Messaggioda zampaflex » 18 gen 2024 00:14
Escono oggi un paio di articoli sull'evasione e sull'aiuto dato dal governo agli evasori con il concordato fiscale, una procedura giurassica, dannosa, capziosa, furfantesca, acchiappavoti.
Su 2,42 milioni di autonomi censiti sono 1,34 milioni, cioè il 55,4%, a fermarsi sotto la sufficienza, rappresentata dall’«8», delle pagelle fiscali. Ma in questo gruppo il reddito medio dichiarato si ferma a 23.530 euro all’anno, il 68,5% in meno dei 74.698 euro dichiarati dai contribuenti «affidabili »: in pratica, questi ultimi dichiarano mediamente più del triplo degli altri.
Ma sia promossi che bocciati potranno beneficiare del concordato preventivo.
Nella versione finale che arriverà in consiglio dei ministri entro la fine del mese, il concordato biennale chiamato a far siglare tra fisco e autonomi accordi preventivi sul reddito da dichiarare (e quindi sulle imposte da pagare) aprirà le porte a tutte le partite Iva, senza escludere quelle considerate «inaffidabili» in base agli indici sintetici come previsto dal testo approvato in prima lettura dal Governo il 3 novembre. Ma nel costruire le proprie proposte, l’amministrazione finanziaria non sarà vincolata alla richiesta di non superare del 10% il reddito dichiarato dal contribuente nell’ultimo anno utile.
Si concluderà insomma con un pareggio la partita fra il Governo e il Parlamento su uno degli snodi chiave della riforma fiscale per gli autonomi. Messa in questi termini, sembra una battaglia teorica da addetti ai lavori: ma rivela immediatamente il suo
fitto risvolto pratico quando si guardano i numeri reali o, per dire meglio, i redditi dichiarati dalle diverse categorie di partite Iva. Per capire il punto, è bene partire dalla morale della favola: si tratta di decidere se il nuovo strumento dovrà puntare a recuperare il maggior gettito possibile o a evitare troppi problemi ai diretti interessati, in un equilibrio delicato fra lotta all’evasione e sanatoria preventiva che andrà trovato nella formulazione delle proposte sui redditi. L’obiettivo è di «stimolare sempre di più la gente ad adeguarsi e a essere confidenti con il fisco», ha assicurato ieri al Senato il viceministro all’Economia Maurizio Leo (FdI), il regista della riforma.
Il fatto è che il mondo delle partite Iva è diviso in due gruppi, separati da quello che a tutti gli effetti appare un baratro enorme. Il confine oggi è tracciato dalle pagelle fiscali, gli «indici sintetici di affidabilità» che dal 2018 hanno sostituito i vecchi studi di settore nel tentativo di fotografare i redditi effettivi di lavoratori autonomi, professionisti e microaziende. In base a una serie di indicatori che tengono conto, oltre ovviamente che del settore di attività, di parametri congiunturali
e territoriali, gli Isa assegnano a ogni contribuente un voto in base al reddito dichiarato. Dall’8 in su si è considerati «affidabili», sotto si è giudicati a rischio evasione e più esposti agli accertamenti.
In questa condizione si trova la maggioranza delle partite Iva interessate dagli studi di settore. Nella radiografia delle dichiarazioni 2022 sui redditi 2021, in base agli ultimi dati resi disponibili dal dipartimento Finanze sul proprio sito ufficiale, su 2,42 milioni di autonomi censiti erano 1,34 milioni, cioè il 55,4%, a fermarsi sotto la sufficienza rappresentata dall’«8». Ma, e qui arriva il dato chiave, in questo gruppo il reddito medio dichiarato si ferma a 23.530 euro all’anno, vale a dire il 68,5% in
meno dei 74.698 euro dichiarati dai contribuenti «affidabili». Questi ultimi, in pratica, dichiarano mediamente più del triplo (3,17 volte per la precisione) le cifre comunicate al Fisco dagli altri. La distanza è allargata anche dal fatto che in maggioranza chi si colloca sopra l’8 si avvicina in genera ai pieni voti (10), mentre chi è sotto si divide a sua volta in due gruppi, più o meno paritari, tra chi è a un passo dalla sufficienza e chi invece si ferma sui primissimi scalini nella graduatoria
dei giudizi (e del rischio evasione).
