Messaggioda zampaflex » 24 ott 2023 23:13
Per chi apprezza Gospodinov, una sua intervista uscita oggi.
La lentezza fa parte della sua idea di letteratura?
«Ho partecipato nel padiglione sloveno a un incontro interessante, come saprà è stato lanciato il Ljubljana Reading Manifesto, un invito a leggere con calma ed approfondire».
E che impatto può avere?
«Forse poi diventerà una campagna, per ora si raccolgono adesioni per sostenere l’importanza dello slow reading. Hanno firmato anche Slavoj Zizek e Margaret Atwood. Ci sono pure io nella lista, insieme a Olga Tokarczuk e tanti altri (ride, ndr).
Intorno a noi gira tutto molto velocemente, ma la tecnologia cambia più in fretta della nostra anima. Rallentare significa rieducarsi a pensare criticamente. I beduini nel deserto si fermano ogni tanto mentre camminano per aspettare i loro pensieri. Sostengono che i pensieri vanno più lenti, che non seguono il passo delle gambe, quindi è giusto concedersi qualche sosta per aspettarli».
E noi europei che passo abbiamo?
«Non ci fermiamo per riflettere ma per fuggire il presente. Mi colpisce questo trend malinconico in voga da anni. La mania del vintage è una reazione, un tentativo di guardare con nostalgia quello che resta dietro».
Nel suo libro “Cronorifugio” c’è una clinica dove le persone vanno a riappropriarsi dei loro ricordi, una specie di nido che protegge dal presente.
«Difficile staccarsi dal passato. Pensiamo al mito: Orfeo non riesce a resistere, sa che non dovrebbe farlo ma gira lo stesso la testa per guardare Euridice e così facendo la perde per sempre. La nostalgia ha una sua anima nera che su scala collettiva
può essere pericolosa».
A che cosa allude?
«I nazionalisti stanno usando la nostalgia come arma. Lo slogan “make America great again” allude a una presunta grandezza passata. I politici attuali sono spesso mercanti del passato. Il paradosso è che cercano di venderci il passato come fosse futuro».
Non accade solo alle democrazie occidentali. Erdogan ha rispolverato l’armamentario imperiale ottomano e Putin sta facendo lo stesso con il fantasma dei Romanov.
«Inventano un falso passato imperiale, una patacca. Lo fanno per rassicurare e mettere a tacere le paure che la gente ha del futuro. È una strumentalizzazione. Ecco perché i tempi di crisi sono pericolosi».
Come mai allora i suoi libri sono intrisi di malinconia?
«Perché solo chi conosce le ombre della vita, chi ha familiarità con la tristezza, può sognare altro e vedere altro. Nella letteratura la malinconia è la molla dell’immaginazione. Per andare oltre bisogna rallentare. I dittatori la usano invece senza sapere davvero cos’è. Non conoscono la tristezza, non provano emozioni. Una politica distorta si serve della malinconia ma non la abita».
In “Fisica della malinconia” lei descrive il seminterrato della casa della sua infanzia. È quella stanza con poca luce che ha stimolato la sua voglia di immaginare?
«La mia infanzia è stata bellissima. Sono sicuro che le radici della mia scrittura sono lì. I miei genitori mi hanno avuto che erano giovanissimi, appena ventenni. Vivevamo nella città di Topolovgrad, nel sud della Bulgaria. Sono cresciuto sentendomi
raccontare un’infinità di storie, racconti pieni di elementi magici».
Viene da qui la sua capacità di osservare le piccole cose? Ha una passione anche per gli insetti. Ha scritto che il romanzo ideale deve avere come filo conduttore una mosca che svolazza.
«Dall’infanzia mi viene la cura delle parole e l’osservazione delle cose apparentemente insignificanti».
C’era il comunismo in Bulgaria, c’entra qualcosa?
«Il comunismo era un lungo letargo, le storie magiche aiutavano».
Quando ha iniziato a scrivere le sue fantasie?
«A cinque anni. Ogni notte facevo lo stesso incubo e lo raccontavo a mia nonna. Le dissi che volevo scriverlo ma lei mi dissuase, perché secondo una credenza popolare bulgara se scrivi le tue paure diventano vere. Mi sentivo come una mosca che sbatte contro le pareti, come il minotauro nel labirinto. Decisi allora di non darle retta e lo scrissi lo stesso. È stato
il mio debutto!».
Che lavoro facevano i suoi genitori?
«Mia madre avvocata, papà veterinario. La nostra casa era piena di libri. Come ogni bambino avevo un’immaginazione fertile, ma quell’incubo lo ricordo ancora: c’erano i miei genitori e mio fratello nel fondo di un pozzo molto profondo che mi chiedevano aiuto».
In un mondo in guerra, che ruolo può avere l’immaginazione?
«Nel capitolo finale di Cronorifugio descrivo una scena di guerra, soldati pronti a marciare lungo il confine. In realtà avevo in mente una distopia, una ricostruzione fittizia, mi sembrava impossibile potesse accadere. Poi la Russia ha invaso l’Ucraina e oggi guardi dove siamo».
Non progredi est regredi