Diario economico

Dove discutere, confrontarsi o scherzare sempre in modo civile su argomenti attinenti al mondo del food&wine e non solo.

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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 18 feb 2025 17:17

vinogodi ha scritto:
zampaflex ha scritto: In Germania circa un milione di ragazze e ragazzi, dopo la scuola, non si iscrive all’università: frequenta le Fachhochschulen, istituti con forte orientamento pratico.
...in Italia , di 390.000 laureati all'anno , non ce n'è uno che sappia cosa potrà fare , non sapendo un cazzo né di quello che hanno studiato , né quello che il mondo del lavoro richiede . Metà del mio tempo lo buttavo per fare formazione ai tecnici neoassunti ( Produzione, Qualità e R&D) , a volte con lauree e master ... 8)


Tu però sei in conflitto di interessi: insegnavi in università, li promuovevi e poi quando venivano da te dicevi loro che non sapevano niente :mrgreen:

Seriamente, è il magico mondo dell'istruzione italiana, orientato al mantenimento della cultura passata invece che al pragmatismo aperto al futuro dei mercati di sbocco. :(
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 18 feb 2025 22:53

Meno sbarchi e più residenze. È quanto emerge dal 30mo rapporto della fondazione Ismu, presentato ieri al teatro Franco Parenti di Milano, che analizza l’andamento dei flussi migratori in Italia. Al primo gennaio 2024 gli stranieri nella Penisola
sono 5 milioni e 755 mila, in calo dello 0,3% rispetto all’anno precedente.
Secondo quanto emerge dal report, il fenomeno migratorio sta vivendo al momento «una fase di consolidamento »: meno arrivi nella Penisola, più cittadinanze e residenze ottenute da parte degli stranieri. Gli sbarchi nel 2024 si sono ridotti del 58% rispetto all’anno precedente. La stessa situazione si riflette via terra: nei primi 6 mesi dell’anno scorso gli arrivi sono stati 3.400, contro i
5.600 del 2023.
L’Italia, secondo il dossier, attrae più per motivi di ricongiungimento familiare piuttosto che per ragioni lavorative. Calano anche gli irregolari che rappresentano il 5,6% degli stranieri sul territorio. Ad aumentare, invece, è il numero di coloro che scelgono
di restare in Italia. Sono 5 milioni e 254 mila gli stranieri che hanno ottenuto la residenza.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 18 feb 2025 23:15

Dopo il populismo penale (con la creazione di una marea di nuovi reati e l’innalzamento generalizzato delle pene) e quello costituzionale (con l’inserimento nella Costituzione di buoni propositi, come quelli su ambiente, sport, animali e persino le isole, privi però di attuazione pratica), eccoci arrivati al populismo della geografia giudiziaria.
Il governo ha intenzione di riaprire i piccoli tribunali soppressi nel 2012 con la riforma Severino, in nome della “giustizia di prossimità”.
Nel 2012 la riforma elaborata dall’allora ministra della Giustizia Paola Severino operò la soppressione di 31 sedi di tribunale e delle relative procure, e di 220 sezioni distaccate di tribunale in tutto il territorio nazionale, in nome del risparmio per le casse pubbliche e anche di razionalizzazione della cosiddetta geografia giudiziaria. A distanza di tredici anni,il governo Meloni vuole invertire la rotta. Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, ha annunciato un disegno di legge per la riapertura di alcune sedi soppresse. E due settimane fa, rispondendo a un’interrogazione al Senato, ha esplicitato la direzione che l’esecutivo intende seguire: “L’azione del governo sarà ispirata realmente al basilare principio della giustizia di prossimità, ampiamente richiamato in sede europea e facilmente sintetizzabile: più l’amministrazione della giustizia è vicina al cittadino, maggiori saranno le garanzie di tutela dei suoi diritti e dei suoi interessi”.
Ma veramente riaprire delle piccole sedi di tribunale “sotto casa” serve a migliorare il servizio giudiziario, se poi a questi uffici vengono destinati una decina di magistrati, con poche risorse a disposizione e scarsissime, se non nulle, possibilità di specializzazione?
Gli operatori della giustizia rispondono con un netto “no”. L’elenco delle sedi interessate dalla riforma non è ancora noto,ma Delmastro ha già preannunciato di stare pensando al ripristino dei tribunali di Bassano del Grappa in Veneto, Lucera in Puglia e Rossano in Calabria. Il primo, che dovrebbe prendere il nome di tribunale della Pedemontana, sarebbe destinato a occuparsi di alcune parti di territorio fra le province di Vicenza, Treviso e Padova. E qui, nel Veneto che si prepara alle elezioni regionali, che si è aperto il dibattito più intenso sull’opportunità di riaprire i“tribunalini”.
La proposta del tribunale della Pedemontana (rilanciata con enfasi dall’altro sottosegretario alla Giustizia, il veneto Andrea Ostellari) ha trovato la contrarietà dei tre procuratori e dei tre presidenti dei tribunali di Vicenza, Padova e Treviso. All’inaugurazione dell’anno giudiziario, il presidente della Corte d’appello di Venezia, Carlo Citterio, ha parlato di “operazione nostalgica, slegata dalla realtà”, fatta di carenza di personale e risorse.
Anche gli ordini degli avvocati delle tre province coinvolte hanno bocciato senza mezzi termini il progetto: “Se il nuovo tribunale verrà aperto, ciò determinerà una redistribuzione delle risorse che già operano presso altre sedi,che vedrebbero così accentuate le difficoltà in cui versano per essere private di risorse indispensabili e già insufficienti ad assicurare un servizio dignitoso: oggi nel Veneto manca mediamente il 10-12 per cento dei magistrati e circa il 30 per cento del personale di cancelleria”.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 27 feb 2025 22:43

