https://www.ilsole24ore.com/art/pil-pro-capite-l-italia-raggiunge-francia-ridotto-gap-berlino-AHBoBorNel panorama globale scosso dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente e dai venti di un neoprotezionismo che già prima dell’applicazione concreta dei dazi sta spaccando le rotte consolidate della globalizzazione, le prospettive economiche dell’Eurozona tracciate lunedì 19 maggio dalle previsioni di primavera della Commissione Ue non sono esaltanti. E lo sono ancora meno quelle attribuite all’Italia, che con il suo +0,7% di crescita per quest’anno e il +0,9% previsto per il 2026 (le stime ufficiali del Governo parlano invece di +0,6% e +0,8%) viaggerebbe rispettivamente due e cinque decimali sotto il ritmo medio tenuto dai Paesi della moneta unica.
Ma accanto alle previsioni macro, difficili da incidere nel marmo quando devono avventurarsi in scenari mitragliati dalle raffiche di annunci politici non sempre razionali, sono i dati granulari elaborati dai tecnici di Bruxelles a offrire gli spunti più interessanti. Che, per chi non abbia troppa voglia di avventurarsi nella giungla fitta di dati e tabelle, possono essere sintetizzati così: la ripresa italiana post pandemica ha raggiunto risultati importanti, soprattutto quando si guarda al Pil pro capite a parità di potere d’acquisto che misura le performance dell’economia al netto dei colpi assestati da demografia e inflazione in modo differente da Stato a Stato. Su questo terreno, per esempio, l’Italia è arrivata ora a pareggiare i conti con la Francia, cancellando una distanza nel prodotto per abitante che era del 10,1% nel 2020 e dell’8,8% nel 2015, ha quasi dimezzato lo “spread” con la Germania, passato in cinque anni dal 24,3% al 13,9%, e ha ricucito i rapporti con la media dell’area Euro, da cui la separa un 5,9% invece del 10,7% del 2020 e del 9,4% registrato nel 2015 (il tutto ovviamente misurato sui confini attuali della moneta unica). Dati non banali, anche se frutto del confronto con un’area che, a partire proprio dalla Germania, non spicca certo per la vivacità della crescita.
Una spinta forte è arrivata dall’aumento dell’occupazione, che ha macinato record negli ultimi due anni ma, suggeriscono i dati, zoppica nel peso specifico riassunto dalla quantità di prodotto per occupato. E, ultimo ma cruciale capitolo del riassunto, la strada che andrebbe percorsa per recuperare i danni generati dalla lunga stagnazione pre-pandemica è ancora molto lunga; perché il peso economico (e quindi il benessere relativo) raggiunto dall’Italia 25, 20 o solo 15 anni fa resta lontanissimo.
I numeri, allora. Quelli più incoraggianti, si diceva, nascono dai calcoli sul Pil per abitante. Che hanno un pregio, perché sterilizzano gli impatti di una dinamica demografica da noi ancor più gelida rispetto al resto dell’area. Ma hanno anche un difetto: dal momento che il debito pubblico, su cui l’Italia è largamente primatista fra i grandi Paesi del continente e già vede la testa anche nella classifica generale con il prossimo superamento della Grecia, si sostiene con le entrate generate dal prodotto complessivo, a prescindere da quanti siano i suoi autori.
Nel conteggio basato sugli standard a parità di potere d’acquisto, il Pil italiano non si è limitato a recuperare il proprio posizionamento europeo pre-Covid, ma ha superato di un soffio le condizioni del 2015, quando era in linea alla media dell’Eurozona oggi superata dell’1,1%%. Oltre a riagguantare i livelli francesi e a quasi dimezzare il gap con la Germania, questo indicatore gioca una gara complicata con la Spagna, che in questi anni è fra le regine della crescita europea: nel 2025 ciascun italiano è “titolare” di un prodotto interno del 6,2% superiore a quello di ogni spagnolo, dieci anni fa la distanza era marginalmente più ridotta (+5,9%) ma nel 2020, anno di crollo dell’economia di entrambi i Paesi, era del 13,1%.
Il quadro diventa però parecchio più fosco quando la serie storica si allunga. Il prodotto per abitante italiano, che oggi vale il 5,9% meno di quello medio dell’Eurozona, era invece vicino a quello dell’area della moneta unica fino al 2010 (-2,5%), era allineato nel 2005 e nettamente superiore nel 2000 (+7,6%).
La parabola è il frutto della ventennale stagnazione che fra 2000 e 2019, con governi di ogni forma e colore, ha inchiodato il nostro tasso medio di crescita reale a uno spento 0,38%, e che dopo la crisi del 2011 ha visto superare il +1% solo nel 2015 e 2016. La stasi ha asciugato il peso continentale dell’economia italiana, che nel 2000 valeva il 18,9% dell’Eurozona per poi scendere fino al minimo storico del 15,3% del 2020, prima del piccolo recupero che l’ha portata al 15,7% quest’anno. Qui la partita con la Francia è tutt’altro che vinta, perché dal quasi pareggio di 25 anni fa si è passati a un -14,4% quest’anno (ma la distanza era del 17,3% nel 2015 e del 21% nel 2020) mentre Madrid si avvicina a grandi passi: 25 anni fa la Spagna produceva il 76,6% in meno dell’Italia, oggi il delta si è ridotto di quasi tre volte passando al 26,9%.
A spegnersi è stato il propulsore della produttività, riassunta dal Pil medio per occupato e alimentata da organizzazione, investimenti, tecnologie e innovazioni di processo. Il lavoratore italiano tipo generava nel 2000 un Pil superiore del 18,2% al collega medio dell’area euro, e nei primi vent’anni del secolo questo rapporto è declinato costantemente fino a invertirsi nel-1,1% registrato nel 2020.Anche su questo terreno la lente concentrata sugli anni più recenti restituisce dinamiche positive, ma meno brillanti di quelle disegnate dal prodotto pro capite: rispetto a Parigi il Pil prodotto in media da ogni lavoratore è in Italia inferiore del 2,1% (era sotto del 9% nel 2020 e del 6,3% nel 2015), e le performance italiane sono leggermente migliori di quelle complessive dell’area dell’euro (+1,1%) a cui però erano già allineate negli ultimi anni.
È il segno che l’occupazione cresce più del Pil, e si concentra su settori il cui valore aggiunto non è in grado di sbloccare il motore imballato della produttività.