JURA-TOUR (E DINTORNI)
Vista la notevole difficoltà a trovare produttori disponibili in Jura(*), decidiamo di fare una breve tappa nel Bojolé, era da un po' che mi frullava l'idea di passare in zona, e direi che siamo cascati piuttosto bene.
(*)abbiamo iniziato a tartassare di mail e telefonate i produttori con largo anticipo, ma tra produttori non disponibili in quelle date (Ganevat ed altri), irreperibili a qualsiasi ora del giorno e della notte (Kenjiro Kagami e Octavin), che non accettano visite (Macle), pensionati e con scorte terminate (Puffeney), cazzi e mazzi, oltre ai 6 produttori visitati ne abbiamo contattati in totale ben altri 11, 'na faticaccia...
FOTO: vigneti innevati nella parte alta del village di Fleurie.
Partenza notturna per essere di buonora a Fleurie, o meglio in un villaggio appena sopra (Vauxrenard), parecchia neve al Monte Bianco, ma anche le colline del Beaujolais quando arriviamo sono belle imbiancate... Fleurie è parecchio in alto, per lo meno in confronto a Morgon, la sede del Domaine Metras è dispersa tra bosco e vigneti, ad un certo punto una pianta caduta sotto il peso della neve ci sbarra la strada, a fianco un uomo la osserva riflettendo sul da farsi, è Yvon Metras... Superato l'ostacolo arriviamo alla cascina-fattoria-baita, il mal tempo ha interrotto l'energia elettrica e l'acqua corrente, l'unica cosa al momento in funzione è il forno a legna con il pane in cottura. All'ingresso della cantina ci attendono uno scodinzolante cane da caccia, e appoggiato sui cartoni di vino un lucidatissimo fucile, corredato dalle apposite cartucce buttate in una cassetta di legno di bottiglie di vino (e con questa spero di aver dipinto adeguatamente il quadretto idilliaco-agreste). Vista l'oscurità della cantina dovuta all'assenza di corrente ci spostiamo in una seletta-museo di attrezzi agricoli, dove spalancata la porta un sole non certo flebile illumina e dona tepore all'ambiente. Veniamo ai vini: venti/venticinquemila bottiglie a seconda delle annate, niente chimica e pochissimo legno, unico ausilio tecnologico il freddo, vinificazione a grappolo intero, vigne tra i 450m e i 500-550m slm. Ovviamente vini tutti sul succoso-fruttato-floreale com'è lecito aspettarsi da un buon Gamay, già piuttosto buono il Beaujolais 2018, si sale di un gradino col Fleurie Le Printemps 2018 (dalle vigne più giovani, circa 20 anni), che aggiunge agrume, un tocco di rabarbaro ed eleganza, mentre è più chiuso, argigno e decisamente da attendere il Fleurie sempre 2018 (da Vieilles Vignes). In pochissime annate produce un Fleurie Ultime (un tres vieilles vignes), mentre il Moulin-a-Vent prodotto in poche bottiglie è esauritissimo. Convince meno, seppur ben fatto, il Chiroubles 2018 Jules Metras (è il figlio), più semplice e sulla macedonia.