La media generale è il frutto di forbici che si ripetono in tutte le 175 categorie indicate dagli Isa. Nelle società immobiliari, il gruppo più numeroso, gli «affidabili» dichiarano in media 65.503 euro all’anno, mentre chi si ferma prima dell’«8» indica 13.816 euro (il 78,9% in meno). Nella ristorazione commerciale si passa dai 38.387 euro lordi annui medi dei contribuenti «virtuosi» ai soli 3.362 degli insufficienti (-91,2%), nei negozi di abbigliamento si va da 34.889 a 4.424 euro (-87,3%) e in bar e pasticcerie il primo gruppo dichiara 29.107 euro mentre il secondo non va oltre i 5.633 (-80,6%); uno stabilimento balneare giudicato fedele al Fisco indica in media 46.401 euro all’anno, gli altri dicono di accontentarsi di 13.853 euro. Le quote più
ampie di dichiarazioni «insufficienti» si incontrano tra lavanderie (82,9%), noleggi auto (78,2%) e servizi di assistenza (76,1%), mentre all’altro capo della classifica studi medici e farmacie sono gli unici a raccogliere più del 75% di voti sopra l’8.
Dati come questi aiutano a indicare dove cresce quel «tax gap» che anche l’ultimo rapporto del ministero dell’Economia sul tema indica in un 68,8% (cioè: 68,8 euro ogni 100 teoricamente dovuti sfuggono alle casse dello Stato) che negli ultimi tre anni monitorati ha sottratto mediamente 31,2 miliardi l’anno di Irpef da lavoro autonomo o impresa al bilancio pubblico. Il nuovo concordato preventivo biennale deve partire da qui: trovando il modo di far aderire, nel tempo, la quota più ampia possibile di contribuenti anche senza presentare loro offerte troppo generose per essere rifiutate.
Anche perché fra i suoi compiti ci sarà anche quello di far maturare almeno una parte delle coperture strutturali che servono a confermare e far avanzare nei prossimi anni la riforma dell’Irpef per chi la paga.
Dopo la revisione di settembre dell’Istat dei dati sul pil, il Mef a inizio anno ha pubblicato l’aggiornamento della relazione sull’evasione fiscale per gli anni 2016-2021. Si tratta, quindi, del periodo che precede il governo Meloni.
I dati, che forse avrebbero meritato un maggiore risalto e una discussione più ampia, sono positivi.
L’evasione fiscale e contributiva risulta ancora molto elevata (83,7 miliardi nel 2021), ma in forte calo (era 107,7 miliardi nel 2016): 24 miliardi in meno.
Questo trend che dura ormai un periodo ampio dimostra che diversi provvedimenti di contrasto all’evasione (split payment, reverse charge, fatturazione elettronica) hanno funzionato, come è evidente dalla forte riduzione del tax gap dell’Iva (-16 miliardi).
Dall’aggiornamento della relazione emergono due aspetti rilevanti.
Il primo è che la forte riduzione dell’evasione che si è registrata nel 2020 (da 100 a 86 miliardi) è proseguita anche nel 2021, con un ulteriore calo in valore assoluto (83,7 miliardi) nonostante il forte rimbalzo. Si poteva pensare che il calo del sommerso fosse dovuto solo ai lockdown, alle restrizioni per contrastare la pandemia e alla conseguente recessione, e invece con la ripresa post-Covid non c’è stato un ritorno alle abitudini precedenti: il tax gap (cioè il rapporto tra imposte evase e quelle teoriche) si è ulteriormente ridotto di circa due punti (dal 17,2 al 15,3 per cento).
L’altra notizia positiva riguarda proprio questo indicatore, che è più basso dell’obiettivo del Pnrr per il 2024.
L’obiettivo quantitativo del Pnrr, che era ritenuto ambizioso, indicava un calo della propensione al gap (al netto di Imu e accise) almeno al 15,8 per cento entro il 2024, con una riduzione del 15 per cento rispetto al 2019: i dati dicono che già nel 2021 questo indicatore è al 15,2 per cento, con una riduzione del 18,2 per cento rispetto al 2019. In pratica, il governo Meloni ha ereditato il raggiungimento di un difficile obiettivo con largo anticipo.
La principale nota negativa della relazione riguarda l’evasione degli autonomi. C’è una riduzione in valore assoluto di 3,3 miliardi dell’evasione, ma la propensione all’evasione che è elevatissima non solo non è diminuita ma è addirittura aumentata (dal 66 al 67 per cento). Questi numeri sfatano le teorie e le infelici dichiarazioni di Giorgia Meloni sul “pizzo di stato”, secondo cui la lotta all’evasione va fatta “dove sta davvero: le big company, le banche, le frodi sull’Iva, non il piccolo commerciante”. La lotta all’evasione delle società è stata fatta (tax gap su Ires e Iva sono in forte calo), mentre è tra gli autonomi che non si registrano progressi. E va anche al di là dell’Irpef, visto che come ha segnalato su Domani Alessandro Santoro, che è presidente della Commissione che elabora Relazione sull’evasione del Mef, la flat tax per gli autonomi “è esemplare” per come abbia incentivato “la massiccia sottodichiarazione del fatturato” per restare sotto la soglia che garantisce l’aliquota agevolata.
