Nell'attesa che sia disponibile alla consultazione l'ultimo (settimo) rapporto di Itinerari Previdenziali sul mondo delle pensioni e dell'assistenza, disponibile qui
https://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/eventi/eventi-2020/settimo-rapporto-sul-bilancio-del-sistema-previdenziale-italiano.html, leggiamo qualche dato pubblicato sui giornali.
La spesa per le pensioni in senso stretto (cioè al netto di 35 miliardi di euro per voci assistenziali) è stata di 225,5 miliardi lordi e 175 circa al netto delle imposte pagate sulle stesse nel 2018 a fronte di entrate contributive per 204,7 miliardi; contro 220,8 miliardi l’anno prima.
Quota 100 porterà inevitabilmente «all’interruzione di un trend di miglioramento del rapporto attivi/pensionati che durava ormai da diversi anni», grazie alle ripetute riforme pensionistiche e al ritorno dell’occupazione ai livelli precedenti la crisi del 2007. Inoltre, il fatto che la crescita dell’economia non decolli rischia di compromettere le pensioni di chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995. Il sistema di calcolo contributivo rivaluta infatti i versamenti in base al Pil che, sottolinea il Rapporto, «dall’inizio del nuovo secolo appare al di sotto delle ipotesi formulate quando fu introdotto il nuovo metodo» (crescita media del Pil dell’1,5% annuo). In particolare, «l’aumento reale del montante dall’inizio del 2000 sta procedendo lentamente, con una crescente instabilità e con un elevato numero di anni in cui si registrano valori negativi; tutti aspetti che richiedono attenzione perché è in gioco la futura adeguatezza dei trattamenti pensionistici».
E in prospettiva appare «sempre più insostenibile il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale: 105,6 miliardi nel 2018, con un tasso di crescita annuo dal 2008 (73 miliardi) pari al 4,3%». Tanto che, «ai fini della sostenibilità del sistema» sarebbero necessari «un accorto monitoraggio della spesa assistenziale, anche attraverso l’istituzione di un casellario centrale, e il contrasto dell’evasione fiscale e contributiva», che sottrae ogni anno circa 120 miliardi alle casse dello Stato. In tutto ci sono 16 milioni di pensionati: molti in rapporto ai 23,2 milioni di occupati ma mai così pochi negli ultimi 22 anni, grazie all’aumento dell’età pensionabile (quella media effettiva è salita da 57,9 anni nel 1997 a 63,7 nel 2018).
Solo che
quasi la metà dei pensionati, 7,9 milioni dice il Rapporto,
riceve prestazioni totalmente o parzialmente a carico dell’assistenza, cioè finanziate non dai contributi ma dalla fiscalità generale. Quelli con assegni interamente assistenziali (invalidità civile, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, pensioni di guerra) sono 3,7 milioni e gravano sul bilancio pubblico per 22,3 miliardi «importo in costante aumento negli ultimi 8 anni», cui si aggiungono circa 4,2 milioni di pensionati che beneficiano di integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali varie, facendo salire la spesa a 33,4 miliardi.
Alla luce di questi dati, va completamente rivisto il modo in cui si guarda solitamente al welfare italiano, «sfatando alcuni luoghi comuni».
Primo: non è vero che si spende poco, perché considerando anche la sanità (circa 115 miliardi), il welfare locale e le spese di funzionamento degli enti preposti si «sfiora il 30% del prodotto interno lordo, uno dei valori più alti in Europa».
Secondo: la confusione tra spesa previdenziale e assistenziale genera una lettura distorta della situazione. Prendiamo le pensioni sotto i mille euro. È vero, sono 14,9 milioni, pari al 65% di tutte quelle in pagamento (22,8 milioni). Ma se si guarda ai pensionati, cioè alle persone anziché alle prestazioni,
poiché ogni pensionato prende in media 1,4 assegni (per esempio, pensione più indennità di accompagnamento o di reversibilità), si scopre che quelli che stanno sotto i mille euro sono 6,4 milioni su 16 milioni, cioè il 40%. Inoltre, suggerisce il Rapporto, bisognerebbe analizzare separatamente gli importi medi delle pensioni maturate al termine di una storia lavorativa da quelle riconosciute per motivi assistenziali (stato di bisogno, invalidità, ecc.).
«Provando a escludere le prime due classi di reddito pensionistico (fino a due volte il minimo, 1.014 euro mensili lordi), che sono principalmente assistenziali per un totale di 6,4 milioni di pensionati, il reddito previdenziale medio (supportato da contributi) dei restanti 9,6 milioni di pensionati ammonterebbe a circa 20.373 euro annui netti», quasi 1.700 euro al mese. «È sempre vero – conclude Brambilla – che il 40% dei pensionati prende non più di 1.014 euro lordi al mese, ma non si tratta strettamente di pensioni, quanto di prestazioni prevalentemente assistenziali» per le quali non sono state pagate dai titolari né contributi né imposte. Insomma, secondo il Rapporto, in Italia ci sono troppi assistiti (parte dei quali in virtù dell’evasione fiscale che apre loro le porte ai sussidi pubblici) e pochi lavoratori regolari (che quindi pagano contributi e imposte), basti pensare che il tasso di occupazione tra 20 e 64 anni è da noi del 63% contro l’80% circa della Germania e il 72% della Francia.