sempre prezioso Massimo Fontana su Facebook
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Nell’intervento odierno volevo focalizzarmi sull’andamento dell’economia russa.
Ne avevamo parlato già in passato e avevamo visto come all’indomani dell’attacco all’Ucraina e dopo la reazione decisa dell’occidente, Putin avesse imposto la segretezza su tutti i dati economici russi.
Il risultato è stato che non solo le uniche informazioni disponibili sono quelle fornite dal regime russo, ma banalmente che le stesse organizzazioni economiche internazionali, mancando dati alternativi da parte di fonte certificata, sono costrette ad usare proprio i dati forniti da Mosca, di fatto riportando e amplificando con la loro autorevolezza la propaganda del Cremlino.
Come detto, da allora non abbiamo più analizzato l’economia russa, ma oggi invece ci ritorniamo in quanto sebbene i dati ufficiali siano chiaramente falsi, riescono comunque a darci qualche utile informazione a riguardo.
Ma in che modo dei dati falsi possono risultare utili?
Per una semplice ragione: la mancanza di coerenza logica tra di loro.
Mi spiego: se noi prendiamo un singolo dato e lo ritocchiamo per farlo sembrare una cosa diversa da quella che realmente è, e consideriamo in tutta l’analisi solo e unicamente quel dato, tale processo di falsificazione potrebbe anche funzionare.
Ma se noi prendiamo più dati di andamenti diversi, a meno che questi siano completamente slegati tra di loro, sorge il problema della interazione e relazione tra entrambi.
Ovvero se io so che il dato A influenza in modo direttamente proporzionale anche il dato B e io voglio falsificare il dato A, perché tale processo abbia senso devo anche mantenere la relazione vista sopra nell’andamento tra i due dati e quindi devo falsificare sia A che B e in modo direttamente proporzionale.
Quindi se per ipotesi aumento A del 10%, devo aumentare anche B del 10%.
Questo sembra abbastanza facile, ma in realtà così non è almeno per due motivi.
Il primo è semplice: se devo falsificarne tanti dati diversi e in modo coerente, qualcuno potrebbe sfuggire alla mia attenzione e/o non avere la relazione dovuta nel grado adeguato.
Il secondo motivo invece è qualitativo e quantitativo: se devo falsificare A e per farlo devo falsificare anche B e questo in una ben determinata direzione, la direzione della falsificazione di B potrebbe politicamente non piacermi e quindi potrei “limitare” il ritocco di B .
Tutto questo è molto bello, ma direi che è arrivato il momento di passare dalla teoria alla pratica.
Partiamo elencando quindi i principali dati ufficiali, e sottolineo ufficiali, che la Russia fornisce sulla sua economia e che possiamo leggere qui
https://www.corriere.it/economia/finanz ... 8xlk.shtml e qui
https://www.reuters.com/markets/europe/ ... 024-11-13/ :
- Il tasso di crescita del 2024 viene visto al 3,9%
- Il tasso d’inflazione attualmente risulta essere del 10,9%
- Il tasso ufficiale di sconto della Banca centrale russa è fissato al 21%.
Lo vedete il problema?
Fate uno sforzo.
Non riuscite a scorgerlo?
Va bene, allora spieghiamo il punto: un tasso d’inflazione al 10,9% unito ad un tasso di sconto ufficiale al 21%, comporta un tasso d’interesse “reale” del 10,1%.
Problema: un tasso d’interesse reale del 10% è a grandi linee incompatibile con un tasso di crescita del pil del 3,9%.
Non c’è quindi una coerenza logica tra i tre dati.
Dal momento che l’unico numero certo è il tasso di sconto, che è fissato dalla banca centrale, o è errato il dato dell’inflazione, o è errato il dato di crescita del pil, o sono errati entrambi.
Ma per comprendere ancora meglio la problematica, dobbiamo andare più a fondo, spiegando perché il tasso di sconto influisce sul pil e sull’inflazione.
