birrachiara ha scritto:Ma fatta eccezione per il Nebbiolo, perdonami io non vedo un vitigno autoctono superiore all'Aglianico, sia per quanto ha espresso sia per quanto in prospettiva può dare.
Premettendo che condivido grossa parte di quanto hai espresso nella parte non citata del tuo intervento, mi pare che qui invece sia abbastanza facile obiettare che il Sangiovese abbia espresso qualità a livelli e con diffusione mediamente ben superiori a quelle dell'Aglianico. Sulle prospettive, basandosi sull'intuizione del potenziale e sulla dimostrazione delle vette massime passate, si puà discutere se sia superiore l'Aglianico o il Sangiovese, ma anche qui bisognerebbe fare un discorso un poco più approfondito. Se per ottenere vini uguali alla Riserva 1968 bastasse ripetere gli stessi passi io credo che lo si sarebbe già fatto. Almeno Mastroberardino lo avrebbe già fatto. Bisognerebbe capire allora se qualcosa è cambiato nel clima, nella popolazione clonale, nell'equilibrio fitobiologico complessivo della vigna e della cantina tipo di Taurasi, e se sia ancora possibile rifare quei vini. In Langa i vecchi dicono ad esempio che le uve degli anni 30, 40 e 50 erano diverse da quelle di oggi, e attribuiscono buona parte della variazione all'abbassamento delle falde acquifere sotterranee causato dall'arretramento dei ghiacciai e dalla diminuizione delle nevicate. Senza parlare delle immense variazioni microbiologiche in vigna ed in cantina o, per tornare in Irpinia, della radicale variazione dalla raggiera avellinese alla spalliera di oggi.
Senza contare il fatto che magari vini come il Riserva 1968, o come i mostruosi vini degli anni '20, '30 e '40 si potrebbe pure fare anche oggi tali e quali, ma bisognerebbe capire come sarebbero nel bicchiere per i loro primi 10, 20 o 30 anni di vita. Antonio Mastroberardino diceva che i vini della sua gioventù sarebbero considerati semplicemente imbevibili oggi, duri come rocce, amari come una medicina, acidi come la tastiera di... ops...
Però all'epoca piacevano così com'erano, e non ai contadini ma al pubblico internazionale più evoluto e raffinato, ai londinesi, ai newyorkesi, ai diplomatici di tutto il mondo clienti della cantina.
Insomma, come dice Paolo, il bello dell'Aglianico oggi è che un pozzo nero di cui ancora non si vede il fondo, di cui ancora non si intuisce la proporzione, di cui ancora non si scorge la figura precisa.
“La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri.”