Messaggioda apa » 08 feb 2015 17:20
qualche breve riflessione sul terroir che credo vada inserita quì. Visto che i pensierini sono pochi ed uno è diviso in due parti, li numero:
0. Parlando di terroir è preferibile tener conto delle mappature geologiche di cui oggi disponiamo; se le prendiamo in considerazione, come fanno sempre alcuni bravissimi relatori (come Armando che ho avuto la fortuna di seguire più volte) possiamo notare che le suddivisioni per territori appartenti ad un comune possono non riprodurre l'omogeneità di un terroir. Ci possono essere affioramenti di strati geologici che rendono più simile il terroir di un determinato cru a quello di un comune vicino, piuttosto che alla maggioranza di quelli presenti sul territorio del comune a cui appartiene. Va meglio se, volendo far riferimento ad una suddivisione per terroir, parliamo di cru, anzichè di comuni. Seppur raramente, all'interno di uno stesso cru, sopratutto se molto esteso, ci possono essere delle zone di diversità nella composizione del suolo, che rendono il terroir non omogeneo;
1.0. Le scelte di vinificazione e "le pratiche di cantina" possono prevalere sull'espressione territoriale di un vino, mettendola in ombra o "coprendola". Di recente, ho partecipato ad una degustazione condotta da un bravo forumista, in cui ci è stato mostrato praticamente che le scelte di vinificazione possono rendere maggiormente simili dei vini appartenenti a terroir diversi, rispetto a vini provenienti da uno stesso terroir;
1.1. Non solo le scelte di vinificazione, ma anche alcune caratteristiche di un determinato vitigno possono rendere più o meno evidente l'espressione del terroir nel vino. Questo punto è stato sottolineato da Giancarlo in un recente articolo (già citato in precedenza) pubblicato dall'Accademia degli Alterati. Giancarlo (ah..c'era anche lui alla degustazione condotta da Alex, cui ho fatto riferimento sopra) ci dice, nel suo commento all'annata 2005 che il pinot nero "...è vitigno esuberante e prepotente: nelle condizioni ottimali tende a esagerare e, così facendo, stende una coltre quasi impenetrabile sulla parte più intima e nascosta del DNA dei vini, quella che racchiude il legame con il pezzo di terra da cui provengono". In alcune annate, invece, con condizioni climatiche non ottimali ed, a questo proposito, Giancarlo cita la 2001 in Borgogna, l'espressione territoriale dei vini provenienti dal pinot nero è facilitata;
2. Questo punto e, sopratutto, il successivo, credo interessino prevalentemente me. Qualche osservazione sui meccanismi operanti nell'attività di riconoscimento delle caratteristiche di un vino e, quindi, anche della sua aderenza al terroir da cui proviene. Quando ci accostiamo alla valutazione di un vino, le nostre conoscenze precedenti influenzano (più o meno marcatamente) la descrizione di quello che percepiamo. Non sempre tale influenza è di aiuto ma, in alcuni casi, può indurci a degli errori di valutazione. Va meglio se valutiamo il vino a bottiglia coperta, ma il condizionamento, generato dalla nostra formazione precedente, seppur ridotto, rischia di farsi sentire anche in questo caso. A questo punto, per approfondire un pò il discorso, bisogna fare un breve riferimento alla teoria della conoscenza: all'inizio del secolo scorso un autore che non si occupava di vino, ha scritto che gli "a priori formali" (i punti di riferimento teorici che ci siamo costruiti) non aiutano nella descrizione di un fenomeno osservato (percepito) ed essi dovrebbero essere messi da parte per intervenire, semmai, dopo, al momento della formulazione del giudizio sul fenomeno in questione. La descrizione dei fenomeni, quindi, dovrebbe essere non condizionata dalla formazione teorica dell'osservatore. Un "continuatore dell'opera" dell'autore precedente, qualche decennio dopo, sosteneva che dovremmo essere "senza memoria" nell'avvicinarci ad una successione di eventi o fenomeni percepiti. Più ci avviciniamo a questa condizione (realizzarla del tutto non credo sia possibile) e meglio possiamo descrivere e, successivamente, valutare un'esperienza sensoriale senza pregiudizi concettuali;
3. Mi chiedo come facevano, tante centinaia di anni fa, i degustatori francesi ( i famosi "gourmet") a collocare con grande precisione la provenienza territoriale di un vino senza sbagliare, quasi mai. Non ho minimamente l'intenzione di sviluppare una risposta in questa sede (ho già abusato troppo della pazienza di chi abbia avuto la temerarietà di seguirmi finora). Mi domando solo se, oltre ad avere a che fare con vini diversi da quelli attuali, nella capacità di riconoscere il terroir mostrata dagli antichi gourmet entrasse in gioco, insieme ad una tecnica di valutazione non sovrapponibile alla nostra (con l'attenzione centrata sulla fase gustativa e retro olfattiva) anche la disponibilità di categorie descrittive e valutative specifiche, proprie della loro cultura.