La ragione va al cuore della spiegazione microeconomica di una dinamica macro, ovvero l’aumento dei prezzi.
Aumento dei prezzi, che come sappiamo dai lavori del maestro Milton Friedman, quando supera il 10% annuale, ha una origine quasi esclusivamente monetaria, ovvero è dovuta ad un eccesso di moneta presente nel sistema economico.
Moneta che nei sistemi moderni, si propaga attraverso vari "canali", come ad esempio la spesa governativa in deficit.
Quello che però ci interessa in questo caso è un altro versante che viene chiamato “canale monetario bancario”: in sostanza e semplificando al massimo, la moneta presente nel sistema economico è determinata, anche se come detto non in via esclusiva, dall’attività bancaria, la quale influisce direttamente sugli aggregati monetari i quali a loro volta determinano l’inflazione finale,
https://it.wikipedia.org/wiki/Aggregati_monetariPer dirla in modo banalissimo, quando le banche prestano tanto, i prezzi salgono, quando contraggono i prestiti invece, i prezzi scendono.
Che questo sia vero lo abbiamo visto tutti con il crollo dell’inflazione dopo il fallimento di Lehman Brothers: le banche hanno smesso di prestare causando un credit crunch
https://it.wikipedia.org/wiki/Stretta_del_credito e come conseguenza di questa stretta creditizia l’inflazione è prima scesa a zero, per poi diventare negativa (deflazione) all’apice della stretta (nel 2009).
In questo contesto allora, le banche centrali che vogliono controllare una inflazione attestata su valori non desiderati, utilizzano il tasso d’interesse per cercare di controllare i prezzi e questo perché la variabile chiave per espandere o restringere i prestiti bancari è proprio il tasso d’interesse.
Se questo aumenta, chiedere prestiti diventerà più oneroso, facendo così calare l’ammontare complessivo di questi e quindi la moneta in circolo nel sistema economico.
Se invece diminuisce, sarà più economico chiedere prestiti, provocando così un aumento della moneta in circolo.
Ma in tutto questo c’è un problema: l’aumento o la diminuzione dei prestiti complessivi, non determina solo l’andamento dell’inflazione, ma influisce direttamente anche sull’andamento del pil.
Quando infatti aumento i tassi d’interesse, come detto diminuisco i prestiti bancari complessivi, ma questa riduzione dei prestiti comporta per riflesso una riduzione degli investimenti del sistema economico e quindi sfocerà anche in una riduzione dell’espansione complessiva dell’economia.
Di nuovo come abbiamo visto durante la crisi Lehman: il credit crunch ha comportato la riduzione dell’inflazione, ma ha anche provocato la caduta, rilevante, del pil.
E come e quando sappiamo che avverrà una riduzione del pil a seguito di un rialzo dei tassi?
Molto semplicemente quando il tasso d’interesse “reale” diventa positivo (ovvero il tasso ufficiale di sconto è superiore al tasso d’inflazione) e con un differenziale sull’inflazione molto elevato.
Se guardiamo all’esperienza italiana ad esempio, durante la crisi Lehman e la crisi successiva dello spread del 2012, il tasso d’interesse reale aveva toccato un picco massimo del 4% e come conseguenza il pil non solo si è azzerato, ma è sceso di almeno 2 punti percentuali di pil.
Tornando a noi, tutto questo ci dice che un tasso d’interesse reale russo del 10% è incompatibile con il tasso di crescita e d’inflazione dichiarati.
E considerando che lo stesso Putin, nella sua conferenza di fine anno tenuta pochi giorni fa, ha bloccato un ulteriore aumento del tasso ufficiale di sconto, dichiarando che ci sono altri metodi per abbassare l’inflazione (ovviamente no, non esistono altri metodi), risulta evidente dalle parole di Putin stesso che il problema è sia l’inflazione che il tasso di crescita del pil.
