de magistris ha scritto:In nessun modo sono rinvenibili miei interventi dove si diano giudizi di valore sul ruolo della fase "modernista".
Perfetto, allora ci capiamo e possiamo discutere del resto.
de magistris ha scritto:Continuo invece ad insistere, ma colgo poca disponibilità altrui a mettersi in discussione su questo punto, su quello che a me sembra un processo davvero interessante del presente: la difficoltà, se non l'impossibilità di ricondurre una quota rilevante dell'eccellenza langarola (magari non gli over 95 ma gli 88-92 usati prima come esempio sì) ad un preciso schema bipolare.
Nessun problema a dire la mia. Sono d'accordo che non esista più oggi un preciso schema bipolare. Perlomeno non come c'era qualche anno fa. Io però ritengo fondamentale il fatto che ad oggi i figli di quella cultura moderna, pur aggiustando il tiro, non siano ancora riusciti a produrre un vino, che io sappia, ai massimi livelli della denominazione. Oggi i Barolo/Barbaresco di vertice sono tutti figli invece dell'altro modo di intendere l'espressione del Nebbiolo di Langa. Questo a me fa riflettere, e non credo di essere nel torto se affermo che la
i più grandi Barolo che abbia mai bevuto non siano stati quelli che dal modernismo si sono avvicinati al tradizionalismo, bensì il contrario: quelli che dal tradizionalismo si sono avvicinati al modernismo. Questa non è una differenza da poco.
de magistris ha scritto:Sul discorso guide-critica enologica: a parte il fatto che anche allora non esisteva un'unica critica indistinta e ribadita la mia idea che molti errori sono stati fatti, mi sembra che anche su questo punto sia una perlomeno una banalizzazione-semplificazione di comodo inferire che il nebbiolo fosse in crisi negli anni '80 perché chi scriveva non capiva e stava aspettando Langa In. Mi sembra che a volte, mi ci metto anch'io ovviamente, noi appassionati facciamo iniziare e finire il mondo a quei 20-30 produttori (fai tu il numero) che ci piacciono e beviamo con continuità, dimenticando il fatto che un distretto è qualcosa di molto più complesso. Assaggiando oggi certi strepitosi ed emozionanti Marcarini, Mascarelli, Prunotto, Pira, Ceretto, ecc. degli anni '70 e '80 è facile concludere che già allora ci fosse poco da dover migliorare o cambiare. Però, non so a te, in questi anni mi sono capitate altrettante bottiglie di altri produttori di quel periodo (anche molto ben reputati oggi) molto stanche, rustiche, fragili. al netto delle cattive conservazioni. Forse che forse il grosso dei nebbioli dell'epoca non fosse così meravigliosamente classico come appaiono i loro omologhi contemporanei? Forse che forse quei vini facevano fatica non solo per la critica ma anche perché erano un bel po' lontani dal loro pieno potenziale? Forse che forse su dati macro il livello qualitativo in Langa è in ultima analisi assai migliore oggi di 30 anni fa?
Su questo posso solo commentare quanto riferitomi da altri, e confermato anche da te, dal momento che allora non c'ero. A quanto ne so, in quegli anni, la denominazione era in forte crisi. Si vendeva tanta Barbera e Dolcetto, mentre il Barolo, solitamente caratterizzato da acidità limite e tannini devastanti, anche se considerato il più grande vino italiano, non se lo filava nessuno. Questo è quello che mi è stato riferito da persone che hanno vissuto quegli anni.
Partendo da queste premesse, sono d'accordo con te; e si capiscono tante cose. Anzitutto che il Barolo di oggi NON rispecchia più quello descritto sopra. Oggi si fanno dei vini che sono buonissimi quando escono e sono ancora più buoni dopo qualche anno. Ieri sera Pajorè 2007 Rizzi era qualcosa di fenomenale, nessuna durezza e beva disarmante, ad esempio. In attesa di sapere come evolveranno fra alcuni decenni, a me sembra che oggi in Langa si siano finalmente superate le limitazioni della tradizione per ottenere dei vini veramente classici, per definizione.
Su questo siamo tutti d'accordo, ho solo dei dubbi che bisogni ringraziare Langa In per questa rinascita. Alla fine della fiera, a me sembra che i tradizionalisti abbiano semplicemente mantenuto la stessa idea di vino, facendo delle piccole e opportune correzioni. Il movimento modernista invece si è posto come
antitesi a questa idea di vino. Questa antitesi non sembrerebbe essere stata del tutto ingiustificata, visto quello che abbiamo detto sopra (vini acidissimi e tannicissimi, duri...); cioè nasceva da un esigenza, quella di fare del vino più buono e godibile da giovane. Peccato che la ricetta era completamente errata, perché i loro vini facevano schifo sia da giovani che da vecchi. La ricetta giusta, infatti, è stata quella di
avvicinare il tradizionale al moderno (e non il contrario) come ci testimoniano i vini di Mascarello, Conterno, Roagna di oggi.