Messaggioda tenente Drogo » 23 gen 2025 18:15
Alessandro De Nicola su La Stampa
(presidente della "Adam Smith Society" quindi non proprio un comunista)
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La ricetta Maga bocciata dalla storia
«Plus ça change, plus c’est la meme chose», amano dire i francesi. Orbene, il mondo ha appena assistito a un’inaugurazione inusitata: un presidente che balla coi Village People, una First Dark Lady addobbata come al funerale di Lucky Luciano, titani del tech che sbirciano nelle scollature di fidanzate altrui, un altro titano che saltella, getta il cuore alla folla e (probabilmente involontariamente) sfoggia un saluto romano che manco Massimo Decimo Meridio.
I due più normali, quelli che somigliavano ai ragazzi casinari in gita scolastica, sono apparsi Milei e Meloni che sembravano divertirsi mentre Trump emanava executive order spesso sballati (come quello incostituzionale che toglie lo ius soli).
Eppure, se qualcuno fosse tentato di lamentarsi di un mondo che sembra alla rovescia, è bene rassicurarlo: i ruggenti anni’ 20 di Trump sono molto simili a quelli del secolo scorso dei presidenti repubblicani Harding, Coolidge e Hoover che furono in carica dal 1921 al 1933. Davvero? Beh prendiamo l’immigrazione, cavallo di battaglia di Donald che vuole deportare gli illegali. Contrariamente alla nostra percezione di un’America che accoglie le navi di migranti che si avvicinano alla Statua della Libertà, già nel 1917 il Congresso emanò una legge che ammetteva negli Usa solo chi sapeva leggere e scrivere e poteva pagare una tassa di ingresso.
Nel 1921 un altro atto pose dei limiti numerici: non più di 358.000 visti l’anno e nel 1924 furono imposte delle quote a seconda della provenienza: più liberali per chi proveniva da Gran Bretagna e Europa occidentale, molto restrittive verso l’Europa Centro-meridionale e il resto del mondo. Motivazioni? Alcune simili («criminali»), altre oggi impronunciabili (mantenere la prevalenza di bianchi nordeuropei nella popolazione).
Questo atteggiamento di chiusura lo notiamo pure nella politica estera declamata da Trump. Ma non è una novità. Dopo aver vinto la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti erano la maggior potenza del pianeta avendo scavalcato una debilitata Gran Bretagna. Il presidente Wilson propose l’istituzione della Società delle Nazioni, l’antenata dell’Onu, e ne fu tra i fondatori ma il suo Paese… non vi entrò.
Il Senato bocciò l’adesione e da allora l’America divenne isolazionista, mantenendo un limitato coinvolgimento negli affari internazionali. Questo atteggiamento fu evidente in un altro dei piatti forti di Trump: le tariffe. Dopo il periodo della presidenza Wilson, favorevole al libero scambio, a partire dalla presidenza Harding risorse il protezionismo e fin dal 1921 fu approvato l’Emergency Tariff Act (chissà perché i protezionisti dicono che soffocare gli scambi è sempre un’emergenza), seguito dal Foder-McCumber Act che alzò i dazi a un livello superiore al 1913.
Il tutto sfociò nel disastroso Smoot-Hawley Act del 1930, in piena Grande Depressione e che contribuì ad aggravarla, con grave danno degli Stati Uniti stessi le cui esportazioni calarono da 2,34 miliardi di dollari nel 1929 a 784 milioni nel 1934, i 2/3 in meno!
C’è da dire, però, che gli anni’ 20 furono chiamati ruggenti perché, grazie alla vastità del loro mercato interno, il Pil degli Usa crebbe parecchio. Quali furono le determinanti principali dello sviluppo? Comunicazioni, tecnologia, energia e finanza. Telefoni, radio, nuovi modi di produzione industriale, trasporti, elettricità trascinarono l’economia; Wall Street macinava record con scarsi controlli, mentre le amministrazioni repubblicane diminuivano le tasse, non ostacolavano le fusioni aziendali (la quota di mercato controllata dalle prime 100 aziende aumentò) e aumentarono le estrazioni di idrocarburi (anche se non al grido di «drill, baby, drill! »); i sindacati furono indeboliti dalla Corte Suprema che annullò alcune norme (diritto di picchetto, salari minimi, sciopero nei servizi pubblici essenziali) a loro favorevoli.
Suona familiare delle intenzioni odierne? Sì, decisamente. Così come suona familiare l’emergenza crimine, quella volta non provocata dalle gang urbane di ispanici e neri e dai narcos, ma da mafie italiane e irlandesi e dalle relative gang cittadine: solo a Chicago ce ne erano 1300! La causa principale fu il proibizionismo degli alcolici così come la guerra alla droga ha un peso notevole nel XXI secolo. In quegli anni venne potenziata e riorganizzata la Fbi sotto la guida di Edgar J. Hoover il quale ottenne innegabili successi: vedremo che farà Trump.
I «Roaring’20s» portarono, come si sa, alla spaventosa crisi del 1929 e alla Grande Depressione. Non è detto che tutte le politiche allora adottate fossero sbagliate: certamente il protezionismo, il freno discriminatorio all’immigrazione legale e il proibizionismo lo furono. Tuttavia, se l’esperienza insegna qualcosa, sarebbe prudente non suonare esattamente lo stesso spartito che finì così male. Anche se, in effetti, questa volta si potrebbero annettere il Canada e la Groenlandia per risollevare l’economia.