Messaggioda zampaflex » 05 lug 2024 09:59
Ripulendo la casella di posta ho ritrovato un articolo di analisi del libro dell'esimio ed illustre neodeputato generalissimo Vannacci.
A Robbé, facce ride...
Strafalcioni e copia e incolla. Il linguista fa le pulci alla lingua del generale Vannacci
di Massimo Arcangeli
Il professore sul libro del generale: «Errori d’ortografia, fonti non citate, refusi e riferimenti non contestualizzati. All’incontrario è soprattutto l’italiano»
La «lingua all’incontrario» del generale Vannacci: «Abbiamo suon di politici e di intellettuali» (p. 4); «Sbagliare è umano ma imperversare è diabolico» (p. 70); «Conosco personalmente altre persone che, pur avendo il passaporto tricolore, non spiaccicano più di un “Ciao? come stai?” nella nostra lingua» (p. 226). Sono appena tre degli innumerevoli esempi di italiano «all’incontrario» ricavabili dal libro del generale Roberto Vannacci («Il mondo al contrario»).
Un’accozzaglia di luoghi comuni malamente assemblati, con l’aggravante di interi passi prelevati più o meno alla lettera da svariate fonti, neanche citate, come farebbe uno smaliziato laureando alle prese con la tesi o uno studentello del tutto ignaro, nell’era del copia e incolla da Internet, di plagi e diritto d’autore. «È così che, in nome del contrasto all’omofobia, si innesca la pressione psicologica opposta, quella che costringe le persone al timore reverenziale, alla sacralizzazione della categoria» (p. 259) riprende quasi pari pari un passaggio di un libro dell’attivista omosessuale Francesco Mangiacapra, di cui non viene mai fatto il nome nel volume: «È così che in nome del contrasto all’omofobia, si innesca la pressione psicologica opposta, quella che costringe le persone, per timore reverenziale, a sacralizzare la categoria»(Il golpe del politicamente corretto.
Quando le minoranze divengono dittatura, L’Isola di Patmos, 2021, p. 47). La descrizione dell’osservazione chomskyana sulla rana bollita di una nota (p. 248) compare a sua volta identica in vari luoghi della rete, e un passaggio di una decina di righe (p. 272) sulla rettifica dell’attribuzione di genere è il risultato dell’assemblaggio di più fonti, sempre prelevate di peso da Internet. Un brano di cinque righe sull’identità di genere («La costruzione dell’identità di genere si basa […] sull’assunzione di modelli di riferimento nei confronti dei quali i bambini attivano processi di imitazione e, conseguentemente, di identificazione», p. 279) copia quasi alla lettera da un contributo di una studiosa in materia, anche lei mai menzionata dal generale: «La costruzione dell’identità di genere si basa sull’assunzione di modelli di riferimento adulti nei confronti dei quali i soggetti in formazione attivano processi di imitazione e conseguentemente di identificazione» (Ilaria Cellanetti, Lingua e genere. Didattica e sessismo nell’insegnamento della lingua inglese, in Irene Biemmi e Tiziana Cappelli, a cura di, Verso una cittadinanza di genere e interculturale. Riflessioni e buone prassi dalla Facoltà di Scienze della Formazione di Firenze, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2013, p. 91).
E potrei continuare a lungo. Altre perle di scrittura prodotte da Roberto Vannacci: «L’idea bislacca del punto di non ritorno deriva dal rapporto del [!] Intergovernmental Panel on Climate Change che, nel 2018, affermava che tagliando le emissioni globali di anidride carbonica del 45% entro il 2030 avrebbe comportato la ragionevole speranza di contenere il riscaldamento globale» (p. 29); «Questa […] considerazione […] è proprio quella che mi ha convinto di lasciar perdere e di costringere il lettore all’integrale decifrazione del capitolo, invece di limitarsi alla rapida scorsa dei suoi tratti essenziali.
