Messaggioda de magistris » 03 apr 2014 13:22
Ecco un po’ di note sulle bottiglie del pranzo della domenica (a cui è seguita una cena con altre bottiglie…)
Egly-Ouriet – Grand Cru Millésime Brut ’00: impronta ossidativa al naso, fa pensare a qualcosa di Selosse inizialmente, poi si rinfresca un poco su note agrumate e balsamiche ma resta abbastanza diverso dallo stile teso e acuminati che mi ricordavo in Egly-Ouriet. Meglio in bocca, abbastanza pieno e saporito, non dà comunque l’idea di poter crescere ulteriormente se si tratta di bottiglia completamente a posto.
Gauby – Vin de Pays Cotes Catalanes Blanc Vieilles Vignes ’02: si conferma un grande vino, con una personalità minerale indiscutibile. Alla cieca, come accaduto tutte le altre volte, il pensiero va immediatamente alla Borgogna nonostante la bordolese. E’ ancora lontano dalla piena maturità, anzi, si porta dietro un leggero tocco riduttivo, per il resto tanta frutta bianca e agrumi, roccia, erbe officinali, passo agile e scattante, innervato di sapore. Bianco a più dimensioni, mette d’accordo sensibilità diverse.
Grivault Albert – Meursault Perrières 1er cru 1997: probabilmente il bianco della giornata, ancora molto integro, maturo il giusto, di quella maturità che diventa solo profondità e complessità. Il legno è completamente assorbito tanto che in parecchi al tavolo pensano a Chablis più che alla Borgogna classica. Anche il sorso è più verticale che grasso, continuo, lungo, leggero. Ripiaciuto molto.
Gramenon – Cotes du Rhone Ceps Centenaires La Memé 2004: all’uscita era indecifrabile, promettente ma un po’ faticoso nella beva. Le promesse oggi sembrano in parte mantenute, anche se qualche limite di rusticità continua a portarselo dietro. Oliva nera nettissima per andare subito sul Rodano, un po’ di arbusti, frutto scuro ma turgido, forse un po’ monotematico con qualche velatura animale che non si pulisce mai del tutto. In bocca fa il suo, anche se la chiusura è leggermente asciutta e brusca. Bel vino gastronomico ma non un fuoriclasse. Pacalettiano, ottima la definizione del conte.
Clos du Mont-Olivet – Chateauneuf du Pape 1999: lo comprai in azienda nel 2005 (c’era un’intera verticale in vendita, con prezzi tra i 15 e i 20 euro), ne prendemmo un paio di casse e, a distanza di tempo, sono sempre più rammaricato di non averne preso di più. Un errore dovuto all’inesperienza perché all’epoca conoscevo molto poco la grenache e non riuscivo ad immaginare come e se poteva evolvere ancora un vino già così pronto, appagante ed espressivo. In quasi dieci anni, invece, non si è mosso di una virgola e ha solo acquisito ulteriore fascino ed armonia. Con le basi grenache succede così: sembrano quasi terziari abbastanza presto ma poi si mantengono molto solidi e stabili su quelle impronte per tanto tempo.
Non mi ha mai tradito una volta e pure in questa occasione ha convinto tutti: autorevole, elegantissimo, disteso, uno dei vini della giornata.
Clos Rougeard – Saumur-Champigny Le Bourg 2009: non tutti i Le Bourg vanno bevuti vecchi. Questo non ha nemmeno iniziato il suo percorso probabilmente ultradecennale ma sa essere già adesso estremamente godibile e carnale. Abbinamento incredibilmente appropriato con la minestra maritata, note vegetali assenti, tanto frutto rosso polposo e approfondimenti grafitosi, scheletro e spalla. Niente di cerebrale, vino di anima e sostanza. Riconosciuto da tutti in un amen.
Rousseau – Gevrey-Chambertin 1er cru Clos Saint Jacques 2002: anche questo riconosciuto molto velocemente da tutti, sia l’annata che il manico. Tripudio balsamico, frutto rosso ancora tonico, verticalità essenziale ma mai algida, non ancora completamente sferico e compiuto ma stapparlo oggi non dà rimpianti. Eletto vino della giornata, anche se istintivamente non è il vino che vorrei ribere a tutti i costi.
Mastroberardino – Taurasi Castelfranci Ris. ’68: beccato anche questo dal conte in pochi secondi, non è la migliore bottiglia stappata in questi anni (soprattutto aromaticamente) ma non si può certo dire che sia cattivo… Grande matrimonio con l’agnello, impressiona una volta di più il connubio tra forza, eleganza e sapidità, ormai merce rara da trovare sull’aglianico purtroppo.
Clos de Gamot – Cahors 1959: primo tappo e prime imprecazioni su quello che poteva essere il rosso della giornata, bottiglia mitica recuperata con molta fatica con sughero perfettamente imbevuto senza rompersi e livello ancora nel collo.
Bertani – Amarone 1977: anche qui il conte ci arriva subito. Gran bella versione, con frutto scuro turgido e cioccolatoso, ma di insospettabile scioltezza e bevibilità nel sorso, irresistibilmente secco e saporito. Quando l’Amarone è così, specie quando lo si attende, piace veramente a tutti.
Montus – Madiran Cuvée Prestige 1995: come spesso è accaduto, alla cieca fa pensare a un autorevole Bordeaux di riva sinistra, magari non un premier ma una seconda linea sì. Chi lo ha detto che il tannat deve essere per forza cupo ed estrattivo? Questo ha grazia e bevibilità, con soltanto qualche impuntatura vegetal-balsamica e una leggera scodata asciutta finale. Forse non è ancora all’apice ma si conferma una bellissima alternativa (il 1990 un paio di anni fa era davvero splendido).
Palari – Faro Palari 1996: è la quinta volta che lo bevo, anche questo non ha mai deluso. Prima di arrivare all’Etna gli amici spaziano tra tanti territori nobili, si conferma versione fine e goduriosa, con legno integrato, tanta forza sapida senza ridondanze alcoliche o estrattive. Non si è praticamente mosso negli ultimi 3-4 anni, ma non lo aspetterei comunque oltre.
Berthet-Bondet – Chateau-Chalon 1988: adoro questi vini, specialmente dai vent’anni ad andare indietro ma capisco che non siano esattamente le bottiglie da stappare tutti i giorni e con qualunque piatto. Questo sul caciocavallo stagionato funzionava perfettamente, ma l’ultimo bicchiere me lo sono goduto come dopocena: vero vino da meditazione, che potrebbe evolvere per almeno un altro trentennio aggiungendo ulteriore complessità a quella sinfonia di spezie, tabacco, cuoio, erbe secche, canditi, ostriche e tanto altro ancora. Secco secco, con tanta freschezza.
Forteto della Luja – Loazzolo Moscato Passito 1989: non ringrazierò mai abbastanza Aldo Deruj per averla inserita in un nostro baratto. Un piccolo gioieillo, nominato abbinamento ufficiale della pastiera napoletana: peccato fosse solo la mezzina, ne avrei bevuto tre volte tanto.
Benedict Loosen Erben - Auslese 1976: non ce la faccio a riportare tutti i nomi indicati in etichetta. Soffre dopo il Forteto della Luja perché chiaramente ha meno dolcezza, meno spalla e lunghezza, ma ha buona complessità ed integrità. Uno di quei vini che non invecchiano mai del tutto, probabilmente.
(continua)
Paolo De Cristofaro
http://www.tipicamente.it/Ci si può divertire anche senza alcool. Ma perché correre il rischio? (Roy Hodgson)
Auspico una guida che non metta i vini DRC al vertice. Sarà la migliore. (Edoardo Francvino)