vinogodi ha scritto:...io sono assai polemico con il "mondo bio" perchè sono fortemente convinto della sostenibilità obbligatoria dell'agricoltura. Quindi , ritenendo il mondo bio una necessaria svolta"ideologica" di chi opera nel settore, vedendolo mercificato a piè sospinto da cani e porci per avere visibilità commerciale ... vado in bestia tutte le volte che ne subodoro l'abuso. Per fare bio , vero , dovremo tutti lottare per un mondo "bio" , senza contaminazioni "convenzionali", altrimenti lo sforzo sarà vano. Almeno, chi si sforza in tal senso abbia un riconoscimento oggetiivo o , perlomeno,di terza parte ... ecco , la terza parte, in questo caso , dev'essere diversa assai, costituzionalmente, da quella che certifica i sistemi di qualità aziendali ISO & Similia , dove il filo del rasoio del compromesso è sempre ben affilato. Cosa voglio dire? Che fin quando a pagare l'ente di terza parte è il cliente stesso e quest'ultimo ha diritto di scelta fra gli enti certificatori, l'occhio sarà sempre pronto a socchiudersi pro domo il "mantenimento del cliente" , perchè anche quella della certificazione è attività commerciale , checchè se ne pensi. Meglio sarebbe un ente superpartes pagato dal privato ma che fosse completamente indipendente economicamnete dal cliente richiedente . Perchè insisto molto su questo punto? ... mò ve lo spiego a discussione dipanata...
PS: sottolineo, per "chi non sa", solo un passaggio fondamentale: la separazione ideologica necessaria della certificazione del sistema o del processo rispetto alla certificazione di qualità del prodotto che sono cose assolutamente disgiunte ... quindi pure io " Invito tutti a non confondere la certificazione di conformità alla normativa sul metodo biologico con una attestazione di qualità del vino: la rispondenza formale a una norma non ha nulla a che vedere con la capacità di chi produce a fare anche un buon prodotto" ....
Innanzitutto sottoscrivo il tuo Post Scriptum:
dovremmo assumerlo come punto di partenza, come postulato da cui dedurre il resto.
Quanto al tema di dibattito, se guardo dal mio punto di vista, cioè da quello del consumatore mediamente informato, il problema non si pone:
per ciò che mi riguarda, chi produce il vino è la mia garanzia!
Non ho bisogno di certificazione alcuna ma scelgo, nei limiti del possibile, prima il produttore e poi il suo vino.
Il problema nasce quando il consumatore poco informato( la maggior parte) pretende in enoteca il vino certificato.
E' qui, osservando dall'ottica del produttore, che riesco ad immaginare le sue difficoltà:
Il post di Dettori, mi sembra chiaro, porta alla luce la difficoltà di chi ha sempre posto molta attenzione alla genuinità del vino e che, da un lato sente asfissiante la costrizione di muoversi entro stringenti vincoli burocratici, dall'altra rischia di rimanere tagliato fuori, paradossalmente, da un discorso commerciale e di spendibilità su un mercato 'poco informato'.
Lui stesso, infatti, pur aderendo alla certificazione ne sottolinea le ambiguità, ricordando che spesso chi certifica non conosce le pratiche di vigna.
E allora?
Chi deve certificare? E cosa esattamente? E chi paga?
La mia sensazione, confidando poco nella lungimiranza italiana, è che il rischio che si finisca a tarallucci e (pessimo) vino sia inevitabile.
O salta il banco del tutto oppure, per accontentare tutti, si concederà a chiunque la certificazione, con l'unico effetto di incrementare inutilmente il costo finale per il consumatore, senza garantire alcunché a nessuno.
La seconda che ho detto, visto che ci sarà da spolpare un bel po'!
Quindi, mi rispondo da solo, forse sarebbe il caso di lasciar perdere da subito, limitandosi ad imporre di riportare gli ingredienti in etichetta:
questo si, potrebbe aiutare molto, a patto di controllare bene la corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente presente nel vino.
E torniamo al solito problema: chi controlla? e chi paga?
Ecco perché avevo esordito dicendo 'nin zò'!
"Se l'alibi non regge e l'evidenza sfugge.....mira al cuore. Mira al cuore"