- VALENTINI, Montepulciano d'Abruzzo (1995), voto
. Bottiglia da lotto n° 9, dunque botte in castagno dell'Ottocento. Trafilatura del sughero (completamente imbibito ma integro, perfetto), abbastanza evidente perché senza capsula (scorta personale del produttore). Piccola (ed incipiente) colatura nel trasporto dalla cantina alla tavola. Apro e scaraffo. Poi nuovamente travaso nel mezzo litro da osteria; l'eccedenza, infine, in due ampli calici da Nebbiolo. Piccolo sedimento sul fondo della bottiglia e, in perfetta corrispondenza, nel calice l'unghia appena scarica con viraggio al rosso mattone; in controluce, infatti, la carica polifenolica (praticamente integra dopo 17 anni) restituisce un bel rosso rubino intenso con sfumature granato. La volatile svanisce in men che non si dica. Alla seconda olfazione esce il caratteristico (ed indecifrabile) etereo dei Montepulciano Valentini appena "sbrigliati" dopo anni d'invecchiamento... inizia la magia di questa grandissima annata, assolutamente sottostimata dalla critica (e dai più), ma, a detta del figlio di Edoardo - cioè colui che lo produsse -, uno dei migliori Montepulciano di casa Valentini di sempre. Mia moglie non si prolunga nell'olfazione e si 'tuffa' nella beva; prima un piccolo sorso, subito dopo un altro... "Ma...è dolce, buono... anzi, buonissimo!". Mai sintesi più efficace fu fatta sugli effetti di riduzione del vino, quelli che determinano lo sviluppo dei “nuovi aromi" e comportano l'ossidazione degli aldeidi e la formazione degli esteri. Fra questi l'acetato di etile (il caratteristico sapore dei "frutti di bosco") e senza dilungarmi in improbabili [quanto soggettive] descrizioni degli aromi terziari direi genericamente "umami", ovvero il gusto ricco e corposo che ha origine dagli aminoacidi di cibi come i funghi e le patate (in bocca le note di humus su tutte). Ecco spiegato il 'dolce mistero', che condivido e sottoscrivo con la coniuge.
Diciamo, in sintesi, che nei nostri calici non ho affatto avvertito quelle note cosiddette “off-flavours”, descrittori tipici del 'fenolico' ed 'animale di natura varietale', che scaturiscono dai processi di ossidazione, esterificazione ed acetilazione, come spesso avviene nei Montepulciano di lungo invecchiamento.
A tal proposito, senza polemica alcuna, scriveva dell'annata '95 un docente AIS e noto wine-blogger: "
Rubino intenso, ha un naso decisamente fruttato, confettura di ciliegia, si apre piano una nota animale di pelo e un sentore di liquirizia. In bocca il vino risulta frizzante, segno di una artigianalità di produzione che porta il vino a rifermentare in bottiglia. Sembra quasi un lambrusco. Corto in bocca. La variabilità del vino e la sua anima si determinano col passar del tempo quando, ridegustando a distanza di un'ora circa, la carbonica è del tutto scomparsa. Bottiglia da punto interrogativo".
Perdonate la franchezza: ma che diavolo di bottiglia hanno portato in degustazione? O ritorniamo alla solita variabilità (ed incognita) dei vini del Maestro lauretano?
Vino di corpo, armonico, caldo, intenso, elegante; chiude - tutt'altro che corto in bocca - con una sottile vena erbacea.
Gran bella beva questa '95. Prosit