Trabateo ha scritto:bobbisolo ha scritto:tenente Drogo ha scritto:zampaflex ha scritto:Quando vedo un giornalista o un magistrato vivere perennemente sotto scorta per minacce mafiose, so due cose: che sta sicuramente facendo bene il suo mestiere, e che avrà sempre il mio sostegno.
anche Nino di Matteo, che ha messo in piedi la farsa del processo sulla "Trattativa stato mafia" - smontata in appello e Cassazione - gira sotto scorta
quindi ci sono magistrati che eccedono di zelo e altri invece, che li smontano, vanno perfettamente ok
Quindi anche per il Tenente ci sono magistrati che fanno bene il loro lavoro.
Sarebbe interessante andare a vedere se anche questi magistrati "buoni" abbiano fatto uso della custodia cautelare durante i loro provvedimenti/processi o, se tutte le decisioni prese da codesti, siano, da lui, condivisibili o meno.
Chissà.
La sentenza della Cassazione relativa alla "Trattativa Stato mafia", andrebbe studiata per bene...comunque riporto uno stralcio da un articolo di Micromega (e il link per chi se lo volesse leggere tutto)
https://www.micromega.net/trattativa-st ... cassazione"Nel caso in esame, il reato tentato di minaccia da parte delle cosche nei confronti dei vertici dello Stato non è più punibile per intervenuta prescrizione. E gli imputati eccellenti, gli uomini dello Stato?
Questo il punto dirimente. La S. C. li assolve, assolve ossia lo Stato, per non avere commesso il fatto. Una formula assolutoria più conseguente e pertinente – come avevamo tempestivamente evidenziato su queste colonne – di quella adottata dalla Corte di Palermo, secondo la quale il fatto, pur sussistendo, non “costituiva reato”. Nel linguaggio del rito penale, significa che sussistono tutti i presupposti oggettivi, ma manca l’elemento soggettivo (dolo, colpa, preterintenzione). A giudizio della Corte d’Assise di Palermo, infatti, mancava il dolo, dal momento che gli imputati avevano agito per “motivi solidaristici”, ossia sotto la spinta di ragioni di “particolare valore morale e sociale”: favorire la cessazione delle stragi.
Infine, una volta di più, e in modo definitivo, si riconoscere l’esistenza incontrovertibile del fatto-reato. Purtuttavia, allo stesso tempo, si comprende che non è possibile assolvere con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, perché quel fatto integra pienamente i presupposti e gli elementi costitutivi del delitto di cui alla fattispecie legale. E dunque?
La sola via d’uscita dall’impasse, un vero e proprio cortocircuito logico-giuridico, è di affermare che l’imputato non l’ha commesso. La C. S. pare averla imboccata. Si utilizza, infatti, la formula che l'”imputato non ha commesso il fatto” ogniqualvolta in cui il reato sussista, sia sotto il profilo dell’elemento oggettivo che soggettivo. O perché chi l’ha commesso non coincide con l’imputato. Un esempio. Il giudice assolve l’imputato per non aver commesso il fatto, se l’omicidio si è verificato, ma è stato commesso da persona diversa. Oppure, quando il reato sussiste, ma ci sono delle cause di giustificazione. Si tratta cioè di ipotesi in cui l’imputato ha commesso il reato, ma per una ragione che giustifica la sua azione e ne elimina l’antigiuridicità, rendendo il fatto lecito, come nell’azione per legittima difesa. Nella quale evenienza, tuttavia, non si versa in tema di “motivi di particolare valore morale o sociale”, quale il “solidarismo” accreditato dalla Corte territoriale di Palermo."