Messaggioda gobrish » 26 mar 2013 10:36
L'articolo completo:
Montalcino Il produttore: l’attentato contro di me? Movente ancora da scoprire
«Troppi misteri sul sabotaggio Brunello, via dal Consorzio»
Soldera contro tutti: non si difende così un vino
Gianfranco Soldera lo chiama
«il fatto». Un sabotaggio
che ha cambiato la sua vita, la
sua azienda, i suoi rapporti. Sono
passati 4 mesi da quando
un ex dipendente distrusse,
sversandoli nelle fogne, più di
600 ettolitri di Brunello di Case
Basse, 5 annate (2007-2012).
La sentenza è arrivata: 4 anni
di condanna. All’indomani Soldera
ha annunciato le sue dimissioni
dal Consorzio del Brunello.
Il suo è un atto d’accusa
destinato ad alimentare la
guerra del vino di Montalcino
che ha raggiunto il massimo
grado 5 anni fa quando la Finanza
scoprì che qualcuno, violando
le regole, aggiungeva
Merlot al Sangiovese per «ammorbire
» il vino. Ora Soldera
accusa i produttori che sfornano
Brunello «come se moltiplicassero
pani e pesci» evitando
«gli studi che garantiscono il
consumatore». Accusa il Consorzio
di avergli «proposto
una truffa, offrendo vino altrui
da imbottigliare come mio».
Dopo il sabotaggio, Soldera
(76 anni, ex broker trevigiano,
definito il purista del Brunello)
parlò di un azione in odor
di mafia. Poi sfumò: oggi ritiene
che il movente sia ancora
oscuro. E annuncia che è riuscito
a salvare circa 7.000 bottiglie
per ogni annata colpita.
Perché ha rotto con il Consorzio
del Brunello?
«Da tanti anni non c’è feeling
con chi comanda e ha una
linea diversa dalla mia: io sono
per il Brunello con il Sangiovese
al 100%, sono per l’aumento
dei controlli e delle ricerche
».
Quali ricerche e perché sono
importanti?
«Quelle che ho presentato a
Montecitorio nei giorni scorsi,
ricevendo anche una bellissima
lettera di Napolitano. Vado
avanti grazie agli aiuti degli
americani del Ttb (Alcohol
and Tobacco Tax Trade Bureau):
il telerilevamento con i
droni, gli studi sul Dna e sull’indice
di vigoria delle singole
vigne per ottenere un vino più
garantito per chi lo beve. Ho
consegnato il Premio Soldera
ai ricercatori che si occupano
di questo ma mi sarebbe piaciuto
che anche il Consorzio
partecipasse, come proposi
nel 2005 con Franco Biondi
Santi (il grande vecchio del
Brunello, ndr)».
Il Consorzio le ha dato solidarietà
dopo il sabotaggio.
«Volevano donarmi vino:
avrei dovuto imbottigliarlo
come mio, non sapendo da
dove venisse. Proposta era irricevibile
e offensiva, una
truffa al consumatore. Finanziate
gli studi a Montalcino,
ho chiesto. Ma non se n’è fatto
nulla».
Quali sono stati gli altri
punti di frattura?
«Per tantissimi anni le mie
proposte sono state bocciate.
Quando è scoppiata Brunellopoli
ho chiesto che tutti i coinvolti
facessero un passo indietro.
C’erano il presidente, il direttore
e altri. Ho avuto 3 voti
a favore, 120 contro».
Brunellopoli appare sempre
sullo sfondo.
«Ha portato al sequestro di
10 milioni di bottiglie e al patteggiamento
di 17 condanne.
Montalcino può dare molto,
ma bisogna lavorare meglio,
come impone anche la crisi. Le
truffe forse avvengono anche
in altre parti del mondo, ma
qui erano così tranquilli che le
facevano spudoratamente».
Quanto ha pesato il sabotaggio
sulla decisione di rompere?
«Sarei uscito lo stesso anche
se non fosse successo. Ma
mi ha fatto molto riflettere. A
fine marzo venderò di nuovo
il mio Brunello, prima di ricominciare
ho comunicato la rottura
».
Quante bottiglie ha salvato?
«Tra il vino che era nelle vasche
inox e quello già in bottiglia
riuscirò a vendere una media
di 7.000 bottiglie nei prossimi
5 anni. Negli ultimi 30 anni
ho venduto una media di 15
mila bottiglie l’anno. Anche
quando tutta Montalcino ne
vendeva 700 mila. Ora puntano
ai 10 milioni. Non credo alla
moltiplicazione del pane e
dei pesci. Non c’è il terreno,
non c’è manodopera valida.
Sono per il vino senza bisogno
di additivi o conservanti. Il
produttore deve usare solo le
sue uve altrimenti come fa a
sapere cosa c’è in un acino?».
Qualche collega l’ha chiamata
dopo lo strappo?
«Non c’è bisogno di parlare,
lo sanno bene perché sono
uscito dal Consorzio e forse sono
contenti. Parlo con poche
persone, ma anche perché
manca comunità di intenti».
Che pensa della sentenza?
«È stata riconosciuta la tesi
del pm Nicolini, sono soddisfatto.
Resta da capire il movente.
Avevo rimproverato
quell’operaio che pulendo i tini
aveva sversato acqua sulle
querce, danneggiandole. Lui
se n’era andato. È strano però
che siano trascorsi tre mesi da
quel rimprovero alla vendetta.
Non è stato un impeto di rabbia.
I dubbi restano. Non spetta
a me fare indagini, ma da
profano direi che un rimprovero
non può provocare una reazione
così a distanza».
Luciano Ferraro