Tutti i governi vorrebbero spendere molto e tassare poco. I governi si distinguono però tra quelli che, almeno a parole, vogliono recuperare soldi dall’evasione fiscale e quelli che invece degli evasori fiscali ne fanno un serbatoio di voti. In un paese come il nostro, con un numero molto elevato di lavoratori autonomi e dove l’evasione fiscale del lavoro autonomo raggiunge il 70 per cento del reddito stimato, la tentazione è forte. Peccato perché una delle novità proposte dal governo Meloni, il concordato preventivo biennale (cioè l’accordo tra Agenzia delle entrate e contribuente su una dichiarazione “ragionevole” per i prossimi due anni), poteva essere un modo promettente per convincere “con le buone”gli evasori a dichiarare volontariamente qualcosa di più con la promessa, in cambio, di minori accertamenti.
Invece rischia di essere solo un aiuto agli evasori.
Oggi il fisco ha a disposizione una mole di dati pressoché infinita per capire dove sta l’evasione e ha strumenti nuovi come la fatturazione elettronica (che già ha fatto molto in passato per ridurre l’evasione) e le comunicazioni giornaliere delle banche sulle transazioni dei Pos che sono potenzialmente decisive per stanare gli evasori. Per ora l’Agenzia delle entrate usa come strumenti presuntivi gli Isa (Indici sintetici di affidabilità), degli indicatori da 1 a 10 a seconda della “affidabilità” della dichiarazione che scaturiscono dalla combinazione di dati di un modulo che ogni contribuente compila sulla base del suo bilancio e di poche altre informazioni aggiuntive (come il numero dei dipendenti e la superficie della sua attività).
Per essere utile, il concordato deve essere basato su dati obiettivi, migliorando gli Isa e aggiungendo anche qualche verifica sul campo, non può essere basato sulle dichiarazioni passate. Per il motivo banale che un evasore è uno che dichiara poco, se basi il suo concordato sulle sue dichiarazioni passate vuol dire che lo stai autorizzando a continuare a dichiarare poco: la maggioranza parlamentare sta proponendo esattamente questo. Si noti che il governo non aveva ancora specificato come intendesse declinare la delega e quindi applicare in pratica il concordato preventivo e la maggioranza parlamentare gli sta suggerendo il modo sbagliato di farlo.
La commissione Finanze guidata dal senatore Massimo Garavaglia (Lega) propone di emendare la proposta del governo sul concordato fiscale biennale che consentiva l’accesso al concordato solo a coloro i quali avessero un punteggio Isa uguale o superiore a 8 (un attestato di affidabilità relativa al reddito dichiarato). In un precedente articolo obiettavamo il fatto che, se si crede che gli Isa effettivamente consentano di distinguere tra contribuenti affidabili (sopra il punteggio di 8 ) e poco affidabili (sotto il punteggio di 8 ), non aveva molto senso proporre un concordato fiscale a coloro i quali risultavano affidabili. Il concordato, se si voleva recuperare gettito, si sarebbe dovuto proporre ai meno affidabili. Ma come sempre il diavolo sta nei dettagli, ovvero nella proposta di concordato da fare ai contribuenti non affidabili. Nel nostro articolo proponevamo che l’Agenzia delle entrate offrisse al contribuente con Isa minore di 8 un concordato che si concretizzasse in una somma da dichiarare pari a quella che guadagna un contribuente simile in tutto e per tutto (caratteristiche dell’attività e della sua localizzazione) ma con un Isa di 8 o superiore, usando così tutte le informazioni e i dati a disposizione dell’Agenzia non per punire i contribuenti, ma per confrontarsi con loro su una dichiarazione “ragionevole”in una fase di dichiarazione spontanea che non comporta nessun vincolo e nessun accertamento.
Ovviamente il contribuente con Isa basso accetterebbe solo se la minaccia dei controlli in caso di rifiuto del concordato fosse credibile. E’ vero che la commissione guidata da Garavaglia propone di estendere il concordato anche a coloro i quali hanno un Isa inferiore a 8, e fa bene, ma propone che l’Agenzia delle entrate possa chiedere a coloro i quali aderiscono al concordato di dichiarare un reddito pari a un valore non superiore al 10 per cento di quanto dichiarato l’anno precedente alla stipula del concordato. Cioè un concordato tutto basato sulle dichiarazioni del passato, quindi potenzialmente infedele al 70 per cento come indica la percentuale di reddito evaso, con buona pace del ruolo che avrebbero potuto giocare gli Isa. Questo, per coloro i quali hanno un Isa molto basso rappresenta un incentivo, ad esempio, per il 2024 a tenersi su un livello molto basso di reddito, che sarà poi il riferimento su cui si calcolerà il possibile incremento da dichiarare nell’anno successivo in
cui si aderirà al concordato, che permetterà di congelare le imposte da pagare per due anni. Sarebbe il meccanismo perfetto, non già per recuperare l’evasione, ma per giustificarla.
Non progredi est regredi