Comunque, onde evitare che questa mia personale pretesa si trasformasse in una lapidaria condanna, ho comunque inserito il BLUF […] alla fine del capitolo in modo da consentire, comunque, una scelta» (p. 88); «Al furto – reato percepito tra i più odiosi dalla gente comune perché spesso viola la tua intimità, perché ti priva di quanto hai onestamente lavorato per ottenere, perché ti colpisce nelle cose alle quali più tieni – viene normalmente e normativamente attribuita importanza bagatellare», p. 143 sg. («di quanto hai ottenuto lavorando onestamente»); «mi sono stupito sia nel vedere le abitazioni lasciate aperte, anche di notte, sia le gioiellerie che esponevano i loro preziosi con sorprendente naturalezza» (p. 147); «l’esistenza di cotante priorità da verificare prima di passare ai fatti ha reso estremamente arduo e difficile l’esecuzione degli sfratti come lo prova la sconcertante casistica già evidenziata» (p. 169); «Se si garantisse il principio della legalità e del rispetto delle regole e se la restituzione della casa integra e nei tempi ragionevolmente dovuti ai legittimi proprietari fosse affermato senza deroghe o eccezioni» (p. 182); «In essenza, non capisco perché una donna o un uomo dovrebbe andare necessariamente a lavorare per poi essere obbligati a spendere buona parte di quanto guadagnano per il pagamento di questi servizi» (p. 200); «se vai in giro vestito come un pagliaccio non ti lamentare se poi qualcuno ride né pretendere che tutti si vestano come te» (p. 287); «Ecco, allora che si assistono alle azioni degli attivisti amanti delle bestie che bloccano macelli e mattatoi invocando l’“olocausto animale”» (p. 347).
Oltre ai tanti casi in cui violenta il testo, scombinato o sgangherato, il generale omette di frequente il punto interrogativo in frasi che lo richiedono («E che dire allora di moltissime altre percezioni: pensiamo a quelle sull’intelligenza», p. 277) o lo inserisce quando invece non ci vuole («Provate a chiedervi il perché abbiano scelto la nostra penisola quale teatro preferito del loro malaffare?», p. 147; «Se non la chiamate ridistribuzione della ricchezza questa mi domando quale sia il meccanismo al quale aspirino i cosiddetti progressisti?», p. 293); non è in grado di stendere una scaletta (p. 250 sgg.) e incespica nell’uso dell’inciso (p. 115); spezza le parole composte in due tronconi (pseudo organizzazioni, p. 30, pseudo intellettuali, p. 53; super controllata, p. 78, super inquinante, p. 311; gioco forza, pp. 70, 93; anti clandestini, p. 120; sub sahariana, p. 123; ultra progressista, p. 145; auto procurato, p. 152; neo genitori, p. 186; anti patria, p. 224; neo eletta, p. 320; medio bassi, p. 324) o le volge al plurale in forme impossibili (malaparole, p. 345), come fa anche per quelle semplici («moltissimi altri suppellettili», p. 247); ha problemi con i nomi propri o con le loro corrette traslitterazioni («Gifoni festival», p. 32; «Gengis Kan», p. 111).
Si perde per strada i soggetti, litiga con l’interpunzione, con l’ortografia, con i tempi e i modi verbali, con le reggenze e gli accordi grammaticali, con gli avverbi e le preposizioni, i collanti e i connettivi testuali (talvolta se li mangia): «un paese è tanto più democratico quanto più rispetta e tutela le minoranze ma, non esageriamo» (p. 5); «La rivolta che nei primi giorni di luglio, ha infuocato tutto lo stato transalpino» (p. 105); «in Pakistan in Kazakistan, in Mongolia» (p. 113); «è in malafede e, per raccattare voti e popolarità si erge a protettore dei più deboli» (p. 119); «Dallo studio, condotto da Community Research&Analysis è emerso (p. 204); «la quasi totalità degli esseri umani non gioisce quando prova dolore fisico o umiliazione, eppure, esiste una minoranza» (p. 241); «è alla base della nostra civiltà giuridica e, persino del nostro benessere» (p. 284); «i derelitti, gli emarginati i fragili» (p. 293); «Peccato […] che gli autobus pubblici che girano per la città eterna […] siano quasi tutti degli inquinanti Euro3, ma, nella logica della sinistra progressista bisogna sempre iniziare dai privati» (p. 321); «in Bangladesh, in Cambogia in Indonesia» (p. 342); «La libertà d’opinione […] è alla base della nostra civiltà giuridica, della nostra libertà e, persino del nostro benessere» (p. 346); «e, benché, queste pratiche siano semplicemente antitetiche a qualsiasi scienza, non vengono sottoposte alla censura» (p. 347); «Si, perché» (pp. 4, 220, 228, 331), «si proprio quelli» (p. 93), «si, rubo» (p. 139), «Si, proprio così» (p. 217); «crimini a sfondo raziale» (due volte: pp. 91, 103); «qualcun’altro» (p. 130); «società Giapponese» (p. 227); «l’azione dell’uomo, specialmente quella degli ultimi 220 anni, ha sicuramente un impatto significativo sulla Terra», p. 14 (ha avuto); «ben documentati studi […] dimostrano che [..] le emissioni di CO₂ sono uguali, se non maggiori, a quelle che necessitano per le auto a motore termico», p. 50 (“che sono necessarie”); «sono necessari milioni di pannelli o migliaia di turbine per equivalere la produzione di un singolo reattore nucleare» (p. 83);
