotto che da esse è derivato. Quest'ultimo, il vino, non deve necessariamente essere buono, deve solo confermare, con i suoi dati sensoriali, quell'ideologia che si sta "consumando". In pratica il marketing vinicolo non è più un mezzo per farsi conoscere, per vendere una merce. Diventa proprio la merce stessa.
Mauro Spertino, vitivinificatore a Mombercelli (AT), gran mano sula barbera, mi raccontava che il modo che usò suo padre Luigi per farsi conoscere fu: citofonare a vari ristoranti di Torino, di Alessandria e dei dintorni, lasciando un cartoncino delle sue bottiglie, un preventivo prezzi e un biglietto da visita con un numero di telefono. Il ristoratore lo provava, il vino era buono e glielo comprava. Senza altre balle.
Se devo immaginare un futuro del marketing del vino, penso che si manterrà questa predominanza della comunicazione, che d'altronde discende direttamente dalle potenzialità offerte dalla rete (alcuni siti di aziende sono già dei blog in cui il viticoltore racconta del perchè e del percome sfemminella solo nella fascia dei grappoli o due gemme più su....) ma, superata la fase naturalistico-paranoidea con la sua ideologia della purezza, si arriverà a una comprensione più approfondita di quello che è l'agricoltura reale, con le sue impurità e i suoi compromessi e ad essere premiata sarà la comunicazione della sostenibilità, oltre che ambientale, economica. Far capire al cliente come si può, pur in una pratica che punta all'alta qualità, razionalizzare i costi e creare un prodotto che possa essere per prezzo accessibile a tutti. E che in quest'ottica, dare un sistemico in più in un'annata grama è come dare l'augmentin a tuo figlio quando ha la tonsillite: è la cosa giusta da fare.
Ho fiducia nell'intelligenza umana.