SommelierSardo ha scritto:AedesLaterani2012 ha scritto:Visto che il thread ormai sta prendendo un'altra piega, ricordo - così, tanto per notiziare i più - che i vini di Valentini non sono 'limpidi' perché non subiscono interventi di chiarifica, in fase fermentativa del mosto, con alcun tipo di stabilizzante. Dal mio modesto punto di vista dovrebbe essere un valore aggiunto piuttosto che un 'difetto', se con assenza di limpidità ci riferiamo alla velatura nel calice alla mescita.
Appunto corretto Ric, non è un dettaglio da nulla.
2007, 2010 e 2013 sono belle interpretazioni.
2011 non all'altezza del nome.
2014? Cosa ci racconterà? Lo hai già provato?
Non sono mai prevenuto sulle annate tribolate, sono il San Tommaso dell'assaggio
No, Giovanni, volendo acquistare la 2014 a fine luglio in cantina, non la degusterò prima di settembre; agosto vado di bianchi e rosati alto-atesini, come tradizione vuole! Sai che ti dico, riflettendo sulla dicotomia - tutt'altro che banale - "varietale vs territoriale"? Che dalla insignificante varietà di Trebbiano abruzzese - come diceva Antinori - si ottiene un vino così territoriale con Valentini, al punto che un artigiano come lui, sa sorprenderti con annate 'anomale', al pari della '99 o della 2011, o con "
unica" da uve con maturazioni fenoliche così indietro, come nella 2009, in cui fai davvero fatica a pensare a ben due attacchi di botrytis in meno di un mese, quantunque il frutto diluito resti indicatore di anticipazioni vendemmiali e di un lavoro in vigna fuori del comune. 2007, 2010 e 2013 che hai citato sono annate con prospettive evolutive di lunga, lunghissima gittata, questo è arcinoto; da bere e ribere nel tempo per testarne il divenire.
Ho avuto la fortuna di assaggiare quasi tutte le annate di Trebbiano dal '78, molte di esse più volte. Apprezzo la forte identità e singolarità di un prodotto che reputo prossimo ai vertici assoluti nella sua peculiare diversità da millesimo a millesimo, da lotto a lotto, nel suo essere selezione, quando imbottigliato, e felice espressione di quella vendemmia e di quella soltanto. Il resto è destinato solo alla memoria succedanea dei privati e dei ristoratori che ogni anno acquistano lo sfuso per la mescita quotidiana. Una sorta di sapiente declassamento delle uve; il Trebbiano abruzzese, etimologicamente parlando, ritorna "vino casareccio", alimento quotidiano, non più 'cavallo di razza' figlio del genotipo che si è integrato con l'ambiente territorio, come scrisse qualcuno.
Che altro dire, Giovanni? Il bianco di casa Valentini che preferisco? Il 2006, mai commercializzato per vari motivi: un piccolo capolavoro di umiltà ed artigianalità.
Perdonate - e perdonami anche tu Giovanni - ma quando leggo del Trebbiano del Maestro lauretano - come piace chiamarlo - interpretato e categorizzato con caparbia devozione come un "vino varietale" attraverso la sequela trita e ritrita dei descrittori comuni, dico sempre tra me e me: "Ragazzi, o io non sento nulla o qui non ci si capisce proprio nulla!". Poi ripenso all'ubicazione delle vigne nel comprensorio lauretano, alla latitudine, all'influenza della costa, e a come si sia espresso il Trebbiano abruzzese in quel fazzoletto d'Abruzzo bene individuabile. E penso che senza il gran MANICO di Valentini non si parlerebbe così a lungo, nel bene e nel male, di Trebbiano d'Abruzzo.