«In Somalia tutto andava bene fintanto che Siad Barre […] riusciva a conglomerare con metodi non proprio da gentiluomo le varie tribù» (p. 102); «a me inorridisce», p. 108 (“mi inorridisce”, “mi fa inorridire” o “a me fa inorridire”); «nel mondo antico, l’omosessualità era confinata esclusivamente all’ambito dei gusti e del piacere sessuale e non ha mai inciso con la famiglia o con altre istituzioni», p. 236 (dove ha inciso cosa?); «se di sesso si parla […] si afferisce alla sfera personale» (p. 237); «gli invasi per trattenere l’acqua piovana e le dighe per regolare il flusso dei fiumi dei torrenti non le abbiamo realizzate» (p. 16 sg.); «è la povertà e il sottosviluppo a produrre più di ogni altro l’inquinamento» (p. 21); «l’indotto, il benessere e la ricchezza che vengono create» (p. 24); «Quelli che non hanno voluto esprimersi, il partito degli astenuti, ha deliberatamente delegato le decisioni a chi invece si è avvalso del diritto di voto conquistato nei secoli» (p. 33); «Circa i tre quarti della popolazione mondiale […] è concentrata in Asia (4,5 miliardi di persone) e in Africa (1,2 miliardi)» (p. 62); «la natura e la tecnologia ci offre» (p. 86); «La cittadinanza e l’appartenenza ad una determinata società dà luogo» (p. 96 sg.); «L’esperienza maturata […] mi ha anche messo davanti agli occhi una banalità ben chiara a chi la storia e l’antropologia l’ha studiata approfonditamente» (p. 101); «La stabilità, la prosperità, lo sviluppo e la pacifica convivenza della società occidentale può essere seriamente messi in pericolo dai continui ed incontrollati flussi migratori» (p. 128); «Quello che ci ha garantito un’evoluzione indubbiamente strabiliante rispetto agli altri esseri del Creato sono stati intelligenza e capacità di collaborare» (p. 130); «il Creato e la naturale evoluzione dell’uomo ha portato» (p. 191); «Il legame di sangue e l’amicizia si fondeva con il cameratismo» (p. 196); «quella “toscanità” del sapore, insieme all’amore per un mestiere antico che non scende a compromessi sulla qualità, hanno fatto il resto» (p. 218); «E qua basti pensare a quante volte è usato l’aggettivo “omofobo” o la locuzione “istigatore dell’odio” che, solo qualche decennio fa, erano sconosciute ai più» (p. 250); «la desensibilizzazione e la banalizzazione deve avvenire» (p. 259); «Cosa dovremmo fare con queste persone? Ammetterle come ricercatori al CNR sulla base delle loro personali percezioni per evitare di “opprimerli”?» (p. 277); «chi lo commette ottiene l’effetto che tutte le persone appartenenti alla minoranza individuata […] si sentano minacciati» (p. 284); «Le persone che hanno superato i 32-33 anni e non ha mai presentato una dichiarazione dei redditi» (p. 299); «L’ideologia e la demagogia populista ci ha portato» (p. 300); «La pandemia ed il conseguente rallentamento delle tanto disprezzate ed inquinanti attività produttive ha invertito la rotta nel 2020» (p. 302); «il gestore principale dei monopattini – la società “Lime” – è stata accusata» (p. 317); «orsi, lupi, barbagianni, volpi e tutta la fauna selvatica onnivora o carnivora ne sarebbe esentata» (p. 343);
«L’opposizione verde all’atomo, condita con molta ideologia e con l’appoggio di tutte le sinistre, sfociò con la rinuncia da parte di alcune nazioni all’energia» nucleare (p. 34); «ultrà del Hutu Power» (p. 100); «fa emergere qualcuno che merita da qualcun altro che è tutt’altro che meritevole» (p. 107); «vocazione genomica alla violenza e alla criminalità di cui il popolo italiano sarebbe cromosomicamente caratterizzato» (p. 136); «un bel chalet» (p. 137); «a cominciare dallo scrivente […] che si percepisce anche offeso da chi deturpa la mia lingua natale», p. 263 (la sua, generale, la sua); «l’uomo è un tutt’uno con l’ambiente che lo circonda, ne fa parte, ne è intimamente ed inevitabilmente connesso» (p. 13; “vi è”); «Considerare l’azione dell’uomo come aliena all’evoluzione del pianeta