Se infatti non fossero questi i problemi, non avrebbe da un lato bloccato il rialzo dei tassi (che diminuisce l’inflazione ma anche il pil) e non avrebbe dichiarato che comunque si deve combattere l’inflazione (anche se con altri metodi).
Ma allora quali potrebbero essere i valori dei dati economici russi più aderenti alla realtà?
Per l’inflazione in effetti è proprio il dato del tasso ufficiale di sconto a darci una indicazione: se come detto valori “reali” del 10% sono troppo elevati, è altamente probabile che il tasso d’inflazione attuale russo sia molto più vicino al 21% del tasso di sconto che al 10,9% dichiarato ufficialmente.
Considerando che l’intenzione della banca centrale era di aumentare ulteriormente il valore del tasso, è probabile che l’inflazione sia attorno al 18-20% e che sia in accelerazione.
E questo dato però, in una specie di effetto domino continuo, ci dice anche un'altra cosa: anche solo per ragioni contabili, il valore del pil ufficiale è errato.
Infatti, il pil annuale espresso in percentuale, ovvero il +3,9% citato all’inizio, se altrimenti non espressamente dichiarato, è da intendersi sempre al netto dell’inflazione.
Non solo è la norma economica del calcolo del pil, ma è anche logico: per capire se un sistema economico si è espanso, ovvero ha prodotto di più, rispetto al periodo precedente, devo togliere il puro aumento dei prezzi.
E questo aumento dei prezzi da togliere ha un nome e cognome, ovvero “deflatore del pil”,
https://it.wikipedia.org/wiki/Deflatore_del_PILNon la farò lunga: il deflatore del pil non è uguale al dato dell’inflazione, ma mediamente ci va molto vicino.
Ma questo allora ci dice che se le autorità russe hanno usato come deflatore un valore molto vicino al dato ufficiale dell’inflazione russa, dal momento che questo numero è errato e anche di molto, risulta altresì sbagliato anche il valore del pil e chiaramente, essendo l’inflazione e il deflatore, molto superiori al dichiarato, alla fine questo presunto aumento del pil sarà per forza di cose anch’esso diverso e inferiore a quanto ufficialmente riportato.
Questa manipolazione sballata non è in realtà una cosa nuova.
L’avevamo notata ancora nel 2013 per l’Argentina a guida peronista, e i successivi governi, dopo aver affidato la revisione dei dati del pil a soggetti terzi e indipendenti, hanno certificato esattamente quanto ipotizzavamo anni prima.
Alla fine l’unica cosa certa che possiamo ricavare dai numeri russi è che l’economia si trova molto probabilmente in una condizione nota come “stagflazione”, ovvero la presenza contemporanea di alta inflazione e bassa crescita.
Le ragioni sono innumerevoli, e vanno dall’eccesso di spesa militare e di deficit pubblico, le quali tolgono risorse all’economia reale e inondano il sistema di moneta inutile, fino alle sanzioni occidentali che limitano l’import e l’export del sistema economico russo.
Tutto questo è risolvibile, ovviamente, anche se in modo abbastanza doloroso, ma parte da un presupposto imprescindibile, ovvero la fine della guerra.
Concludiamo.
Falsificare un dato è facile.
Farlo sistematicamente per tanti valori diversi e in alcuni casi in conflitto tra loro, risulta molto più difficile.
E nel caso della Russia è ormai una tradizione, dal momento che durante l’era sovietica era perfettamente normale dare dati di crescita completamente slegati dalla realtà.
Ma certamente la verità prima o poi verrà alla luce.
Il fatto curioso in tutto questo invece è che almeno in Italia, comunque c’è sempre più di qualcuno disposto a credere alla loro veridicità.
Sia ai tempi del comunismo sovietico, sia oggi con l’imperialismo nazionalista antioccidentale putiniano.
Forse alla fine il vero mistero (masochista) in tutta questa storia è banalmente questo.
Buona giornata a tutti.