Argomento moooolto interessante e di attualità, se però si centra l'argomento… belli i vari articoli e il video.
Io sono originario di una zona in cui la vite ricopre praticamente tutto il territorio coltivabile, e ho vissuto sulla “mia pelle” i danni provocati dall’agricoltura convenzionale. Per quanto riguarda il cornoletame e altre pratiche considerate esoteriche dalla maggior parte degli agronomi non entro nel merito, il tempo e gli studi daranno le risposte sulla loro reale efficacia…. Inoltre, come dice il Marco, per l’agronomia ormai viene utilizzata da tanti “capiscitori” un "serio" approccio alla Paolo Fox!
Senza parlare delle volte in cui mi tocca sentire i fautori del vino naturale e della biodinamica sostenere che uno dei "grandi" problemi dell'agricoltura convenzionale sia quello dei residui di fitofarmaci nel vino, cannando alla grande il focus del problema.
Piccolo inciso, la fermentazione alcolica è un processo chimico straordinario che riesce a "ripulire" molto bene l’uva! (lo zolfo presente nei residui dei fitofarmaci, semmai, può dare problemi a livello sensoriale per il formarsi dell’idrogeno solforato… odore di uova marce… sai che buono!!!

ma parliamo di eventualità)
Mentre diverso è se si indirizza l'argomento, come sostiene Zampa, sul come ristrutturare un equilibrio tra le varietà coltivate di frutta, verdura, cereali ecc.. e l’ambiente circostante.
Ritengo che il vero problema sia proprio questo, cioè come ristabilire un equilibrio naturale tra uomo, piante , insetti e funghi simbioti che con le loro micorrize aiutano la pianta a crescere meglio e rafforzarsi (come nel caso delle foreste).
I danni prodotti dall’agricoltura convenzionale, come dicevo all’inizio sono tanti: distruzione tout court della componente micotica buona; distruzione degli insetti predatori; inquinamento delle falde acquifere; sostanze azotate che raggiungono il mare attraverso i fiumi facendo proliferare alghe e mucillagine (coadiuvato anche dall’aumento delle T) soffocando le altre forme di vita; danni direttamente cagionati alla salute dell’essere umano (a livello respiratorio ed epatico) di chi ad esempio abita a ridosso dei vigneti e dei contadini stessi che lavorano la terra. Quindi non è solo necessario, ma doveroso cercare nuove forme di agricoltura. Ma c'è bisogno di un approccio serio (e non quello alla Vanna Marchi

).
Per quanto riguarda il settore vitivinicolo, molti piccoli produttori e cantine private anche di grandi dimensioni che fanno vino di qualità già vanno in questo senso (cioè nel ristabilire un equilibrio natura/ attività antropiche) con ottimi risultati anche sul prodotto finale (es pontet canet, visto che è stato su citato, annata 2019 è una perla in assoluto). Il problema sono le grosse cantine sociali. Ad esempio, anche quest’anno, che di funghi non ce ne erano neanche in montagna (.. ahimè!!!

) visto il “caldino torrido”, hanno programmato lo stesso di far fare ai soci i trattamenti preventivi… In un anno in cui in Abruzzo sembrava di essere nel deserto maghreb! la peronospora e l’oidio non avrebbero potuto ad attaccare nemmeno le viti piantate direttamente nelle paludi di Celano!
Però non viviamo nel mondo delle favole ed è chiaro che per i grossi soggetti giuridici, come le cantine sociali le criticità sono tante: ci sono interessi economici legati ai fornitori di f farmaci, costi per il ripensamento del modello di agricoltura scelto, tutela del ritorno economico dei soci, ecc... e il cambiamento è molto difficile da attuare.
Eccezioni ci sono, tornando alle mie parti, ad esempio c’è la cantina s. di Orsogna che ha avviato un piano "bio" abbastanza serio con riduzione dei trattamenti, aumento del divario ai fini della valutazione al quintale dell'uva, a favore di chi conferisce uva di qualità rispetto al socio che conferisce uve che a malapena raggiungono il "minimo di zuccheri" consentito ecc.., ma tante altre realtà, più grandi, sono ancora lontane, molto lontane dall’instaurare un modello di agricoltura integrata con l’ambiente circostante. Una speranza possono essere i fondi europei in arrivo, con l’auspicio che il ministero dell’agricoltura pianifichi un percorso che sia sostenibile economicamente, ma allo stesso tempo imperativo così da imporre un drastico cambiamento di rotta. E sì… si pera che i soldi del R.F. vengano ben spesi… non ci resta che incrociare le dita!!!
