Serata tra il 30/4 e l'1/5. Visto che abbiamo terminato molto tardi, direi che va di diritto tra quelle di maggio.
Partiamo dalle note dolenti, anzi dall'unica nota veramente dolente...
Teorico aperitivo -
Dom Perignon Vintage 1996: è il terzo tappato consecutivo e, se ci metto dentro anche il 1995 tappato da Vinogodi, fanno 4 DP (tra l'altro di annate piuttosto importanti) tappati in un paio di mesi. E pensare che fino a qualche tempo fa praticamente non me n'era mai capitato uno...
Sostituito (per l'aperitivo) con
Krug ID 115017 (deg. inverno 2015): l'ho preso su dalla mia cantina al volo, senza controllare la sboccatura, che generalmente preferisco un po' più datata, ma devo dire che era già piuttosto in forma. Al di là della bolla, come sempre potente ma cremosa, di un'acidità sferzante e di un centro bocca di rara intensità, è la dinamica in allungo a farmelo adorare.
Bolle:
Selosse Substance (deg. 2010): all'ultima champagnata da Vinogodi mi ero ripromesso di spendere qualche soldo per questo gioiello e non me ne sono pentito. Grazie alla sboccatura non recentissima e alla conservazione perfetta (merito di chi me l'ha venduta), si è confermato per quello che mi aspettavo: sì, insolito, ma tanto buono da mettere d'accordo tutto il tavolo. La prima cosa che viene in mente assaggiando questo vino con le bolle è la frutta candita, ma subito dopo ci sono le spezie avvolte da una leggera nota boisé per niente opprimente e tanto altro ancora. Dicevo vino con le bolle, perché è uno di quei casi in cui mi viene il dubbio che, anche senza le bolle, saremmo comunque di fronte ad un vino più che buono.
Dom Perignon Oenotheque 1996: ancora una volta, a farmi riconciliare con Dom Perignon ci pensa questo, che considero un capolavoro assoluto e che non mi delude mai. Non so dire quale sia stato il migliore Oenotheque 1996 che abbia bevuto, perché tendenzialmente il suo standard è sempre altissimo (solo in questi primi 4 mesi e spiccioli dell'anno ne ho aperte 3 bottiglie, tanto per dire che un po' di test li ho fatti...), ma questo mi è sembrato particolarmente in forma. Bolla perfetta (al contrario di Substance, un pelino più debole in quel senso), naso e bocca di complessità e dinamica clamorose, ma soprattutto una bevibilità spettacolare. Ne avrei tracannata una bottiglia da solo! Sicuramente, uno dei migliori vini della serata.
Bianchi:
Daguenau Silex 2007: seconda mezza delusione consecutiva con questo vino. Anni fa, non avendolo mai bevuto, avevo preso un 2005, che mi aveva entusiasmato. Poi, ad una bicchierata, Landmax ne aveva messo uno (non ricordo più l'annata, anche se mi sembrava proprio la 2007) che ci aveva lasciati perplessi, tanto da pensare ad una bottiglia sfortunata. E così ho voluto riprovare, ancora una volta con esito poco esaltante: non sono un esperto di annate in Loira, per cui potrebbe anche essere che questa non fosse particolarmente fortunata (ma è pur sempre una bottiglia valutata 19/20 della RVF), fatto sta che ho trovato un vino ben fatto, equilibrato, senza difetti, ma anche senza quella "tridimensionalità" che ricordavo in quella magica bottiglia del 2005.
Coche-Dury Meursault 2012: un altro pianeta! È incredibile pensare che un village possa avere tanta forza espressiva. Ogni volta che mi avvicino ad un vino di Coche (ahimè raramente e credo sempre meno di frequente in futuro, visti i prezzi...
), mi rendo conto che, quando si ha a che fare con un fuoriclasse, le variabili tipiche da tenere in considerazione riguardo la scelta dei vini di Borgogna (appellation, annata...) possono essere superate dal manico del produttore. Cosa dire di questo? Sorretto da una consistente spina dorsale acida, si sviluppa in una lunghezza clamorosa tra agrumi, frutti a polpa bianca, nocciola, mantenendo un'armonia perfetta. Chapeau!
Rossi:
Clos de Tart 1999: già bevuto qualche tempo fa, lo ricordavo eccellente. E non ho assolutamente cambiato idea. Al naso, un caleidoscopio di fragranze, che vanno dai piccoli frutti al cuoio, passando per spezie, note balsamiche ed un'altra infinità di sentori. In bocca, il tannino è ben presente, ma di trama finissima, e si accompagna ad una bella acidità. Il tutto a corredo di lunghezza e dinamica notevoli.
Chateau Margaux 1975: ho una propensione all'acquisto (possibilmente con più di una precauzione) dei grandi bordolesi degli anni '70, mediamente sottovalutati dalla critica (almeno per i miei gusti), probabilmente a causa di una leggerezza non troppo apprezzata dai palati anglosassoni. Certo, sono acquisti ad alto rischio, può capitare il vino morto o mal conservato, ma poi succede anche di aprire bottiglie come questa, che dopo la giusta attesa per ripulirsi da una sgradevole puzzetta da cassetto del comodino della nonna, si rivela in tutta la sua grandezza: si inseguono, modificando continuamente la propria intensità, cuoio, tabacco, eucalipto... Più che al naso, è comunque in bocca a dare il meglio: fatico a trovare un aggettivo migliore di "elegante" per definirlo. Tutto al posto giusto: freschezza, tannino (perfetto!), persistenza. Ma non vorrei essere frainteso: non è un vino di algida perfezione, è un vino prima di tutto emozionante. Per me, senza dubbio il vino della serata.
Biondi Santi Brunello Riserva 1998: abbiamo deciso di berlo per ultimo tra i rossi, a causa delle sue maggiori durezze rispetto ai precedenti, e non credo che sia stato un errore. Ciò detto, francamente l'ho trovato un pelino meno interessante degli altri due, pur essendo probabilmente il più "gastronomico". A mio avviso, è appena all'inizio della sua parabola (che forse non sarà lunghissima come altri campioni di annate più blasonate, ma neppure troppo breve...), ma già adesso ha un tannino consistente ma piacevole ed una buona mobilità. Insomma, si difende bene.
Dolci:
Chateau d'Yquem 1991 in mezzina: non ne avevo mai bevuti di questa annata (almeno che io ricordi), che devo dire ho abbastanza apprezzato. Giusta maturazione già evidente dal colore ambrato, ha una forte connotazione di botrytis, a tratti fin troppo caratterizzante, che con il tempo nel bicchiere lascia spazio anche ai canditi, al miele, ma pure a belle note floreali. Non una bottiglia indimenticabile, ma comunque molto piacevole.
Zerbina Albana passita AR Riserva 2006: una versione notevole di questo piccolo capolavoro romagnolo, che ho voluto bere di fianco ad un pezzo di storia come Yquem per vedere se poteva tenere il passo. E la risposta, per quanto mi riguarda, è assolutamente affermativa. È un vino molto più glicerico, direi oleoso, ma supportato da un'acidità che non lo rende affatto stucchevole. In questo caso, lo zafferano, pur se presente, è più sussurrato che in Yquem, mentre sono evidenti note floreali e di frutta, avvolte in una balsamicità quasi dirompente. Ma l'aspetto più clamoroso è la sua lunghezza, quasi irreale, che a mio modesto avviso mette in secondo piano addirittura lo stesso Yquem. Veramente un grande vino.