Messaggioda tenente Drogo » 21 lug 2020 22:31
“La luce dei paesi dei Castelli era una festa. Tutti ridevano. La morte sembrava che non ci avesse mai sfiorato. Invece, già allora, eravamo una banda di criminali. Ora che ci rifletto: la morte di quegli animali produceva una continua tensione sessuale che si respirava in ogni cosa. Pareva che la morte spingesse verso il sesso. Luce, case, bestie, macellai, garzoni, facchini, donne e uomini che camminavano per strada o che uscivano da negozi e bar erano incollati alla morte, al sesso e al sangue. E la luce di quei giorni schizzava orgasmi nell’aria che ricadevano eccitando di nuovo corpi e menti già pronti per un altro orgasmo; e un altro e un altro ancora.”
“Il più grande criminale di Roma è stato amico mio” di Aurelio Picca
La formazione criminale e la vita fino ad oggi di un ragazzo dei Castelli Romani che entra a far parte di una banda realmente esistita negli anni ’70 (c’erano il mitico Albert Bergamelli e Jacques Berenguer da Marsiglia).
Eros e Thanatos. Un libro pazzesco, uno dei più bei libri italiani del decennio (quale decennio? 2011-2020, va).
Aurelio Picca, di cui avevo letto il bellissimo “Arsenale di Roma perduta” è un vero talento letterario. Viene da Velletri, non è borghese, non è un fighetto uscito dalla Scuola Holden o un prodotto del marketing editoriale concepito per vincere lo Strega.
Non è uno che bazzica salotti, anche se incuriosì Arbasino, che volle invitarlo a un party per il suo compleanno (mannaggia, dovrei ritrovare il bell’articolo in cui racconta questa esperienza, lui, un po’ provinciale con la sua giacchetta d’ordinanza al cospetto del Vate vestito da Caraceni).
(E comunque un invito da Arbasino valeva almeno diecimila inviti a stupidi talk contemporanei.)
La prosa di Aurelio Picca, il suo stile diretto, a volte brutale e mai scontato, sgorga vitale da esperienze di vita vissuta. Si sente, persino si odora.
“Sembrava che le vie e i palazzi comprimessero il colore del cielo. Infatti tornavo ad annusare l’afrore del sangue degli animali. Gli animali morti macellati. […] Camminavo senza meta provando schifo per i ristorantini e localini della movida romana. Pensavo che i nuovi frequentatori si dessero da fare per scacciare quell’odore di sangue animale che gronda dai palazzi che fanno nero il cielo di Testaccio. Ma loro, intuivo, non sapevano niente di niente. Non erano stati fortunati come me che avevo visto l’ultimo mondo antico."