Ngli ultimi anni, il mercato del lavoro dell’area dell’euro, e in particolare quello italiano, hanno vissuto trasformazioni significative, in gran parte influenzate dai cambiamenti demografici. Secondo un recente studio della Banca Centrale Europea, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il livello più basso dalla nascita dell’euro, attestandosi al 6,3% nell’ottobre 2024. Questo calo, nonostante l’aumento della forza lavoro del 3,5% tra il 2021 e il 2024, suggerisce una stretta relazione tra le dinamiche demografiche e l’occupazione. L’incremento della partecipazione al mercato del lavoro ha riguardato tre categorie principali: i lavoratori non UE (+24,7%), i lavoratori più anziani (+9,9%) e quelli con istruzione terziaria (+7,9%). Queste componenti non solo sono cresciute in termini numerici, ma hanno anche mostrato tassi di partecipazione più elevati. Se prendiamo il caso italiano, nello stesso arco di tempo, l’andamento dei lavoratori anziani è leggermente superiore alla tendenza europea ed è su questa componente del mercato del lavoro che è interessante concentrarsi. Sappiamo che gli over 50, nell’ultimo decennio, stanno prolungando la loro permanenza nel mercato del lavoro grazie a riforme pensionistiche (nel caso italiano la riforma Fornero che ha alzato a 67 anni l’età pensionabile), una maggiore domanda di competenze esperte e un generale miglioramento delle condizioni di lavoro che consentono una permanenza maggiore soprattutto in certi lavori e certe mansioni. Secondo i ricercatori della Bce il loro tasso di disoccupazione, pari al 4,4% nel terzo trimestre del 2024, è inferiore rispetto a quello dei lavoratori adulti (5,8%). Se il loro livello di occupazione fosse rimasto invariato rispetto al 2021, il tasso di disoccupazione complessivo sarebbe stato più alto di 0,3 punti percentuali. Nel caso italiano il tasso di disoccupazione degli over 50 si distacca ancora di più dalla media generale (2,8% rispetto al 5,7%). Questo suggerisce anche un impatto di queste grande crescita di occupati over 50 su altri aspetti qualitativi del mercato del lavoro. Uno di questi, sul quale ci si è giustamente concentrati molto, riguarda la forte crescita di occupati a tempo indeterminato. Se prendiamo l’andamento di questi occupati dividendolo per età scopriamo che, dal 2015 a oggi (terzo trimestre 2024), tra i 15 e i 34 anni i lavoratori a tempo indeterminato sono cresciuti di 493mila unità, tra i 35 e i 49 anni sono diminuiti di 629mila unità e in quella degli over 50 anni sono cresciuti di ben 1,88 milioni. In sintesi, gli occupati a tempo indeterminati sopra i cinquant’anni sono cresciuti quasi quattro volte in più di quelli sotto i 35 anni. Certamente incide una storica concentrazione di contratti temporanei tra i giovani, ma non è sufficiente a spiegare un tale andamento per il quale l’invecchiamento della forza lavoro e la maggior permanenza nel mercato del lavoro restano le spiegazioni principali. Un ulteriore elemento che si lega a questa dinamica è la riduzione dell’inattività sul quale incide, appunto, l’allungamento delle carriere lavorative. Concentrarsi su questa dinamica non vuol dire cercare di rovesciare una narrazione positiva dell’andamento del mercato del lavoro italiano. I dati dell’ultimo decennio rispetto a occupazione, disoccupazione e inattività sono positivi tanto in Europa quanto in Italia, ed è bene ribadirlo. Allo stesso tempo la forte presenza dell’impatto demografico e delle riforme pensionistiche tra le cause di questo andamento deve aprire alcuni importanti interrogativi, ne citiamo due in particolare. Il primo riguarda il rapporto tra la crescita occupazionale e la produttività. La crescita dell’occupazione, in Italia, non si è accompagnata da una crescita parallela del valore aggiunto e questo ha fatto sì che negli ultimi anni la produttività del lavoro crescesse molto poco e, addirittura, rallentasse significativamente nel 2023 (l’ultimo dato disponibile). Una crescita occupazionale che deriva in larga parte dal permanere di persone over 60 nel mercato del lavoro, magari impiegati in mansioni che difficilmente riescono a svolgere come in passato o posti davanti a esigenze di riqualificazione professionale che non vengono affrontare, si traduce in effetti negativi sulla produttività con le conseguenze che ben conosciamo, in primo luogo sui salari. Questo dovrebbe interrogare, in uno scenario inedito per il nostro Paese di crescita forte di una certa fascia di occupati, su cosa significhi rendere sostenibile, sia in termini di attività svolte che in termini di competenze e aggiornamento professionale, il lavoro dei lavoratori più maturi. Il secondo elemento da considerare è invece più legato all’andamento della tendenza demografica e riguarda lo scenario che si aprirà con il pensionamento, seppur ritardato della generazione dei baby boomer. Lo svuotamento di questa coorte anagrafica avrà un forte impatto sul mercato del lavoro perché non verrà compensato da quelle successive, molto più ridotte come numero anche se con livelli di istruzione maggiori. Questa dinamica dovrebbe fin da subito orientare le politiche del lavoro e le politiche dell’innovazione sia rispetto al rapporto tra flussi migratori e lavoro sia rispetto al ruolo che l’automazione può avere, senza timori, nella sostituzione di determinati lavori senza che tale dinamica sia totalmente nelle mani di chi sviluppa le tecnologie. L’alternativa sarà la duplice scure di un’economia meno produttiva, più povera e destinata allo svuotamento.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 03 mar 2025 12:39

Corporate greed. Come le aziende americane hanno aumentato enormemente la quota dei propri profitti sul totale dei redditi nazionali negli ultimi trent'anni, e soprattutto dal 2000.

https://fred.stlouisfed.org/series/W273RE1A156NBEA
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 05 mar 2025 23:20

https://www.ilpost.it/2025/03/04/record-mercato-lavoro-italiano/

Secondo l’ISTAT a gennaio in Italia il tasso di disoccupazione è stato del 6,3 per cento: è la quota di persone che cercano lavoro sul totale della forza lavoro, rappresentata dai disoccupati e dagli occupati. È un valore storicamente basso, molto vicino al minimo del 6 per cento che c’era stato a novembre.
Va letta affiancata dagli altri due numeri: occupati e potenziali.
Gli occupati, cioè le persone che hanno un impiego, a gennaio erano 24 milioni e 222mila: sono due milioni in più rispetto a gennaio 2021 e mezzo milione in più di gennaio 2024; rispetto al mese precedente si sono aggiunti 145mila lavoratori, con l’aumento mensile più alto degli ultimi quattro anni. La crescita è stata spinta soprattutto dall’aumento dei lavoratori maschi, che rappresentano circa l’80 per cento di tutto il rialzo dell’ultimo anno: hanno raggiunto per la prima volta i 14 milioni, mentre le donne sono stabili intorno ai 10,2 milioni dalla scorsa primavera.
Non ci sono mai state così tante persone occupate come adesso, e le cause sono principalmente due: una è legata a un’economia un po’ più dinamica rispetto al passato, che grazie al “rimbalzo” successivo alla crisi pandemica ha portato le aziende ad assumere più lavoratori; la seconda è legata a una tendenza di più lungo periodo, cioè al fatto che oggi le persone lavorano per più anni, a causa del costante invecchiamento della popolazione e dell’innalzamento dell’età pensionabile. In poche parole: ci sono più lavoratori attivi grazie a un’economia che va abbastanza bene, e quelli che ci sono restano al lavoro per più anni rispetto al passato.
Tuttavia il numero delle persone occupate, di per sé, ci dice poco sull’effettivo dinamismo del mercato del lavoro, perché potrebbe essere il solo effetto dell’aumento della popolazione. Per questo si usa metterlo in rapporto con la popolazione in età da lavoro, che per convenzione è quella tra i 15 e i 64 anni: anche in questo caso a gennaio si è avuto il dato più alto mai registrato, il 62,8 per cento. Anche il tasso di occupazione maschile ha raggiunto un livello record, il 72 per cento; il tasso di occupazione femminile è stato del 53,5 per cento, poco sotto il massimo storico del 53,6 per cento raggiunto a settembre. Anche in termini percentuali i dati indicano dunque che non c’è mai stata una quota più alta di persone con un lavoro dall’inizio delle serie storiche.
Eppure l’Italia ne esce malissimo se si paragonano questi numeri con quelli degli altri paesi europei: ha il più basso tasso di occupazione di tutta l’Unione Europea. Gli ultimi dati che consentono il confronto sono quelli di Eurostat relativi al terzo trimestre del 2024: con un tasso di occupazione del 62,4 per cento l’Italia era l’ultimo paese europeo per quota di persone con un impiego, dopo la Romania e la Grecia. C’è una differenza di circa 20 punti percentuali con i Paesi Bassi, il primo paese europeo per tasso di occupazione.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 11 mar 2025 11:16