FOTO: la discesa verso Morgon, con il cono del Mont Brouilly che "buca" il mare di nebbia
La discesa verso Morgon è piuttosto veloce, ed arriviamo ai 250/350m slm della Cote du Py, la (moderna) sede aziendale di Jean Marc Burgaud ne è al centro, anche se ci dice che in realtà i confini del Cru sono stati un po' stiracchiati ed allargati (tutto il mondo è paese...), ed il vero cru è secondo lui la parte più alta, appena al di sopra dell'azienda. Jean Marc sembra molto entusiasta di avere a che fare con dei giovani appassionati e non con i soliti importatori & co. e ci stapperà di tutto e di più, compresa la sua prima annata di Cote du Py, e anno di nascita di suo figlio, e ci dirà poi che non succede poi tanto spesso...I primi assaggi non sono troppo precisi e convincenti, si comincia a ragionare con il Morgon Le Charme 2018, dal frutto scuro e fumé, si sale di livello col Morgon Grand Cras 2018 più definito e con maggior polpa, piuttosto promettente il Cote du Py 2018, con buona materia ancora compressa al momento, il Cote du Py Javernieres 2018, arriva da un lieu-dit dal terreno piuttosto differente, che dona maggiore avvolgenza e bella spezia, il miglior assaggio arriverà da botte con un Cote du Py James (parcella nella parte alta) 2018, pepato e di struttura. Il produttore ci tiene a precisare che effettua un macerazione semi-carbonica, con in parte grappoli interi e in parte che schiacciandosi vengono spremuti, questo secondo lui gli permette di non marcare troppo i vini da sentori di macerazione carbonica ma di lasciar esprimere meglio il terroir. La carrellata di assaggi proseguirà con i 2017, che sembrano avere meno ricchezza e maggiore acidità, i 2016 donano una bocca molto equilibrata e succosa, James 2015 da annata piuttosto calda è sfuocato ed un po' cotto. Ci tiene a farci assaggiare la 2008, che dice essere una delle più difficili e fredde, ma secondo lui molto soddisfacente invece per il risultato ottenuto, soprattutto grazie alle vecchie vigne ed alle migliori esposizioni: Charme 2008 è serio e curiosamente nebbioleggiante, come anche il Cote du Py 2001 (anche se qui il tempo è stato meno clemente e sembra più un nebbiolo anni ottanta). Il Régnié 2001 è autunnale e crepuscolare, e concludiamo con il Cote du Py 1992, che c'è ancora tutto, autunnale, vegetale, e dal sorso teso. Il Gamay vino da lungo invecchiamento? forse no, ma credo che qualche Morgon di quelli giusti, nel medio periodo possano dare belle soddisfazioni. Gran bella esperienza, produttore entusiasta e promettente, da seguire.
Nel pomeriggio ci spostiamo nel Jura, arriviamo a Rotalier senza vedere praticamente nemmeno una vigna, è un minuscolo paesino in una piccola valletta con fiumiciattolo annesso e le vigne sono praticamente strappate al bosco. Passaggio veloce da Labet, niente assaggi (ci avevano pre-avvisato, periodo lavorativo intenso dicono), per un misero acquisto in quanto in un mese e mezzo hanno praticamente già esaurito i bianchi ouillé...
Breve spostamento a nord e arriviamo a Pupillin, "capital mondial du Ploussard", anche qui il paesaggio è molto agreste-agricolo, con campi coltivati, molti animali, e venendo da sud nemmeno una vigna... Pupillin si trova praticamente in una piccola conca situata a mezza costa, più sopra qualche campo e poi subito bosco, i vigneti sono nel versante ovest, che degrada verso la sterminata pianura e soprattutto verso nord, in direzione Arbois.
Visita da Philippe Bornard.Avevo già assaggiato qualche (pochi) Poulsard-Ploussard e Trousseau inquadrandone più o meno le caratteristiche, e dopo questa due giorni di approfondimento continuano a non incontrare proprio il mio gusto... molto strano, sono da sempre stato molto curioso sui vitigni "strani" ed unici, ma qui non ce la faccio proprio. Intendiamoci, le versioni migliori sono comunque abbastanza piacevoli, ovviamente ricche di carattere, ma non più di un bicchiere, please... Riassunto caratteristiche di prodotto: Ploussard è un vino bianco travestito da rosso, acidità viva (a volte selvaggia), corpo scarno, colore scarichissimo, molto spesso torbido, e altrettanto spesso (ma qui ovviamente il vitigno non centra, o forse è solo tendenza a) accompagnato da sentori non pulitissimi di ridotto, di "birra a fermentazione spontanea", e di CO2 residua, mentre il Troussau ne ricalca alcune caratteristiche, pur avendo però più colore (da pinot noir per intenderci) e un po' di polpa in più. Questa premessa era d'obbligo per quello che poi assaggeremo da Bornard, qui è il figlio ad aver preso in mano le redini dell'azienda, asseggeremo un sacco di vini da tank e da botte, soprattutto rossi, e sarà un po' il festival dell'imprecisione enologica... visita comunque divertentissima, tra antiche botti con ideogrammi fallici (questi moderni) e Chardonnay-Chardogai. Vale la pena di menzionare il Pinot Noir L'Aide Memoire 2018, da numerosi e diversi cloni sconosciuti (almeno oggi) in Borgogna, compresa una varietà "tintore" dalla polpa colorata, il Savagnin 2018 dalla bella mineralità e che non disdegna un po' di polpa, e soprattutto il Vin Jeaune 2018, questo si grande vino, di estrema eleganza, proposto in abbinamento a Comté locale.