è un astrattismo ermetico ed irrazionale che ci riporterebbe alla lotta tra bene e male di cui i sistemi fisici e naturali sono totalmente avulsi», p. 15 (“da cui”); «trasformare una consolidata architettura energetica necessita tempo e risorse» (p. 68); «per quanto attiene il carbone», p. 71 (“al carbone”); «abisso dell’estremismo nel quale soggiace» (p. 126); «alla luce dei fatti ampiamente verificatesi» (p. 166); «all’unica cosa di indiscutibilmente positiva che la società possa offrire» (p. 188); «sottrarsi dalle grinfie degli insegnanti» (p. 257); «pressione fiscale inferiore di quella italiana» (p. 290); «una condanna dalla quale è impossibile sottrarsi» (p. 292); «trarre vantaggio dei benefici previsti» (p. 315). Andiamo male anche col francese (Ivoiritiè, p. 101; si scrive ivoirité) e col latino: «In fin dei conti si tratta di gusti, di preferenze, di predilezioni che, proprio secondo la saggezza degli antichi, non si discutono, non sono “disputandum”» (p. 234; semmai disputanda, ma forse piaceva al generale l’assonanza con l’abbondantis adbondandum di una ben nota lettera di Totò). Si ripete lo stesso concetto più avanti (capita spesso che il generale non ricordi di aver già detto una cosa, perché poi la ripete più o meno identica), e ricompare pure il disputandum: «si rimane nella traiettoria dei gusti, che proprio come tali, non sono “disputandum”» (p. 287).
Il «clamore che scaturisce dell’anomalia e dalla minoranza» (p. 4), «in tutta il mio viaggiare» (p. 25), la «fonte di energia acclaratamene più inquinante» (p. 35), «questa scelto» (p. 52), «potrebbe essere sufficienti» (p. 82), «in Italia opera una fetta di delinquenti proviene dalla Romania (p. 147), «quello che sfugge ai benpensanti e che tali eventualità rappresentano comunque l’esito di incidenti, di errori di percorso» (p. 198 sg.), la Diseney Pride Collection (p. 267), l’«insegnate di ginnastica» (p. 270), «Le auto […] consumano meno e inquinano meno quando possono muovere con rapporti più alti» (p. 316), «uno delle principali testate» (p. 346), e via di questo passo, sono banali refusi ma aggiungono un ulteriore tassello all’imbarazzante sciatteria (del) generale.
Lo stravolgimento del lessico, del significato delle parole, delle frasi fisse o idiomatiche fa paura: «si sono dimostrate prive di alcun fondamento» (p. 40); «hanno tentato di divellere cancelli e recinzioni e hanno ingaggiato le forze dell’ordine con lanci di pietre, sassi, petardi e bombe carta» (p. 43); «Non era poi così raro […] trovarsi a giocare in gruppi di marmocchi, […] con i quali ci rotolavamo e arruffavamo insieme in qualche parco della capitale», p. 89 (vi spettinavate a vicenda?); «vanno laddove è più facile e conveniente andare» (p. 117), «Laddove […] a fare il criminale si rischia grosso […] il rispetto delle regole è diffuso ed il senso civico è sviluppato» (p. 137); «aspirerebbe che tutta l’istruzione fosse pubblica», p. 119 (semmai auspicherebbe, o vorrebbe, o pretenderebbe); «ci fermiamo ai bordi della strada e i due agenti, scesi dall’auto, ci salutano cordialmente e cominciano a questionarci su che cosa facessimo, chi fossimo, dove andassimo, p. 137 (interrogarci, generale; questionare è sinonimo di discutere, dibattere, polemizzare); «Non so quanti ladri vengano effettivamente perseguitati dalla giustizia», p. 144 (perseguiti, generale, perseguiti); «uno dei più contestati commi della proposta del decreto a firma Zan integrava l’obbligatorietà di un’istruzione impartita nelle scuole su temi delicati come l’identità di genere quasi a voler imporre una “visione di Stato” su un argomento molto controverso e dibattuto», p. 206 (dove mai la integrava?; casomai contemplava, o prevedeva); «dalla Roma dei Cesare all’Impero Persiano» (p. 235); «associazioni e movimenti di ricconi che manifestano nelle piazze avocando a chissà quale protezione in nome di un’appartenenza ad una minoranza di censo discriminata innanzitutto dal fisco non esistono», p. 238 (uso intransitivo del verbo a parte, quei ricconi la protezione dovrebbero piuttosto invocarla); «il mondo reale […] è spesso diverso da quello che percepiamo e ce ne rendiamo conto ogni giorno, subendo delusioni e frustrazioni che progressivamente, e col tempo, collimano la cognizione che abbiamo del mondo con quello che è realmente», p. 277 (e per fortuna che collimano); «Sono un convinto assertore che chi invade e si appropria indebitamente della proprietà pubblica e privata debba essere punito severamente» (p. 285).