A seguito di una discussione con dei conoscenti, è emersa questa interessantissima analisi sulla produttività americana, esplosa nello scorso decennio.
Spoiler: NON è migliorata nella manifattura. Solo nei servizi.

https://www.apricitas.io/p/americas-productivity-boom
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 11 mar 2025 11:34

Dal Sole, su studio Bankitalia, una analisi della produttività del sistema giudiziario.

Spese di trasporto, tempi di viaggio più lunghi e difficoltà logistiche hanno disincentivato l’avvio di nuovi contenziosi civili. Poco più di dieci anni dopo la soppressione di 25 tribunali e di 220 sezioni distaccate le condizioni di accesso alla giustizia sono state alterate ma hanno innescato un calo delle cause del 6,4%, con riguardo a quelle bagatellari - cioè di modesto valore e in alcuni casi anche pretestuose – senza però incidere su quelle più rilevanti, come fallimenti, diritto di famiglia e del lavoro.
Lo studio della Banca d’Italia “Gli effetti della riforma della geografia giudiziaria sul funzionamento della giustizia civile” arriva in un momento caldo del dibattito politico-giudiziario, con l’accorpamento delle Corti fiscali in corso di definizione tra il ministero dell’Economia e il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (si veda l’articolo in basso). Gli analisti di palazzo Koch Sauro Mocetti e Giacomo Roma, assieme a Ottavia Pesenti della London school of Economics, hanno passato al setaccio l’andamento della giurisdizione civile a partire dal 2013 (fino al 2019), quando sono stati attuati i nuovi confini delle circoscrizioni giudiziarie, riscritti con il decreto legislativo 155/2012. La riduzione a 140 tribunali ha «prodotto un aumento della distanza tra alcuni comuni e l’ufficio giudiziario di riferimento», con impatto diretto sui costi di accesso alla giustizia, ma che ha favorito una diminuzione delle liti bagatellari, come le «cause condominiali, nell’ambito di diritti reali, e casi di modesto importo per quanto riguarda i contratti e la responsabilità extracontrattuale». Nel documento si evidenzia che un aumento di 5 chilometri di distanza dal tribunale ha comportato un calo del 6% delle nuove cause. Insomma, «un piccolo aggravio di costi di accesso può scoraggiare l’insorgere del contenzioso». Il calo della domanda di giustizia ha ridotto il numero di cause frivole o pretestuose, poiché solo chi aveva un reale interesse ha ritenuto vantaggioso sostenere i costi aggiuntivi per presentare un ricorso. Eppure, nel documento di Bankitalia non si esclude che questo aumento delle spese abbia scoraggiato il ricorso alla giustizia anche per cause in realtà meritevoli. Nello studio, però, si precisa che nessuna variazione ha riguardato contenziosi più rilevanti, in particolare relativi a questioni societarie, fallimentari, di famiglia e di lavoro.
Il calo dei giudizi ha avuto almeno due ulteriori risvolti. Dal punto di vista dell’offerta di giustizia, ovvero la capacità del sistema di processare e risolvere le cause, il taglio degli uffici giudiziari ha prodotto un aumento delle decisioni del 3,8%, con effetti più visibili per «le materie in media più complesse (quelle che richiedono tempi di risoluzione delle controversie più lunghi)». Sulla durata dei procedimenti, invece, la riforma ha contribuito a erodere il disposition time (tempo medio per la chiusura di una causa), che si è ridotto del 5%. Il calo della durata media è stato più significativo per le cause più complesse, che richiedevano maggiore competenza specifica. Questo suggerisce che i magistrati, trattando più casi simili, hanno migliorato l’efficienza decisionale e hanno potuto specializzarsi su determinate materie.
In conclusione, si legge nel dossier della Banca d’Italia, «i risultati del lavoro suggeriscono che i benefici derivanti dalla riorganizzazione» delle Corti civili «siano maggiori dei costi, anche se alcune condizioni sono necessarie perché se ne dispieghino pienamente gli effetti». Per questo, gli analisti evidenziano che «la fusione dei tribunali» per essere realmente efficiente sul piano organizzativo, «richiede un’integrazione e interoperabilità dei sistemi, per evitare che la trasmissione dei fascicoli da quello accorpato a quello accorpante ritardi gli effetti positivi sull’offerta di giustizia e sulla qualità del servizio».
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 11 mar 2025 13:12