Il giorno seguente torniamo a Pupillin, da Bruyere-Houillon, che ci accoglie praticamente, anzi togliete pure il praticamente, nella cucina-soggiorno di casa sua, con i tre figli che giocano con l'arzillo cane ed il forno a legna (ancora una volta) per il pane sullo sfondo. Produttore emergente, coppia giovane, lui ha lavorato per diverse altre aziende ed è imparentato con Emmanuel Houillon, attuale anima del Domaine Pierre Overnoy. Solo 5 ettari, prima vendemmia nel 2011 e già risultati molto interessanti. Da lui approfondiamo la questione gelate: tutta la regione è stata duramente colpita da due gelate recenti che hanno drasticamente ridotto la produzione, e la cosa ci verrà detta e ridetta da praticamente tutti i produttori visitati, il tutto si è tradotto in un meno 80% della produzione nel 2017 (ma c'è anche chi ha visto un meno 90%), e meno 60% nel 2019. Una bella botta direi... Questo non aiuterà affatto la reperibilità nei prossimi anni, ed ho il forte sospetto che farà da leva per i prezzi, per una zona molto acclamata all'estero (circa 70% di export, del quale parecchio finisce in Giappone).Qualche assaggio da bottiglia e da vasca, piuttosto buoni sia lo Chardonnay La Croix Rouge 2016 che Les Tourillons 2016 (80 Chard+20 Savagnin), entrambi tesi e freschi, con il secondo più completo ed elegante, lime e sale.
Ci spostiamo quindi un paio di civici più su: Pierre Overnoy.Ci apre la porta lo stesso Pierre, che sorridente ci affida a Emmanuel Houillon, che di fatto oggi gestisce l'azienda, siamo in una vecchissima casa, attraversiamo la cucina dove una signora sta finendo di pulire l'impastatrice, l'odore di lievito in aggiunta alle due bacinelle notate fuori dalla porta di ingresso con residui di impasto e la presenza di una stufa-forno a legna, ci suggerisce che anche qui (coincidenze?) ci si fa il pane in casa... Ci accomodiamo in un soggiorno con enorme tavolone, arredi e cimeli vecchi, disordine, e vista sul pollaio. Mi ricorda molto la stanzetta dove ti accoglie il Cav. Accomasso, per chi c'è stato. Viene da chiedersi se sanno a che cifre circolano i loro vini... ma sono quasi sicuro che lo sanno, e questo è solo lo stile di vita che hanno scelto, o forse solo mantenuto.Qui lo Chardonnay 2016 da vasca è equilibrato ed elegante, bel melone bianco, vitigno riconoscibile, lo stesso nella 2014 è invece più introverso e da attendere, l'annata è più fresca e si sente, con un bel tocco minerale, l'eleganza si ripresenta poi sottoforma del Ploussard 2018, di fruttini e macedonia di frutta, dal tannino ben presente, piacevole. Spiazzante invece lo stesso nella 2015, color buccia di cipolla, torbido, agrumi e radici, assolutamente più un orange wine che un vino rosso... La 2019 è giustamente ancora un succo di melograno poco decifrabile. Arriva quindi il vino da visioni mistiche della tre giorni: Vieux Savagnin Ouille 2004, ancora in tonneaux, perfetta via di mezzo tra un ouille e un Vin Jeaune, complesso, definitissimo, lungo, retrolfazione di grande intensità, mistico. Beato chi riuscirà a scovarne qualche bottiglia ed a permetterselo... Ovviamente inutile chiedere bottiglie in cantina.
