Messaggioda landmax » 28 set 2019 15:19
Eccomi finalmente (mi scuso con Ivo ma è stata una settimana pienissima…)!
Grazie, come e più di sempre, al padrone di casa e ai suoi amabili figli per la generosa e calorosa ospitalità!
Del cibo ha già parlato chi mi ha preceduto, ma non posso non fare gli applausi a una cucina di tale livello. Pappardelle al germano reale e uccellini da vero orgasmo gustativo.
Ma veniamo ai vini.
- CHAMPAGNE B.D.N. ERIC RODEZ (MAGNUM): sono sincero, l’ho bevuto un po’ distrattamente, tra saluti ai convitati e assalti alle crescentine, ma devo dire che mi è piaciuto, anche se forse più adatto per un accompagnamento a tutto pasto, che come aperitivo. Comunque una bella bolla, anche se forse da un Ambonnay grand cru potrebbe essere lecito attendersi qualcosina in più.
- CHAMPAGNE BRUT BOLLINGER S.C.: maturo q.b., mi ha fatto una buona impressione, certamente migliore di altri bevuti nel recente passato.
Prima batteria:
- VOSNE ROMANEE LES-SUCHOTS 2013 DOMAINE DE BELLENE (NICOLAS POTEL): vino a mio avviso più interessante a livello olfattivo (con una nota boschiva e balsamica molto intrigante) che in bocca, dove manca un po’ di pienezza, sapore e allungo per essere grande, sorretta comunque da un buono scheletro acido che ne invoglia la beva. Certo da una vigna e un’appellation così importanti è lecito attendersi qualcosa di più, ma è anche vero che l’annata qui è stata un po’ grama e a mio avviso si sente.
- PERGOLE TORTE 2016 MONTEVERTINE: decisamente indietro, sia al naso che in bocca, dove appare ancora piuttosto contratto e imbrigliato dall’elevage. Forse il Pergole più “muscoloso” (absit iniuria verbis) che mi sia capitato di bere, comunque molto promettente all’assaggio, dove ritrovo quel mirabile equilibrio che pare essere il tratto distintivo della (grande) annata 2016. Da attendere.
- BARBARESCO MONTEFICO V.V. 2008 ROAGNA: l’ho apprezzato senza riserve. Certo, è esatto sostenere che fosse piuttosto evoluto, ma la sottigliezza infiltrante di quella bocca… puro lirismo, fatto di tannino finissimo e sapore coinvolgente. Quasi un nebbiolo di montagna, nel modo di proporsi. Chapeau.
Seconda batteria:
- SASSICAIA 2006: giovanissimo tanto nei profumi quanto all’assaggio, dove deve ancora smussare una, non timida, quota di tannino ellagico. E tuttavia sembra fatto per durare all’infinito, e con la cacciagione ci sta che è una meraviglia. Non il vino che comprerei, ma resta un ottimo prodotto.
- CHATEAU LEOVILLE LAS CASES 1997: peccato, perché annusandolo la prima volta mi aveva colpito (grande finezza). Invece all’assaggio appare stanco, già in fase calante e con una nota di conserva di pomodoro non proprio bellissima.
- CHATEAU LYNCH BAGES 1988: brodoso, non valutabile.
Terza batteria:
- CHIANTI CLASSICO RISERVA 2004 CASTELL’IN VILLA: vini che non lasciano mai indifferenti, quelli di Castell’in Villa. Codesto è un sangiovese di razza, davvero eccellente e ancora giovanissimo, ben lontano dal suo apogeo. Fresco, saporito, di struttura, senza perdere un briciolo di eleganza. Tanta roba.
- IL NOVANTUNO DI SERGIO MANETTI MONTEVERTINE: che dire, da “un’annata di merda” (cit. Martino) il produttore ha saputo trarre un vino che ancora oggi ha molto da raccontare. Certo, l’annata difficile si sente in bocca, il vino è un po’ seduto, ma mantiene una dignità e una dolcezza di frutto esemplari. Ah, i profumi sono coinvolgenti e spaziano su vari registri (dal frutto al sottobosco al cuoio). Un notevole conseguimento.
- BRUNELLO DI MONTALCINO RISERVA 1983 BIONDI SANTI: la bocca più scalpitante dell’intera giornata, davvero impressionante che questo signore di 36 anni riesca a trasmettere tanta energia cinetica! L’ho adorato, seppure sussurrato nei profumi, è appunto all’assaggio che dà il meglio di sé, con un “equilibrio dinamico” davvero sorprendente. Lungo, più elegante che potente, potrà reggere ancora qualche decade.
Da soli:
- LAMAREIN 2016 JOSEPHUS MAYR: avevo bevuto l’annata 2008 a Natale scorso e debbo dire che lo preferisco da giovane. Intendo dire che questo esemplare (molto simile, per il resto, a quello che avevo bevuto) ha un quid pluris di gioventù, è più sul frutto, cosa che a mio parere rende il vino meno monolitico di quanto lo ricordassi. Certo, gareggia nella categoria “pesi massimi” e da solo risulterebbe un po’ stucchevole, ma con parmigiano e mostarda fa la sua degna figura.
- VINO SANTO 1919 FAMIGLIA DILETTI: questo, invece, è vino da meditazione se ce n’è uno. Colore ambrato e irrealmente luminoso, i profumi sono di una precisione millimetrica, spaziando dall’albicocca disidrata al cedro, dalla cera d’api alla cenere, a mille altri rimandi che non so dire. Bocca di equilibrio assoluto, ove la dolcezza, non troppo pronunciata, si fonde a meraviglia con la freschezza tipica del vitigno, restituendo un nettare miracoloso, che invoglia continuamente al sorso successivo. Difficile ogni volta cercare di restituirne l’essenza. E la meraviglia di chi ha avuto la ventura di assaporarlo.