Donna, giovane, meridionale, straniera, madre, poco istruita. Ricadere in una o più di queste definizioni significa ancora, nell’Italia di oggi, essere lavoratrice sottopagata, sfruttata, disoccupata. O inattiva perché “scoraggiata”, convinta di non avere possibilità. Il 65% degli inattivi in Italia è donna. In totale, 7,8 milioni di cui più di un terzo per ragioni familiari: figli o parenti da accudire. Un milione e 300 mila di queste donne vorrebbe lavorare ed emanciparsi. In 600 mila rinunciano anche all’idea. Ma qui c’è il vero tesoro nascosto.
Lo racconta il nuovo rapporto elaborato da Cnel e Istat sulle donne, presentato ieri e firmato da Cristina Freguja, Maria Clelia Romano, Linda Laura Sabbadini. Le autrici raccontano di un mondo dell’occupazione al femminile che cresce, ma cresce zoppo. Meno dell’Europa e meno degli uomini con una distanza siderale di 13 punti con la Francia e la media Ue, 20 con la Germania, 8 con la Spagna e 18 con gli uomini di casa nostra. Le donne lavorano meno. Quando lo fanno, anche a parità di condizioni, orari, scatti di carriera, vengono retribuite meno: con differenze più marcate per bassi livelli di scolarizzazione, ma che permangono sin su in cima.
Se poi a spingere quest’occupazione – di 6 punti tra 2008 e 2024 contro gli 8,6 della media europea – sono sopratutto le over 50, trattenute al lavoro dalle strette pensionistiche, allora si capisce che abbiamo un problema. Giovani donne che studiano di più, si diplomano e laureano prima e di più e poi vengono assunte di meno e meno in fretta. Tutto si cronicizza in Italia. Persino la disoccupazione di lunga durata è “di genere”. Le donne in cerca di posto da un anno o più sono il 54%. Diventano il 65% al Sud e il 75% tra le madri sole. Quelle single con figli che lavorano sono un milione. E hanno più “elementi di vulnerabilità”: contrattini, paghe basse, in settori come i servizi alle famiglie, gli alberghi e la ristorazione.
Fili di luce qui e lì si intravedono. Per esempio tra 2008 e 2024 la quota di coppie in cui solo l’uomo lavora è calata di oltre sei punti, dal 33% al 25%. Ma l’Italia è al terzo posto in Europa per incidenza di coppie monoreddito maschile: 25% contro 16% di media Ue. Ed è terzultima per coppie in cui i partner hanno un reddito simile. La donna, se lavora, guadagna meno.
Spesso perché lavora anche meno ore al giorno, meno mesi all’anno, meno anni nella vita. Anche se il 42% delle madri il part-time lo subisce e vorrebbe il tempo pieno. Addirittura il 67% delle donne senza figli. Non stupisce che la lavoratrice guadagni in media 6 mila euro all’anno meno degli uomini. Stupisce però che il 34% delle donne non riesca mai a uscire dalla bassa retribuzione contro il 18% degli uomini: una condanna a vita. Per le over 45 il gender pay gap resta superiore al 30% per quasi tutti i livelli di scolarizzazione, fino alla laurea. Alla “segregazione orizzontale” – le donne sono confinate in 21 professioni, per lo più segretarie, commesse, infermiere, maestre, colf, contro le 53 degli uomini che spaziano dal bracciante al professionista – si aggiunge la “segregazione verticale”. Faticano ad entrare. E quando entrano faticano a salire, a fare carriera. Il rapporto stupisce con i numeri: una sola donna presidente di Regione in Italia, solo il 15% di sindache (due nei venti Comuni capoluogo), il 33,6% di parlamentari donna (in Spagna sono il 43%), il 30% con funzioni governative, il 21% di magistrate con incarichi top, appena il 2,9% di amministratrici delegate e il 16% di direttrici di azienda. Solo il 28,8% delle aziende italiane è a conduzione femminile. Dice il presidente del Cnel Renato Brunetta che bisogna «rompere la gabbia degli stereotipi di genere e investire per l’occupazione delle donne più giovani». Non basta avere l’unica presidente del Consiglio donna in Europa. Bisogna agire con le donne e per le donne. A partire da quel tesoro delle “inattive” da riscoprire e risvegliare. Non solo per spingere l’economia e portare il Sud al livello del Centro-Nord. Ma per ridare dignità.
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 11 mar 2025 14:49

tenente Drogo ha scritto:l'oracolo di Omaha vende e accumula liquidi
l 'ultima volta era nel 2008
ci dobbiamo preoccupare?

https://www.affaritaliani.it/economia/b ... 44380.html


mi sa che ci aveva visto lungo
I comunisti mi trattavano da fascista, i fascisti da comunista.
Tutto questo ha aiutato il film.
(Sam Fuller, a proposito di "The Steel Helmet")

http://fortezza-bastiani.blogspot.com
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Messaggioda zampaflex » 11 mar 2025 17:03

tenente Drogo ha scritto:
tenente Drogo ha scritto:l'oracolo di Omaha vende e accumula liquidi
l 'ultima volta era nel 2008
ci dobbiamo preoccupare?

https://www.affaritaliani.it/economia/b ... 44380.html


mi sa che ci aveva visto lungo


Ha basato tutta la sua carriera sugli insegnamenti di Graham, profeta del value investing. Tutto ciò che compra dev eritornare un flusso di cassa con un rendimento superiore a X. Di hype, cripto, fuffe varie non gliene frega nulla.
Visto che azioni, collectibles, luxury items e, soprattutto, cripto (che valgono ZERO) erano alle stelle, ha fatto la cosa giusta.
E adesso sta seduto sulla riva del fiume.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 12 mar 2025 19:44

Avrete sicuramente sentito che la pressione fiscale è cresciuta, nel 2024, nonostante i tagli governativi. Perchè?
Ma semplicemente perché come al solito questo governo ha favorito le partite IVA, grandi e piccole.

Seminerio sull'argomento, molto chiaro:
https://phastidio.net/2025/03/12/la-meccanica-della-pressione-fiscale-spiegata-benissimo/#gsc.tab=0

Accade che la pressione fiscale in Italia nel 2024 sia aumentata, quindi cerchiamo causa e interpretazioni.

Ha iniziato Giorgia Meloni, dall’alto delle sue indiscutibili competenze economiche, affermando che l’aumento di pressione fiscale è da ricondurre al fatto che “c’è più gente che lavora”. La spiegazione è singolare, soprattutto provenendo da colei che ha lanciato il celeberrimo slogan “più assumi, meno tasse paghi“. L’interpretazione di Bordignon e Rizzo è più deprimente. Ma andiamo con ordine.

La pressione fiscale è il rapporto tra entrate e Pil. Le prime sono aumentate nel 2024 del 5,7 per cento, a fronte di una crescita nominale del Pil del 2,9 per cento. Di conseguenza, il rapporto è passato da 41,4 a 42,6 per cento. Tre decimi di punto percentuale più del Programma strutturale di bilancio presentato dal governo lo scorso ottobre. In soldoni, nel 2024 lo Stato ha incassato 26 miliardi più di quello che avrebbe incassato se la pressione fiscale fosse rimasta al valore dell’anno precedente.

Di questo incremento nominale di entrate, sette miliardi sono riconducibili al ripristino delle accise, col termine delle agevolazioni relative alla crisi energetica. E il resto? Intanto, è vero che l’occupazione nel 2024 è andata bene, con un incremento dei lavoratori in termini di ULA (unità di lavoro dipendente equivalenti a tempo pieno) del 2,3 per cento e un aumento dei redditi di lavoro dipendente del 5,2 per cento.

Lavoro e profitti nel Pil e nel fisco
A questo punto, ci si potrebbe chiedere perché il rapporto entrate-Pil aumenti, visto che i redditi sono parte del Pil, cioè del denominatore della pressione fiscale, e sono aumentati in modo così robusto. Questa è la spiegazione, che ha due determinanti:

La prima è che i redditi da lavoro dipendente sono tassati molto più degli altri redditi. Da Istat, fatto 100 il totale delle entrate fiscali, che includono sia le imposte che i contributi, 49 sono risorse che provengono dai salari, 17 dai profitti (in cui sono inclusi i redditi dei lavoratori autonomi e i loro contributi), 33 arrivano invece dalle imposte indirette. Questi numeri devono essere confrontati con la quota di ciascuna componente sul Pil. Benché contribuiscano quasi al 50 per cento delle entrate, i salari costituiscono solo il 38 per cento del Pil, contro il 50 per cento dei profitti e il 12 per cento delle imposte indirette.

