Messaggioda zampaflex » 20 nov 2017 17:16
Tema ambiente, molte sorprese
Troppo spesso il Belpaese è il fanalino di coda delle classifiche europee.
Non può non stupire, quindi, trovarlo in vantaggio rispetto ai principali competitor continentali in numerosi ambiti della transizione energetica.
Tanto per cominciare, l’economia italiana ha un’intensità energetica tra le più basse d’Europa.
L’intensità energetica misura l’input di energia necessaria a generare un’unità di prodotto e, in ambito europeo, viene abitualmente calcolata in tonnellate di petrolio equivalenti per ogni milioni di euro di attività economica (PIL). E’ un indicatore molto importante, seppur generico, per determinare l’impatto ambientale del modello di sviluppo adottato da ciascun Paese.
Con 13,7 tonnellate di petrolio equivalenti per ogni milione di euro di PIL l’Italia fa meglio della Francia (14,4), della Spagna (15) e della Germania (17,1), rimanendo dietro nel gruppo dei grandi Paesi europei al solo Regno Unito (8,3).
Analogamente, anche l’intensità carbonica dell’economia italiana è tra le più basse dell’area UE.
L’intensità carbonica misura la quantità di CO2 prodotta per ogni unità di prodotto e in ambito europeo viene calcolata in tonnellate di CO2 equivalenti per milione di euro di Pil.
L’Italia produce 101,1 tonnellate di CO2 equivalenti per ogni milione di euro di Pil, la Spagna 112,9, il Regno Unito 126,3 e la Germania 143,2. Solo la Francia fa meglio, con 86,5 tonnellate di CO2 equivalenti per milione di euro di Pil, ma non va dimenticato che copre un’ampia quota del fabbisogno energetico nazionale con energia nucleare.
Certamente la delocalizzazione dell’industria manifatturiera, prima, e la Grande Recessione, dopo, hanno avuto un ruolo non trascurabile nella riduzione dell’intensità energetica e di quella carbonica, tuttavia non vanno dimenticate le politiche di stimolo e incentivazione promosse nel corso dei passati decenni dalle istituzioni nazionali ed europee nel campo dell’efficienza energetica e dello sfruttamento delle Nuove Fonti di Energia Rinnovabile (NFER).
L’Italia, infatti, ha centrato con sei anni di anticipo (2014) gli obiettivi sulla produzione di energia da fonti rinnovabili concordati in sede europea, nell’ambito della strategia decennale Europe 2020.
La Commissione Europea ha fissato per l’Italia la quota target di 17% del fabbisogno energetico complessivo da soddisfare attraverso fonti di energia rinnovabile entro il 2020. Quota raggiunta in largo anticipo e soprattutto in netto vantaggio rispetto agli altri grandi Paesi europei.
Le ultime rilevazioni (2015) indicano che la Germania produce il 14,6% di energia da fonti rinnovabili (target 2020: 18%), la Spagna il 16,2% (target 2020: 20%), la Francia il 15,2% (target 2020: 23%) e il Regno Unito l’8,3% (target 2020: 15%). Oltre a essere il valore percentuale più elevato, il 17,5% italiano è l’unico valore già al di sopra dei target previsti dal Pacchetto Clima-Energia di Europe 2020.
Anche sul fronte dei rifiuti, l’Italia insospettabilmente primeggia.
I dati rilanciati dal Kyoto Club calcolano che il Belpaese destina il 76,9% dei rifiuti prodotti al riciclaggio, contro il 36,1% della Spagna, il 42,7% della Germania, il 43,6% del Regno Unito e il 53,6% della Francia, mentre un recentissimo studio congiunto Utilitalia- PricewaterhouseCoopers, che adotta una metodologia diversa, colloca l’Italia (49%) al secondo posto dietro alla Germania (68%) ma sempre davanti al Regno Unito (45%), alla Francia (40%) e alla Spagna (35%).
L’Italia ha dovuto fare di necessità virtù.
L’ostilità popolare, la diffidenza delle autorità locali e le denunce delle associazioni ambientaliste, infatti, hanno impedito che nel corso dei passati decenni l’Italia si dotasse di un parco termovalorizzatori adeguato alle esigenze di smaltimento, al contrario della maggior parte dei Paesi europei.
Di conseguenza, il Paese è stato costretto a ripensare il ciclo dei rifiuti, sviluppando una struttura dinamica ed efficiente.
Attualmente, il sistema di raccolta e riciclo si compone di cinque consorzi:
1.Conai per gli imballaggi,
2.Conou per gli oli lubrificanti usati,
3.Conoe per gli oli e grassi animali e vegetali,
4.Cobat per batterie ed apparecchiature elettroniche,
5.Ecopneus per gli pneumatici.
Le numerose eccellenze italiane in campo ambientale non sono, però, soltanto poco note ed encomiabili, ma anche intelligenti.
La Green Economy, infatti, vale già oggi il 13% del Pil e dà lavoro a quasi tre milioni di persone, in molti casi con una formazione avanzata alle spalle e un reddito superiore alla media.
Non progredi est regredi