Riprendo il meritevole articolo di Walter Galbiati per dettagliare una delle meno conosciute voci di discussione sulla spesa pubblica italiana: le detrazioni e deduzioni fiscali.
https://www.repubblica.it/economia/rubriche/outlook/2024/10/09/news/quei_125_miliardi_di_sconti_fiscali_che_il_mef_chiama_regali_elettorali-423545098/?ref=RHLF-BG-P4-S1-T1Soldi non ce ne sono. Debito, interessi e deficit, tutto si muove contro la manovra a cui il ministro Giancarlo Giorgetti cerca di mettere mano. Da qui la necessità di andare a tagliare là dove possibile. E una delle voci prese di mira si chiama Tax Expenditures.
Cosa sono. In tutti i Paesi del mondo vengono definite come “le misure che riducono o pospongono il gettito per uno specifico gruppo di contribuenti o un’attività economica rispetto a una regola di riferimento che rappresenta il benchmark”. In pratica sono una deviazione dalla norma, una specie di favore e di concessione a una particolare categoria di contribuenti.
La peculiarità italiana. E nelle eccezioni noi italiani siamo stati i migliori di tutti. Secondo il Rapporto annuale sulle spese fiscali che il ministero dell’Economia redige ogni anno, tra tutti i Paesi Ocse l’Italia non solo ha gli importi più elevati di spesa e gettito non riscosso grazie alle Tax expenditures, ma è anche il Paese con il maggior numero di voci di spesa.
Numeri e valori. Si contano ad oggi 625 misure che si sono accumulate negli anni, di cui 555 ancora vigenti nel 2024. Per quelle di cui si è potuto calcolare l’impatto, comprendendo sia le misure erariali che quelle locali, il Mef lo ha valutato in 125,6 miliardi per il 2023 che dovrebbero salire a 152 miliardi nell’anno corrente.
Stiamo parlando di una cifra pari al 7% del Pil e che negli anni non ha fatto altro che crescere. Nel 2017 l’impatto delle Tax expenditures era stato di 87,3 miliardi (il 5% del Pil di allora) con una crescita di oltre il 74% rispetto alla stima prevista per il 2024.
Perché è difficile intervenire. Una enormità alla quale serve mettere mano e a cui punta la delega fiscale. Ma andare a toccare questa ridda di voci non è facile, perché come riconosce lo stesso ministero dell’Economia molte di queste misure sono veri e propri regali con chiari fini elettorali.
Molte e di poco valore. Di fatto, rispetto ad altri Paesi, le Tax expenditures italiane hanno un importo medio per contribuente molto contenuto tanto che la metà di tutte ha un costo inferiore ai 10 milioni di euro. Il che significa che non hanno un carattere sistemico, ma sono frammentate, quasi cavilli costruiti su misura, mettendo così in evidenza “l’utilizzo – scrive il rapporto del Mef – per finalità di scambio con vari gruppi di interesse”, “un beneficio ad alcuni gruppi di produttori e consumatori per fini politici”.
L’economia politica. “La political economy delle spese fiscali nel nostro Paese – si legge nel rapporto - è molto chiara e a poco a che fare con obiettivi tributari, di efficienza o distributivi: esse sono in prevalenza un sussidio tributario – che equivale a una spesa diretta – che emerge nel processo di scambio con i gruppi di pressione”.
Per questo è difficile eliminarle e i vari governi che si sono succeduti non hanno fatto altro che rinnovare quelle introdotte dai governi precedenti, per non scontentare nessuno, anzi ne hanno spesso introdotte di nuove, fino ad arrivare alla strabordante situazione attuale.
Perché le spese fiscali. Questi interventi sono più facili da adottare rispetto a qualsiasi altra misura per la quale bisogna trovare risorse ad hoc. Qui basta concedere uno sconto su quello che già si paga. Il campionario va dall’esenzione alla deduzione dal reddito, dalla riduzione di imposta al rimborso di imposta e dalla riduzione di aliquota fino al differimento di imposta.