Meccanicamente significa che, quando crescono i salari, cresce anche il Pil ma le entrate crescono ancora di più, producendo un inasprimento della pressione fiscale. Accade invece l’opposto quando sono i profitti a crescere, che nel Pil contano di più, ma pagano percentualmente molto meno imposte e contributi. Questo in parte spiega quanto successo in Italia nel 2024. In quell’anno, i profitti hanno subito una battuta d’arresto (si sono in realtà lievemente ridotti, -0,013 per cento), dopo la forte crescita degli anni precedenti, mentre i salari sono cresciuti, sia perché sono aumentati gli occupati, sia perché è aumentato il loro salario medio.

Regola del pollice e dito medio ai dipendenti
Mi pare una spiegazione estremamente efficace. C’è un effetto composizione, in sostanza, che si può ricondurre per semplicità a questa regola del pollice, ovviamente a parità di ogni altra condizione, il celeberrimo ceteris paribus:
"Quando i profitti crescono più dei salari, la pressione fiscale si riduce."

La seconda motivazione è da ricondurre al tipo di prelievo. I lavoratori dipendenti sono sottoposti a contribuzione, che è proporzionale, e all’Irpef, che è progressiva. I redditi da lavoro dipendente e assimilati costituiscono l’85 per cento della base imponibile Irpef. Gli altri redditi sono sottratti a tale base imponibile e assoggettati a regimi di imposte sostitutive proporzionali. Dalle cedolari secche alla flat tax degli autonomi. Quindi, queste tipologie di redditi sfuggono alla progressività e al fiscal drag.

Quello stesso fiscal drag che ha operato in conseguenza dei rinnovi contrattuali dell’anno, spingendo i redditi nominali al rialzo e il prelievo tributario al rialzo più che proporzionale, cioè all’innalzamento dell’aliquota media. Gli autori segnalano poi le beffa del 2022 e 2023, anni di forte pressione inflattiva, che imprese e autonomi hanno potuto scaricare a valle, sui consumatori, in modo tale da aumentare i propri profitti.

Kulaki tosati o massacrati
E così, mentre in quel biennio i profitti crescevano più dei redditi di lavoro, la pressione fiscale diminuiva meccanicamente ma i lavoratori dipendenti vedevano un forte taglio del loro potere d’acquisto. Nel 2024, in conseguenza dei tanti rinnovi contrattuali e della stazionarietà della quota dei profitti sul Pil, i dipendenti hanno visto un recupero del potere d’acquisto (e dell’incidenza delle loro retribuzioni sul Pil), che tuttavia è stato drenato dalla struttura tributaria progressiva.

Detto in altri termini, se non siete autonomi e non potete contare su una imposizione proporzionale, e se siete schiavi del sostituto d’imposta (i.e. non potete evadere), siete destinati a perdere. Solo una sterilizzazione del fiscal drag mediante indicizzazione degli scaglioni d’imposta e delle detrazioni e deduzioni, potrebbe almeno cristallizzare la situazione ed evitare questo prelievo sistematico ai danni dei dipendenti. Soprattutto di quelli che non possono contare su occasionali decontribuzioni. Costoro si chiamano, come da mio copyright di oltre un lustro addietro, Kulaki.

Ci sarebbe da augurarsi che il/la/id presidente del consiglio abbia modo di leggere l’eccellente contributo di Bordignon e Rizzo e, in caso, di farselo spiegare. Un contributo che ha anche i disegnini, peraltro. Ma non vorrei peccare di ottimismo: visti i tempi, non mi pare proprio il caso.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 12 mar 2025 19:54

Recupero un bell'articolo-quadro sulla filosofia del nostro sistema pensionistico

https://ilsaltodirodi.com/2023/11/18/ride-elsa-chi-ride-ultimo/
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 14 mar 2025 14:59

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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 15 mar 2025 09:52

Altro fenomeno tipicamente, pare, italiano.

Diagnosi in crescita
I dati Istat sono chiari a questo proposito: nell’ultimo decennio, le certificazioni di disabilità scolastica sono aumentate del 39,9%. Nell’anno scolastico 2014-2015 le certificazioni riguardavano il 2,1% degli iscritti nelle scuole, nel 2022-2023 il 4,1%. Indubbiamente ci sono stati dei progressi e le diagnosi sono ora più precise, ma è un numero comunque elevato, contestato dal pedagogista Daniele Novara in un’intervista rilasciata nel 2023 a Orizzonte Scuola. “I disturbi specifici di apprendimento sono deficit neurofisiologici che al massimo arrivano a colpire l’1,5-3% dei bimbi, mentre i dati scolastici italiani sono 4-5 volte superiori alle previsioni mediche e in aumento; si può arrivare a un 10% di dislessici, ovvero 2 bambini in una classe di 20 alunni”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/03/12/la-scuola-e-diventata-una-clinica-psichiatrica-tutti-discalculici-disgrafici-dislessici-asperger-autistici-ma-chi-lha-detto-laffondo-di-umberto-galimberti-fa-disc/7899726/
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Re: Diario economico

Messaggioda Ludi » 15 mar 2025 10:27

zampaflex ha scritto:Altro fenomeno tipicamente, pare, italiano.

Diagnosi in crescita
I dati Istat sono chiari a questo proposito: nell’ultimo decennio, le certificazioni di disabilità scolastica sono aumentate del 39,9%. Nell’anno scolastico 2014-2015 le certificazioni riguardavano il 2,1% degli iscritti nelle scuole, nel 2022-2023 il 4,1%. Indubbiamente ci sono stati dei progressi e le diagnosi sono ora più precise, ma è un numero comunque elevato, contestato dal pedagogista Daniele Novara in un’intervista rilasciata nel 2023 a Orizzonte Scuola. “I disturbi specifici di apprendimento sono deficit neurofisiologici che al massimo arrivano a colpire l’1,5-3% dei bimbi, mentre i dati scolastici italiani sono 4-5 volte superiori alle previsioni mediche e in aumento; si può arrivare a un 10% di dislessici, ovvero 2 bambini in una classe di 20 alunni”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/03/12/la-scuola-e-diventata-una-clinica-psichiatrica-tutti-discalculici-disgrafici-dislessici-asperger-autistici-ma-chi-lha-detto-laffondo-di-umberto-galimberti-fa-disc/7899726/


l'aumento della "finezza" diagnostica, così come è avvenuto per i disturbi dello spettro autistico, è sicuramente tra le cause di questo incremento, che dunque è in parte solo apparente.
Quello che invece mi preoccupa è il progressivo calo delle capacità di apprendimento, che è generalizzato. Nei miei venti anni di insegnamento universitario, l'ho percepito in maniera costante. Nel 2005, i miei studenti in aula erano partecipativi, curiosi, stimolanti. Ora, sono passivi, quasi spaesati; e parlo di ragazzi che frequentano una magistrale. Agli esami mi tocca sentire corbellerie incredibili. Il futuro sarà loro...ma se continua così, non lo vedo roseo.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 19 mar 2025 17:03

