E a proposito di quanto sostenevo sopra, cioè che l'italiano medio protesta protesta ma poi è il primo a sgarrare:
http://mafie.blogautore.repubblica.it/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P30-S1.6-T1Le agromafie sono un fenomeno esteso. La loro dimensione è sistemica e come tale interna al modello di produzione vigente in agricoltura a livello globale. Per questa ragione è bene superare ogni riserva geografica che vuole confinare lo sfruttamento, il caporalato, l'azione delle agromafie solo all'interno di alcune regioni italiane del Meridione.
Il caporalato è infatti presente anche in Toscana, Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e in molte altre regioni del Nord del Paese. I rapporti Agromafie e caporalato dell'Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil e Agromafie dell'Eurispes lo rilevano annualmente e mettono in guardia da interpretazioni superficiali del fenomeno.
In Piemonte, ad esempio, le aree dove il caporalato è più organizzato e diffuso sono i distretti di Cuneo (Saluzzo e Bra), Alessandria (con Tortona e Castelnuovo di Scrivia), Asti (con Canelli, Castigliole e Motta), Verbania (con Cusio-Ossola). In questa regione gli occupati nel settore agro-alimentare sono circa 71 mila, di cui oltre 20mila stranieri.
Un lavoratore su 4 è dunque immigrato. Le collettività straniere maggiormente impiegate sono quella cinese, marocchina, romena, indiana e albanese. Anch'essi sfruttati in modo criminale, soprattutto nella provincia di Alessandria e nell’Astigiano. Tra Canelli e Carmagnola, ad esempio, la Guardia di Finanza ha scoperto ad agosto del 2016 ben 106 lavoratori in nero e quasi 150 cooperative agricole che sottopagavano (anche 2 euro all’ora) i braccianti.
A Carmagnola, un bracciante di 45 anni romeno è morto a causa del lavoro intensivo e dei 50 gradi in serra. A Saluzzo la situazione è gravissima e si ripete ogni anno. Ilaria Ippolito, operatrice sociale e ricercatrice, racconta di “centinaia di migranti originari dell’Africa Subsahariana che lavorano o sono alla ricerca di un impiego in agricoltura, accampati in tende e baracche auto-costruite nella zona del Foro Boario”.
Inoltre, “nonostante la gestione di progetti di accoglienza in campi container e edifici comunali da parte di Caritas e Coldiretti – continua Ippolito - per un totale, attualmente, di circa 230 posti, le condizioni delle persone accampate al Foro Boario rimane inaccettabile. In questo contesto, l’affermazione e la tutela di alcuni diritti fondamentali - abitare dignitoso e ottenimento di una residenza amministrativa, cure mediche nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale, tutela legale e sindacale in linea con le esigenze delle persone - risultano estremamente complessi, se non inattuabili”.
In Lombardia spiccano, per numero di stagionali, soprattutto stranieri, i distretti di Lecco, Mantova, Pavia (con il Pavese, l’Oltrepo e la Lomellina), Monza e Milano. Già, proprio Milano, la locomotiva economica d'Italia che ha ospitato l'Expò, dove di caporalato, tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo, agromafie, della responsabilità della Grande Distribuzione Organizzata, di mafie nella filiera agro-industriale italiane e in quella commerciale, non si è di fatto parlato.
Un'occasione mancata ma anche un segnale puntuale: si può parlare di cibo ma non di chi lo produce e come. E poi il bresciano dove a settembre del 2016 un bracciante romeno di 66 anni è morto mentre lavorava con altri connazionali reclutati da una cooperativa romena in una vigna di Erbusco.
È accaduto durante la vendemmia del Franciacorta, anche a causa del caldo torrido e di un'afa fuori stagione. Una morte che un risultato lo ha sicuramente ottenuto: i braccianti polacchi e romeni sfruttati in modo impietoso nella vendemmia per guadagnare solo pochi euro l’ora, con contratti facilmente aggirati e privi di tutele, sotto caporale e pagati a cottimo, sono stati sostituiti lontamente da pakistani e indiani impiegati con le medesime condizioni.
Nella provincia di Bolzano, soprattutto a Laives, la situzione non cambia, mentre in Emilia Romagna si devono considerare le aree di Ravenna, Cesenatico e Ferrara (con i distretti di Codigoro, Argenta, Copparo, Alto ferrarese, Ferrara e Portomaggiore). Nella regione “rossa” il caporalato è assai diffuso nonostante nessuno ne parli. Secondo la Flai Cgil Emilia Romagna, ad esempio, il caporalato e il grave sfruttamento lavorativo si manifesta mediante appalti non regolari e false cooperative coi lavoratori che aspettano l’sms la sera prima per sapere se il giorno successivo andranno a lavorare o meno.
Nelle industrie di trasformazione, macellazione, salumifici e prosciuttifici è diventata questa la forma di lavoro utilizzata da molte aziende. Una prassi diffusa a Modena come a Parma, dove sono presenti molti impianti di macellazione bovina e suina. C’è però anche la macellazione avicola, ed ecco dunque la Romagna, con Forlì-Cesena in particolare.
Ci sono cooperative che albergano in Veneto e organizzano lavoratori del nord Africa per caricare i camion dei polli. In questo tipo di settore è prevalente manodopera migrante ma sono presenti anche italiani. La Guardia di Finanza ha eseguito nel 2016 un ordine di custodia cautelare nei confronti di 5 caporali accusati di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro e impiego di manodopera clandestina. Tre arresti sono stati eseguiti a Cesena, mentre gli altri due a San Bonifacio, in provincia di Verona. La loro organizzazione sarebbe riuscita a gestire più di 50 lavoratori, tutti marocchini, di cui 15 non regolarmente soggiornanti, impiegati, grazie alla copertura fornita loro da tre cooperative, nella raccolta dell'uva nelle vigne e nel facchinaggio all'interno degli allevamenti di polli e galline del Forlivese.
In Veneto, fenomeni di caporalato si sono registrati invece nella provincia di Padova. In Toscana, diverse centinaia di braccianti migranti, soprattutto romeni, bulgari, bangaldesi e albanesi, continuano ad essere impiegati sin dalle prime ore dell'alba, attraverso caporali, nelle aziende agricole tra Siena e Grosseto.
È la vendemmia a costo zero, tra i vigneti preziosissimi del Chianti e della Maremma. Molti di loro sarebbero retribuiti neanche cinquanta euro per una giornata di otto o dieci ore di lavoro, senza contratto, assicurazione e indumenti adeguati. Ovviamente non è solo illegalità, evasione fiscale e contributiva.
È un sistema criminale che determina forme di impiego neo-schiavistiche, pienamente mafiose, perché è all'interno di tale cornice che il caporalato e il grave sfruttamento lavorativo si collocano. E questo vale nel Sud come nel Nord del Paese. Il governo dovrebbe mettere mano al sistema della grande distribuzione organizzata, riformare le norme sulle migrazioni e il welfare, migliorare la giustizia, cambiare il sistema di produzione dichiarando guerra ad ogni mafia, sfruttamento e caporalato.
Non basta arrestare mafiosi e caporali. Si devono cambiare le condizioni alla base che determinano la nascita di queste figure, spregevoli quanto uno Stato che non vuol capire.