Breve spostamento verso nord di Arbois, dove in piccolo villaggio visitiamo Gahier Michel. Qui i bianchi ouillé sono un pelo più classici come espressione, per capirci lo Chardonnay Les Follasses 2018 possiamo dire che Chabliseggia, mentre lo Chard. Les Cretes 2015 non disdegna una certa dose di ciccia, pur mantenendo la consueta acidità à la Jurassienne. Piuttosto interessante il vino sous voile, l'Arbois Melon La Fauquette 2014, da Melon a Queue Rouge (cugino del melon della Loira), dal singolare profilo di oliva, salamoia e origano accompagnate da decisa freschezza, mentre lo stesso dell'annata 1989 "Cuvée Hommage a Louis Pasteur", rimasto 13 anni in botte, è giustamente più sull'ossidazione con mandorle e noci, solvente, ed una bocca che sorprendentemente non si è mossa di una virgola, sovrapponibile al 2014. Louis Pasteur visse ad Arbois e coltivò vigna nell'adiacente villaggio di Montigny Les Arsures, dove ci troviamo. La mano più "classica" dona maggior piacevolezza ai rossi, in particolare al Trosseau Les Grand Veregers 2017, dalla bella violetta e tannino serrato.
FOTO: le vigne tra Arbois e Montigny
Abbiamo tempo per un veloce passaggio allo shop André e Mireille Tissot in piazza ad Arbois, e per una merenda alla pasticceria difronte già citata nelle pagine precedenti. Tissot (ma quanti ce ne sono in zona con lo stesso cognome? una marea) con le sue 130.000 bottiglie si colloca tra i grandi produttori in zona, con una gamma piuttosto vasta. Vini in generale più "pettinati", ma che tutto sommato non tradiscono poi molto il terroir, tra i Cremant du Jura segnalo il BBF, interessanti i due Chardonnay, il Rose Massale 2018, da vecchio clone del Jura è profumato e grasso, e nel La Mailloche 2017 si aggiunge un deciso fumé, mentre tra i tre Savagnin la preferenza va al Traminer 2016, che come suggerisce il nome è bello profumato e intenso. Meno esaltanti di altri, seppur ben fatti i Vin Jeaune, ne fa addirittura 4, e molto piacevole il Vin de Paille 2015.
Ci spostiamo quindi un quarto d'ora più a nord, siamo nella pianura, e dopo essere passati davanti all'imponente edificio delle Saline Royale (magazzini del sale del re) e attraversata una foresta arriviamo da Le Ratapoil. Il termine in patois locale indica colui che produce il vino amatorialmente, per l'autoconsumo, e questo suggerisce le risicate dimensioni aziendali... Anche qui ci accolgono sul tavolo di casa, che questa volta è moderna e con annessa piscina.Piuttosto interessanti gli assaggi da vasca dei bianchi 2018, compreso uno Chardonnay macerato che mi ha ricordato molto i vini di Podversic, l'unico bianco da bottiglia era l'Arbois Chardonnay 2018, molto poco leggibile causa imbottigliamento recentissimo... Bella la carrellata di rossi, piacevoli, nitidi e precisi, compreso anche un rosso da diversi vecchi vitigni mai sentiti nominare. Scaldatosi un po' l'ambiente, il produttore si dice felice di potersi confrontare direttamente con semplici appassionati-consumatori (la maggior parte delle volte è visitato da importatori o magari jappo-sommellier), e non senza qualche piccola insistenza, si convince a stapparci anche gli ossidativi, in tiratura micro-nano. Il Savagnin Oxydatif 2012 dopo 5 anni di botte è un perfetto connubio tra le note fresche di mela verde e quelle ossidative della mandorla fresca, al sorso è cristallino e fresco nonostante i 15 alcol, dal leggero tannino finale, ed il Vin Jeaune 2011 si mantiene sullo stesso stile, con bocca snella e fresca, un ritorno agrumato ed un naso più intenso di frutta secca, molto buono. Rivelatoci di aver sottratto la bottiglia di Vin Jeaune alla sua scorta personale non possiamo che finire gozzovigliando decidendo di stappare un nostro Cote-Rotie 2009 di Jamet acquistato in giornata, confrontato neanche a farlo apposta con un suo Syrah, vino di negoce, prodotto acquistando le uve da un amico viticoltore del sud, negli anni di forte gelo, per non rimanere con le mani in mano...
