andrea ha scritto:A me se dicono che Le Pin è strepitoso non sarei scettico, magari leggo le descrizioni e mi faccio l'opinione che per me non sarebbe altrettanto strepitoso...
Io continuo a dire che qui non è tanto questione di diversa propensione ad un certo tipo di vino, di gusto personale. C'è anche questo, come c'è in tutti i vini, dal Tavernello a Romanée-Conti.
Qui è molto di più, principalmente, quasi escluisvamente questione di distanza fra il posizionamento generale del Rossese di Dolceacqua nell'esperienza media dell'appassionato di vino, e le potenzialità qualitative del vitigno e della zona inequivocamente leggibili in purtroppo pochissime etichette e pochissime rare bottiglie reperibili più o meno accidentalmente.
Io non credo che l'eccezione confermi la regola, ma la confuti. Quando si parla di qualità, se ne può perdere per strada con bottiglie sottoperformanti, ma non esiste il caso di bottiglie sovraperformanti. Le bottiglie che appaiono immensamente al di sopra della media sono l'espressione del potenziale assoluto dei tre elementi, vitigno, vigna e tecnica, prodotto in un modo che non si è ancora riusciti a rendere costante e ripetibile.
La grande bottiglia non nasce per caso, tantomeno per sbaglio. A me basta anche una sola bottiglia eccellente di cui colgo la rete coerente di rimandi con il vitigno e con la zona, con il resto della denominazione, per dirmi che lì c'è l'eccellenza potenziale. Quando le bottiglie non sono solo una ma di più, di annate lontane e di produttori diversi, tutte perfettamente composte all'interno di un modello di tipicità che ben poggia le proprie basi sulla produzione di alto livello della DOC, allora è solo questione di quantità: di quante cantine, da quanto tempo, con quanti soldi, con quanta ambizione, con quanta coscienza. Non più di qualità.