Assertore di cosa? Non poteva mancare, in una sarabanda di svarioni di ogni genere, il famigerato «piuttosto che» con valore disgiuntivo anziché avversativo: «un reato non può essere più reato se rivolto ad un omosessuale piuttosto che a un nero, a uno zingaro o a un sinti», p. 286 (tutti accomunati dalla stessa sorte, come ha provveduto a chiarire qualche rigo prima: «non possiamo variare le pene in base al sesso, alla religione o al colore della pelle»). Ancora: «non gradisco il termine “ridistribuzione della ricchezza”» (p. 291); «se tutta la popolazione umana diventasse vegana, seguendo le auspicate degli animalisti […], la superficie terrestre attualmente dedicata all’agricoltura non basterebbe più per sfamare bestie e sapiens» (p. 344); «Quando ammiri il David o la Gioconda […] non te ne frega una cippa se chi li ha compiuti preferiva le bionde con i capelli corti o se al caffè prediligeva il cappuccino» (p. 253). Preferiva, non prediligeva.
E sono uno spasso Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti che sorseggiano non tanto il caffè, parola giuntaci dal turco nel Cinquecento (nella forma cavèe, 1585), quanto il cappuccino. Al tempo, purtroppo per il generale Vannacci, era sconosciuto anche l’espresso. Sarebbe venuto alla luce tre secoli dopo. Da Leonardo e Michelangelo a Manzoni (Marzo 1821 diventa – troppa grazia – un poema: p. 94) e Cartesio: «Il riferirsi a sé stessi è una delle caratteristiche dei tempi moderni che ha mosso i suoi primi timidi passi, probabilmente, da quando Cartesio ha pronunciato il fatidico anatema “Cogito ergo sum”.
Da allora, in un crescendo sempre più eclatante, ci siamo abituati a riferire ogni sfaccettatura della realtà alle nostre percezioni e ai nostri pensieri» (p. 2). A parte la totale ignoranza della sua filosofia (metafisica) da parte del generale, che ne fa un sensista, contro chi avrebbe mai scagliato il suo anatema l’incolpevole René Descartes? E l’eretismo? «Che a partire dal Medioevo sino all’età moderna l’omosessualità fosse perseguita non mi stupisce poiché, nello stesso periodo erano considerati gravi delitti la blasfemia, l’eretismo, l’adulterio» p. 236). Sarebbe l’eresia, ma il generale Vannacci, che vede troppi batacchi (o battacchi, la variante che preferisce lui: p. 269), l’ha confusa con lo stato di ipereccitabilità (cardiaca, psichica, ecc.) indicato da una voce da tempo in disuso.
Anche lo stile non aiuta, anzi. Pomposo e reboante, come certo burocratese supponente, vìola ripetutamente il principio di realtà o di verosimiglianza. «Un mio collaboratore, proprietario di un bellissimo e richiestissimo cane “molecolare”», scrive Vannacci verso la fine, «è stato preso a malaparole da alcuni forsennati perché la bestiola, educatissima, lo ha aspettato senza guinzaglio, senza muoversi e in posizione “seduta” all’ingresso di un negozio mentre lui faceva la spesa. “Chissà quali sofferenze gli hai inflitto per condizionarlo in tale modo” – lo accusavano animosamente gli attivisti» (p. 345). In tale modo. Quale attivista potrebbe mai parlare così?
Non progredi est regredi