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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 22 mar 2025 20:45

Il decreto legge sulla «funzionalità delle pubbliche amministrazioni», dopo una difficile gestazione (approvato dal Consiglio dei ministri del 19 febbraio, vi è ritornato il 13 marzo ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 marzo), inizia ora l’«iter» di conversione in legge. Non doveva esservi molta urgenza, visto che la sua pubblicazione è avvenuta un mese dopo l’approvazione.
Consta di 22 articoli, di 112 commi, alcuni lunghi sei pagine, di 16.825 parole, di 114.192 caratteri, e contiene 255 riferimenti ad altre norme. Dal punto di vista della tecnica legislativa, è un vero museo degli orrori, che può essere letto solo con l’ausilio delle tante altre norme a cui rinvia ed è destinato, come tutti gli altri decreti legge, a raddoppiare le dimensioni nel corso della conversione parlamentare. Tacito e Cartesio non hanno insegnato nulla agli autori di questo autentico labirinto. O essi si sono espressi in questo modo oscuro proprio perché desideravano non essere capiti. Affidare la funzionalità delle pubbliche amministrazioni a un decreto legge così scritto è il migliore modo per diminuirne la funzionalità.
Lo sconcerto del lettore aumenta quando si passa al contenuto, perché c’è di tutto: l’ovvio, l’utile, il superfluo, lo strano, il dannoso. Il testo riguarda amministrazioni centrali, periferiche e locali. Prevede aumenti di organico; mobilità del personale; modifica dei meccanismi di concorso (in modo da alleggerirne le prove); scorrimento delle graduatorie e utilizzazione di procedure selettive già svolte altrove (sono tecniche che consentono, con un colpo di bacchetta, ai perdenti di un concorso
di diventarne vincitori); assunzione di giovani provenienti dagli istituti tecnologici superiori; stabilizzazione di precari che così diventano dipendenti di ruolo; assunzioni a tempo determinato che vengono trasformate in rapporti di lavoro a tempo indeterminato; prepensionamenti; principalmente una trasformazione del Dipartimento della funzione pubblica in una specie di super direzione del personale pubblico, che gestisce i reclutamenti; un aumento dei dipendenti del ministero dell’Agricoltura e un rafforzamento del ministero dell’Economia e delle finanze, che guadagna cinque direzioni generali. Somiglia quindi alla minestra di magro del venerdì del Giornalino di Giamburrasca, fatta con la rigovernatura dei piatti della settimana, e suscita nel lettore la stessa reazione che ebbe Giamburrasca.
L’assemblaggio è compiuto senza badare alle contraddizioni. Ad esempio, da un lato si dispone che il concorso è lo strumento ordinario e prioritario di accesso alle pubbliche amministrazioni; dall’altro, si prevedono stabilizzazioni di precari e persino dei lavoratori socialmente utili di Basilicata, Calabria, Campania e Puglia, in modo da assumere personale per soddisfare la fame di posti nelle regioni meridionali, piuttosto che per servire meglio gli utenti della pubblica amministrazione.
Lungo quali direttrici marcia l’azione governativa diretta ad affrontare il più antico problema del nostro Paese, quello della burocrazia? Per rispondere a questa domanda è necessario non fermarsi sui dettagli, ma esaminare le linee di fondo di questo testo. Esso mostra che lo sguardo del governo è tutto rivolto all’interno, senza tentare di migliorare l’organismo amministrativo in funzione degli utenti. Ripete l’errore di ritenere che i problemi si risolvano aumentando le dimensioni
amministrative, con nuovo personale. Invece, se la funzionalità va misurata con il servizio che le amministrazioni prestano alla collettività, è l’utente, non il dipendente che gioca un ruolo cruciale, e vanno affrontati problemi come l’assenza di cultura amministrativo gestionale, l’arretratezza tecnologica, la complessità delle procedure, la farraginosità dei processi di decisione, i ritardi, la minacciosità e insieme l’inutilità dei controlli. Appare paradossale che si preveda l’assunzione di nuovo personale quando c’è la digitalizzazione e la tanto decantata intelligenza artificiale: la transizione digitale è menzionata due volte nel decreto legge, ma in esso c’è scarso spazio per la digitalizzazione. Si ripete l’errore che si fece con l’automazione, quello di adattare le tecnologie digitali alle esistenti organizzazioni e procedure, invece di fare il contrario. In tal modo non si fanno passi verso la modernizzazione.
Infine, nelle pieghe di questo decreto legge sono nascoste nuove spese, passate indenni al vaglio della «bollinatura» compiacente della Ragioneria generale dello Stato che, nel prospetto riepilogativo degli effetti finanziari, ha certificato che vi è uno scarso o nullo impatto sul saldo netto da finanziare, sul fabbisogno e sull’indebitamento netto nel triennio.
Giunti al termine della lettura di questo decreto labirintico, ci si chiede se, per risolvere i problemi storici dello Stato italiano, quelli che ci portiamo dietro da secoli, sempre evocati con il ricorso alla parola «burocrazia», l’attuale governo potrebbe fare quello che altri, sempre di breve durata, non hanno potuto fare, per rendere lo strumento amministrativo più efficace, invece di alimentare l’«industrie des places», ascoltando sollecitatori e postulanti, per supplire al mancato sviluppo di industrie, commerci e servizi privati, per diminuire le tensioni del mercato del lavoro, senza migliorare la funzionalità
dei servizi pubblici.
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Re: Diario economico

