Messaggioda zampaflex » 23 ago 2022 18:20
Titolo capitato per caso, in una intervista letta su un giornale che non comprerò più. Però.
Brian Broome, Punch me up to the gods.
Autobiografia di un intero catalogo di problemi.
Nero scuro scuro, povero, gay quando si nascondevano (anni ottanta), da madre giovane e separata con secondo marito che perde il lavoro e con esso la civiltà (e mena) , poi ubriacone e drogato, squattrinato, incapace di tenere un lavoro.
Cosa vuol dire Blackitude in senso affermativo, col fratello maggiore macho duro ghetto style col quale è costretto a confrontarsi . E negativo, con il proprio sentirsi additato come femminuccia da tutti, già alle elementari, perché non si comporta da negro da ghetto. Sentirsi sempre inadatto, così inadatto da sviluppare timidezze e insicurezze colossali, un senso di accattonaggio verso ogni frammento di vita normale strappato occasionalmente al mondo.
L'attrazione verso la pelle bianca, o almeno chiara, ed il suo significato nell'educazione di un bambino attraverso lo schermo della tv di una generazione nella quale il bello era solo white.
E il capitolo dedicato ad un autoracconto della madre, scritto in inglese da 'borough, gelido nelle disgrazie che una donna nera deve sopportare e caldo nella forza che tale donna mette per tirare avanti e crescere i suoi figli.
Bellissimo nella semplicità della scrittura, mai banale. Ricchissimo di temi, di spunti, di riflessioni.
Non progredi est regredi