In più hanno una minore trasparenza, perché a volte è difficile, se non si mette un tetto di spesa, calcolarne i costi, come è accaduto di recente con il Superbonus.
Il peso dei bonus edilizi. Tra tutte le Tax expenditures, quelle che pesano maggiormente sui conti dello Stato sono proprio i vari bonus edilizi che da soli rappresentano circa il 40% del totale delle spese fiscali censite, per un valore di 36 miliardi.
E Giorgetti lo sa bene, tanto che allo studio c’è un piano di riordino dei benefici la cui colpa può essere tranquillamente spostata dal governo alla direttiva europea sulle Case green. Al momento l’esecutivo prevede, salvo un intervento diverso, che le aliquote per le ristrutturazioni scendano dal 50 al 36% con un tetto di spesa che passa da 92mila a 46mila, e quelle per l’efficienza energetica dal 70 al 65%.
Non solo casa. Basta però dare una rapida scorsa alle missioni interessate dai favori concessi per capire come i beneficiari siano un po’ tutti i settori: oltre la casa, ci sono agricoltura, pesca, energia, imprese di tutti i tipi, comprese banche e assicurazioni, trasporti, commercio, ricerca e innovazione, sostenibilità e ambiente, salute, cultura, scuola e università.
La Missione 11. Oltre la casa un altro pacchetto su cui il governo vorrebbe intervenire e di cui si è parlato con insistenza riguarda la Missione 11: Competitività e sviluppo delle imprese, che nei programmi di spesa 2024 ha un valore complessivo di 32,7 miliardi. Qui le voci più importanti sono due.
1) La prima è il cuneo fiscale, classificato come “trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni private”, che il governo si è già impegnato a voler prorogare per il 2025 e che è costato alle casse dello Stato 4,3 miliardi di euro.
2) La seconda voce per importanza riguarda “i trasferimenti alle imprese” pari a 5,1 miliardi che si materializzano prevalentemente attraverso due misure, una a favore delle banche e l’altra degli autotrasportatori.
a) Deferred tax asset. Agli istituti di credito il fisco concede di non pagare le tasse e di rinviarle nel tempo (Deferred tax asset), nel caso in cui nel bilancio di quell’anno ci siano perdite dovute a svalutazioni per attività immateriali e avviamenti o a operazioni straordinarie. Nel 2024 questo giochetto ha impedito allo Stato di incassare 3,4 miliardi di tasse che sono state procrastinate nel tempo.
b) Riduzione dell’accisa. Agli autotrasportatori è stato consentito di alleggerire il prezzo del carburante grazie alla riduzione dell’accisa, un beneficio che viene restituito non alla pompa, ma quando si pagano le tasse. Questo favore costa alle casse pubbliche 1,5 miliardi.
Giorgetti potrebbe intervenire su queste due voci per recuperare qualche miliardo dei 10 che gli servirebbero per chiudere la manovra, ma la Lega ha già fatto sapere che non se ne farà nulla per gli autotrasportatori, mentre Forza Italia ha preso la difesa delle banche.
“Le termiti”. Sarebbe tuttavia necessario che si cominci a mettere mano alla giungla delle Tax expenditures, perché come dice lo stesso Mef sono come le termiti che logorano dall’interno il bilancio dello Stato.
“Le Tax expenditures – leggiamo nel rapporto - sono vere e proprie termiti che possono lentamente logorare la struttura dei sistemi tributari. Se non si interviene con misure adeguate, le termiti indeboliscono il funzionamento di qualsiasi sistema tributario, lasciando come opzione ai vari governi solo quella di aggiungere ai regimi promossi dal governo precedente, altri regimi di favore per le varie constituencies. Le spese fiscali creano un’elevata dipendenza da cui è complicato liberarsi. Serve un’azione seria e programmata per restituire trasparenza, semplicità ed efficacia ai sistemi fiscali”.
Insomma, serve coraggio, senza pensare solo alle elezioni.