Messaggioda Ludi » 23 mar 2025 10:02

zampaflex ha scritto:Il decreto legge sulla «funzionalità delle pubbliche amministrazioni», dopo una difficile gestazione (approvato dal Consiglio dei ministri del 19 febbraio, vi è ritornato il 13 marzo ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 marzo), inizia ora l’«iter» di conversione in legge. Non doveva esservi molta urgenza, visto che la sua pubblicazione è avvenuta un mese dopo l’approvazione.
Consta di 22 articoli, di 112 commi, alcuni lunghi sei pagine, di 16.825 parole, di 114.192 caratteri, e contiene 255 riferimenti ad altre norme. Dal punto di vista della tecnica legislativa, è un vero museo degli orrori, che può essere letto solo con l’ausilio delle tante altre norme a cui rinvia ed è destinato, come tutti gli altri decreti legge, a raddoppiare le dimensioni nel corso della conversione parlamentare. Tacito e Cartesio non hanno insegnato nulla agli autori di questo autentico labirinto. O essi si sono espressi in questo modo oscuro proprio perché desideravano non essere capiti. Affidare la funzionalità delle pubbliche amministrazioni a un decreto legge così scritto è il migliore modo per diminuirne la funzionalità.
Lo sconcerto del lettore aumenta quando si passa al contenuto, perché c’è di tutto: l’ovvio, l’utile, il superfluo, lo strano, il dannoso. Il testo riguarda amministrazioni centrali, periferiche e locali. Prevede aumenti di organico; mobilità del personale; modifica dei meccanismi di concorso (in modo da alleggerirne le prove); scorrimento delle graduatorie e utilizzazione di procedure selettive già svolte altrove (sono tecniche che consentono, con un colpo di bacchetta, ai perdenti di un concorso
di diventarne vincitori); assunzione di giovani provenienti dagli istituti tecnologici superiori; stabilizzazione di precari che così diventano dipendenti di ruolo; assunzioni a tempo determinato che vengono trasformate in rapporti di lavoro a tempo indeterminato; prepensionamenti; principalmente una trasformazione del Dipartimento della funzione pubblica in una specie di super direzione del personale pubblico, che gestisce i reclutamenti; un aumento dei dipendenti del ministero dell’Agricoltura e un rafforzamento del ministero dell’Economia e delle finanze, che guadagna cinque direzioni generali. Somiglia quindi alla minestra di magro del venerdì del Giornalino di Giamburrasca, fatta con la rigovernatura dei piatti della settimana, e suscita nel lettore la stessa reazione che ebbe Giamburrasca.
L’assemblaggio è compiuto senza badare alle contraddizioni. Ad esempio, da un lato si dispone che il concorso è lo strumento ordinario e prioritario di accesso alle pubbliche amministrazioni; dall’altro, si prevedono stabilizzazioni di precari e persino dei lavoratori socialmente utili di Basilicata, Calabria, Campania e Puglia, in modo da assumere personale per soddisfare la fame di posti nelle regioni meridionali, piuttosto che per servire meglio gli utenti della pubblica amministrazione.
Lungo quali direttrici marcia l’azione governativa diretta ad affrontare il più antico problema del nostro Paese, quello della burocrazia? Per rispondere a questa domanda è necessario non fermarsi sui dettagli, ma esaminare le linee di fondo di questo testo. Esso mostra che lo sguardo del governo è tutto rivolto all’interno, senza tentare di migliorare l’organismo amministrativo in funzione degli utenti. Ripete l’errore di ritenere che i problemi si risolvano aumentando le dimensioni
amministrative, con nuovo personale. Invece, se la funzionalità va misurata con il servizio che le amministrazioni prestano alla collettività, è l’utente, non il dipendente che gioca un ruolo cruciale, e vanno affrontati problemi come l’assenza di cultura amministrativo gestionale, l’arretratezza tecnologica, la complessità delle procedure, la farraginosità dei processi di decisione, i ritardi, la minacciosità e insieme l’inutilità dei controlli. Appare paradossale che si preveda l’assunzione di nuovo personale quando c’è la digitalizzazione e la tanto decantata intelligenza artificiale: la transizione digitale è menzionata due volte nel decreto legge, ma in esso c’è scarso spazio per la digitalizzazione. Si ripete l’errore che si fece con l’automazione, quello di adattare le tecnologie digitali alle esistenti organizzazioni e procedure, invece di fare il contrario. In tal modo non si fanno passi verso la modernizzazione.
Infine, nelle pieghe di questo decreto legge sono nascoste nuove spese, passate indenni al vaglio della «bollinatura» compiacente della Ragioneria generale dello Stato che, nel prospetto riepilogativo degli effetti finanziari, ha certificato che vi è uno scarso o nullo impatto sul saldo netto da finanziare, sul fabbisogno e sull’indebitamento netto nel triennio.
Giunti al termine della lettura di questo decreto labirintico, ci si chiede se, per risolvere i problemi storici dello Stato italiano, quelli che ci portiamo dietro da secoli, sempre evocati con il ricorso alla parola «burocrazia», l’attuale governo potrebbe fare quello che altri, sempre di breve durata, non hanno potuto fare, per rendere lo strumento amministrativo più efficace, invece di alimentare l’«industrie des places», ascoltando sollecitatori e postulanti, per supplire al mancato sviluppo di industrie, commerci e servizi privati, per diminuire le tensioni del mercato del lavoro, senza migliorare la funzionalità
dei servizi pubblici.


eccellente analisi!
Le stabilizzazioni, se non ben congegnate (e in questo Governo non vi è gran presenza di geni del diritto) rischiano sempre l'incostituzionalità ex art. 97, 4° co. Cost.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 23 mar 2025 18:47

Ludi ha scritto:
zampaflex ha scritto:Il decreto legge ...


eccellente analisi!
Le stabilizzazioni, se non ben congegnate (e in questo Governo non vi è gran presenza di geni del diritto) rischiano sempre l'incostituzionalità ex art. 97, 4° co. Cost.


Sabino Cassese, non mia... :mrgreen:
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 23 mar 2025 19:50

I comunisti mi trattavano da fascista, i fascisti da comunista.
Tutto questo ha aiutato il film.
(Sam Fuller, a proposito di "The Steel Helmet")

http://fortezza-bastiani.blogspot.com
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 24 mar 2025 18:06

tenente Drogo ha scritto:un successone le politiche di Trump
https://www.lastampa.it/esteri/2025/03/ ... H-P1-S2-T1

Io credo che Trump volesse dividere Russia e Cina, e stia piuttosto generando nella più classica eterogenesidei fini un avvicinamento opportunistico tra la seconda e l'Europa, malmenata stupidamente dal governo carotonico e quindi potenzialmente attratta da una possibilità più tattica che strategica, ma intrigante.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 29 mar 2025 11:34

Lavori in corso nella maggioranza per l'ennesima deroga all'italiana che dimostra l'incapacità di molta politica di sapere gestire i conti pubblici.

https://www.orizzontescuola.it/riscatto-agevolato-dalla-laurea-da-6000-euro-attuali-per-anno-di-studio-a-soli-900-euro-ddl-in-arrivo-al-senato-bucalo-ecco-quale-sara-liter/

Regalo ad un solo settore (scuola) in barba ai lavoratori degli altri, che devono invece sgobbare fino a 64 anni e oltre.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 31 mar 2025 18:41

Eccellente, perché semplice e succinta (pare lunga ma fidatevi, è la spiegazione migliore che possiate leggere), spiegazione del ruolo del dollaro nel mondo e dei suoi riflessi sulle economie.

https://www.mauldineconomics.com/frontlinethoughts/do-trade-deficits-matter

Penso che il deficit commerciale degli Stati Uniti, di per sé, non sia né buono né cattivo. È il risultato naturale della nostra posizione nell'ordine economico globale e ha sia aspetti positivi che negativi.

Allo stesso tempo, è anche importante per gli Stati Uniti (o qualsiasi altro paese) avere un certo grado di autosufficienza produttiva e sostenere i propri lavoratori e produttori. Ma i diversi segmenti dell'economia richiedono approcci differenti. I dazi potrebbero essere la risposta giusta in alcune (meno di quante si pensi) situazioni, ma ogni soluzione politica sottintende dei compromessi.

