Messaggioda zampaflex » 28 apr 2021 14:35
Toh, la Cina comincia a perdere abitanti. E questo può diventare un fattore di enorme importanza in economia.
«Vogliamo diventare un po’ ricchi prima di diventare troppo vecchi!» confidò Xi Jinping una dozzina di anni fa, quando era ancora vicepresidente, al ministro dell’Economia italiano Giulio Tremonti. Quella battuta oggi è diventata la grande paura
dei pianificatori cinesi che da settimane stanno studiando i numeri del censimento, completato a dicembre e ancora
non pubblicato.
Secondo le anticipazioni, contiene numeri allarmanti: per la prima volta dal 1949 la popolazione della Cina è diminuita, scendendo sotto quota 1,4 miliardi che era stata superata nel 2019.
Da tempo la Repubblica popolare è alle prese con un problema di denatalità, ma il picco nel numero degli abitanti era previsto non prima del 2025: ci sarebbe stata dunque un’accelerazione nella discesa, secondo i segnali che arrivano dall’Ufficio statistico. Le proiezioni avvisano che nel 2025 ci saranno 300 milioni di cinesi ultrasessantenni.
L’età della pensione per la stragrande maggioranza dei lavoratori dell’industria è fissata a 60 anni per gli uomini e tra i 50 e i 55 per le donne. La Cina sta scoprendo di essere diventata anziana prima di aver raggiunto la ricchezza promessa da Xi Jinping.
È chiaro anche al governo che la crisi è stata partorita dalla scellerata politica del figlio unico, introdotta nel 1979: allora il Partito credeva che troppe bocche da sfamare frenassero la crescita. Per trent’anni quella regola disumana fu compensata sul piano della fredda demografia dalla giovane età della popolazione e dall’aumento dell’aspettativa di vita (salita dai 40 anni del 1950 ai 77 di oggi). Ma quando l’espansione ha cominciato a rallentare, a Pechino si sono resi conto che l’economia si regge sui consumi interni e sulla forza lavoro: non fare figli «nel lungo periodo riduce entrambi i fattori», per dirla con il linguaggio dei Piani quinquennali. Per questo, dal 2016 è stato consentito alle coppie sposate di avere un secondo figlio: non in nome dei diritti umani, ma per il superiore interesse dei conti economici. Il problema però non è stato risolto: solo nel 2016 è stato rilevato un incremento nelle nascite che neanche la propaganda ha potuto definire «baby boom». Dal 2017 il calo è ripreso, diventando crollo nel 2020, quando secondo stime preliminari sono stati registrati 10,4 milioni di neonati, il 15% in meno rispetto al 2019 e il numero più basso dal 1949, anno di fondazione della Repubblica popolare.
Parallelamente, negli USA la popolazione cresce ancora tanto, ma al ritmo più basso dagli anni trenta: + 7,4%
Il declino complessivo della crescita della popolazione ha diverse spiegazioni importanti.
Sicuramente bisogna partire dalla caduta del tasso di natalità: solo 1,73 figli per madre, come risulta dalle statistiche raccolte dal «National Vital Statistics System». È una percentuale nettamente al di sotto del 2,1, la cifra-volano che garantisce il ricambio tra generazioni, bilanciando il numero dei neonati e quello dei deceduti.
Siamo lontanissimi dall’esplosivo 3,77 del 1957, nel pieno del tumultuoso sviluppo economico. Ma l’1,73 dell’ultimo decennio è inferiore anche all’1,84 del 1980, l’anno che chiude la depressione dei Settanta.
La cifra più inquietante è l’aumento del tasso di mortalità.
Si passa dall’ 8,13 per mille del 2009 all’ 8,72 del 2019. Stiamo parlando, dunque, di uno scenario pre Covid, dove le «cause trainanti di morte» sono le malattie cardiache, i tumori, ma anche patologie che rivelano un forte disagio sociale: obesità,
cirrosi e quindi abuso di alcol, dipendenza da oppioidi.
Scavando un po’ tra le tabelle, per esempio, viene fuori che nel 1980 i suicidi furono 26.869; nel 2018, 48,344.
Non progredi est regredi