Per concludere il tour e non farci mancare niente, la domenica mattina, sempre di buonora, siamo ad Ampuis.Imbocchiamo la route de Rozier, che si inerpica con pendenze di tutto rispetto lungo l'omonimo cru, non è la prima volta che vengo in Cote-Rotie ma fa sempre impressione vedere i pendii sui quali sono abbarbicate le vigne, l'unica esclamazione possibile è: qui son tutti matti! E' presto e la nebbia non si è ancora alzata, ci toglie in parte la visuale ma contribuisce ad aggiungere fascino al panorama. Arriviamo sul plateau e la strada si fa in parte più pianeggiante, i vigneti sono intervallati da coltivazioni varie fino ad esserne quasi del tutto sostituiti, siamo già ad una buona altezza, tant'è che nonostante siano trascorse due giornate piacevoli dal punto di vista meteo la neve caduta giovedì notte è ancora lì... Il produttore che visiteremo ci dirà poi che ovviamente le vigne migliori restano quelle a mezza costa, ma nell'ultimo periodo con le annate sempre più calde e vini più ricchi si stanno rivalutando anche quelle più alte, e poter disporre anche di queste ultime permette di ottenere vini equilibrati anche nelle annate torride.
La meta è un produttore poco conosciuto ed emergente: Francois et Fils. La sede è una vera e propria fattoria, o allevamento se preferite, in quanto la produzione di vino è solo una delle attività di famiglia, tra cui ci sono anche le vacche e la produzione di formaggio, ovviamente grand cru mi verrebbe da dire vista la zona in cui pascolano...
La produzione è di circa 20.000 bottiglie in totale, partiamo dal ottimo Condrieu Veauvignere 2018 bello profumato e che evita di svaccare in rotondità boteriane mantenendo adeguata freschezza.Il Syrah IGP 2018, dalle vigne più giovani sempre in comune di Ampouis, è di gran piacevolezza, semplice, fruttato e fresco, sarebbe da comprare a bancali al prezzo franco cantina, se non fosse che abbiamo la macchina che trabocca letteralmente di bottiglie, ed il rischio che qualcuno della combricola enoturistica debba ritornare in patria via treno o bus per mancanza di spazio comincia a farsi piuttosto concreto... Il Cote-Rotie 2017 è bello centrato, femminile e già approcciabile, arriva da 5 parcelle tutte a est della Cote Brune e come tradizione vuole contiene qualche grappolo di viognier. Il C.R. Rozier si fa invece più serio, ancora chiuso al naso e bocca maschia, più ricca e dal tannino deciso, darà soddisfazioni lasciato riposare. Dalla 2017 producono anche un altro cru, Les Rochins, che hanno deciso di vinificare a grappolo intero e con un po' di viognier (quest'ultimo in questa fase si sente bello deciso), che ovviamente si traduce in un profilo decisamente diverso, si torna alla femminilità al sorso, florealità e bella lunghezza.
Chiudiamo col botto: Rostaing.La sede è a pochi metri dal fiume Rodano giust'accanto allo Chateau d'Ampuis, che diradata la nebbia luccica al sole, una gran figata di casettina si è concesso monsieur Guigal...Il sempre affabile mister René ci propina per avvinare la bocca il Puech Noble rouge 2017 dal vigneto in Languedoc, dalla bella balsamicità e frutto, e mi sembra che stia calibrando bene la mano su questo vino. Cominciamo poi a fare sul serio con i Cote Rotie, la 2017 è annata calda ci dice, Ampodium molto elegante e decisa tannicità, Landonne più speziato e con asperità ancora da smussare al sorso, quindi la stessa coppia nell'annata 2013, che René dice di amare,seppur più fredda e difficile, in quanto ha dato secondo lui vini più "tipici" e più simili a quelli che si facevano anni addietro: Ampodium decisamente pepato, con qualche nota verde, non lunghissimo, Landonne più fine ed elegante, niente male nel complesso direi. Mancano gli assaggi dei cru da coup de coeur, sarà per la prossima volta... Ci congediamo pulendo la bocca con il Puech Noble blanc 2018, praticamente un vermentino (50% rolle e 50% grenache blanc), e anche qui vale quanto già detto per il rouge.
Chiudo il racconto con un paio di foto che tormentano i miei sogni notturni da quando sono tornato, un paio di "Premiere Grand Cru Classé Superieur de Carél du Fromage" incontrati nella tre giorni...