Gestire tutto questo è tremendamente complicato. Ecco perché ci vogliono anni per negoziare gli accordi commerciali. Oggi cercherò di diradare un po' questa nebbia e di vedere perché gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale. Come si vedrà, è una caratteristica intrinseca e necessaria del dollaro.

Cominciamo con alcuni dati. Gli Stati Uniti acquistano molte più "cose" dal resto del mondo di quante il resto del mondo ne acquisti dagli Stati Uniti. La differenza è chiamata deficit commerciale e ce n'è stato uno quasi ogni anno dagli anni '70. Il deficit commerciale tende a ridursi un po' quando la spesa dei consumatori diminuisce durante le recessioni, ma non c'è stato un surplus commerciale americano significativo da molti decenni.

Tuttavia, non è vero che le esportazioni statunitensi stanno calando. In realtà sono cresciute parecchio. Ecco un altro grafico (visibile dal link sopra) che mostra il commercio di beni. Le barre blu sono le esportazioni statunitensi, le barre nere sono le importazioni e la linea rossa è la differenza, ovvero il deficit commerciale di beni.
Esportiamo molti beni, per un valore di oltre 2 trilioni di dollari nel 2024. Questa quantità è cresciuta quasi ogni anno, rendendo gli Stati Uniti una potenza delle esportazioni per qualsiasi definizione. Il deficit esiste solo perché le nostre importazioni sono cresciute più velocemente delle esportazioni.
Se si considerano i servizi anziché i beni, gli Stati Uniti esportano più di quanto importiamo. Ciò ha gravi implicazioni se dovessimo entrare in una guerra commerciale di rappresaglia. Vogliamo davvero che l'Europa e il resto del mondo applichino tariffe sui nostri servizi come alcuni minacciano ora? Pensate alla legge Smoot-Hawley, che ha provocato la crisi mondiale del commercio un secolo fa. 1 trilione di dollari in esportazioni di servizi è una cosa importante e non vogliamo rovinarla.
Combinando i traffici di beni e di servizi si vede che gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale complessivo, molto minore, e siamo ancora un importante esportatore, più nei servizi però che nei beni. Questo è, per usare il termine classico, il "vantaggio comparato" americano. Le aziende e i lavoratori americani sono bravi a creare cose non tangibili: software, film, programmi TV, musica e tutti i tipi di servizi aziendali. Il mondo vuole queste cose e le acquista felicemente da noi. Tutti vincono finché è volontario.

Il processo è il seguente: compriamo cose dagli stranieri e diamo loro i nostri dollari. Vendiamo cose agli stranieri e i dollari tornano indietro. A volte di più, a volte di meno, ma il flusso non si ferma mai. La velocità di quel flusso aiuta a far salire e scendere i tassi di cambio. Ecco perché la politica commerciale e i valori delle valute sono così strettamente collegati. Per capire il commercio, devi capire il denaro.

Cos'è il denaro? La definizione più semplice che conosco: il denaro è l'attività più liquida, che diventa il mezzo di scambio perché è ampiamente posseduta e riconosciuta.
La maggior parte degli stati sovrani emette le proprie valute, ma tra queste è normale che una valuta regni sovrana sulle altre. La chiamiamo "valuta di riserva globale" e dal 1944 è il dollaro statunitense. Le banche centrali detengono dollari di riserva. La maggior parte delle transazioni internazionali si regola in dollari. Di conseguenza, il mondo non statunitense ha bisogno di molti dollari. È il grasso che fa girare la macchina dell'economia globale.
Ciò significa che gli Stati Uniti devono esportare costantemente più dollari per soddisfare la domanda mondiale. Questa domanda per la nostra valuta la rende più forte, il che a sua volta rende le importazioni più economiche e le esportazioni più costose. Questo è stato definito un "privilegio esorbitante", ma in un certo senso è anche un peso. Gli americani sono incentivati ​​a risparmiare meno denaro e a spenderne di più in beni importati.
Il nostro deficit commerciale è in realtà solo un effetto collaterale dell'avere la valuta di riserva. Se dovessimo in qualche modo iniziare a gestire un surplus commerciale, il resto del mondo diventerebbe affamato di dollari. Anche questo avrebbe effetti collaterali. Per prima cosa, il dollaro si rafforzerebbe abbastanza da rendere le nostre esportazioni inaccessibili per gli altri. Ciò non sarebbe positivo per i produttori americani (che venderebbero di meno) e i loro lavoratori (che perderebbero il loro posto di lavoro). Inoltre, se ciò persistesse, un'altra valuta assumerebbe il ruolo di riserva. Immagino che non sia ciò che vuole il presidente Trump, ma è lì che alla fine ci porterebbe la sua politica commerciale a somma zero.

Tuttavia, questo vantaggio a breve termine può anche produrre problemi a lungo termine. La politica monetaria che mantiene il flusso commerciale rende gli Stati Uniti un debitore permanente. All'estero fa il contrario, producendo risparmi in eccesso. Entrambi causano squilibri che peggiorano solo con il tempo.
Se hai il privilegio di essere la valuta di riserva mondiale e vuoi davvero, davvero, davvero mantenere questo privilegio, devi fare ciò che dice il mio amico Paul McCulley: agire in modo responsabilmente irresponsabile. Devi iniettare la tua valuta nel sistema globale in quantità. Oggi ciò significa molti trilioni di dollari. Sei tenuto a gestire un deficit.
Il fatto semplice è che se smettiamo di gestire deficit, alla fine perderemo la capacità di essere la valuta di riserva mondiale. Questa è matematica, non politica.
Il commercio globale non è un gioco a somma zero se sei la valuta di riserva mondiale. Sì, se sei un paese latinoamericano o uno qualsiasi del 90% del resto del mondo, devi bilanciare approssimativamente il tuo commercio o la tua valuta si svaluterà. Ciò riduce il potere d'acquisto dei tuoi cittadini e crea inflazione.

Il che ci porta all'economista britannico del XIX secolo David Ricardo e alla sua teoria del vantaggio comparato. Afferma che i paesi possono trarre vantaggio dal commercio tra loro producendo le cose in cui sono più bravi, mentre importano quelle in cui non sono altrettanto bravi. Questa teoria si basa sull'idea che ogni paese ha diverse strutture di costo e costi opportunità (costi in termini di altri beni a cui si rinuncia). Concentrarsi sui propri punti di forza consente di produrre in modo più efficiente.

Ma questo crea anche una valuta fluttuante per ogni paese. È un risultato naturale del dover elaborare qual è il vantaggio comparato.
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 31 mar 2025 19:13

troppo difficile per il carotone
I comunisti mi trattavano da fascista, i fascisti da comunista.
Tutto questo ha aiutato il film.
(Sam Fuller, a proposito di "The Steel Helmet")

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