Messaggioda tenente Drogo » 08 set 2024 19:17
La strada stretta del ministro Giuli tra la vanità da reazionario e gli appetiti dei camerati sulla cultura
di Stefano Cappellini
Il ministro debutta a Venezia, nel giorno dei premi ad Almodovar e Moretti. Diverso da Sangiuliano, non potrà rimangiarsi il tax credit
Per capire la differenza tra Gennaro Sangiuliano e Alessandro Giuli, il ministro della Cultura uscente e quello entrante, servirebbe un trattatello di antropologia più che uno politico. Li accomuna l’amicizia con Giorgia Meloni, da cui l’approdo in sequenza al ministero, e l’obiettivo dichiarato di ribaltare decenni di egemonia culturale della sinistra, missione che per Sangiuliano è apparsa improba anche prima che Maria Rosaria Boccia ponesse fine al tentativo. Il resto è distanza siderale. Come il sole e la luna. Anzi come ‘O sole mio uno e il saluto al sole l’altro, rito fascio-pagano che Giuli praticava da ragazzo e chissà se ancora.
Da una parte un ex missino meridionale, borbonico di lingua e di postura, cattolico strapaesano, conservatore, cravatte larghe e abito scuro, fedele al pantheon di un abbonato del Borghese anni Settanta – una citazione di Prezzolini, il futurismo edizione Reader’s Digest, una spruzzata di Croce ma da approfondire, un po’ come i libri finalisti allo Strega; dall’altra uno cui da ragazzo il Movimento sociale faceva ribrezzo come tutto il mondo moderno, pagano, elitario, dandy con cravatta a calzino e bocchino, non certo Italo, teorico dell’aristocrazia dello spirito e di una atarassica distanza dalla politica di partito, almeno fino alla fulminante e proficua intesa con Meloni. Sangiuliano bazzicava sezione e parrocchia, Giuli andava per boschi e leggeva Julius Evola, uno cui pure il fascismo pareva un po’ troppo compromesso con la modernità, e all’inizio dei Novanta militava in Meridiano zero, movimento di estrema destra grazie al quale taluni ex studenti di Roma sud portano cicatrici a grazioso ricordo degli anni belli di gioventù.
Chi pensa che Giuli seguirà la strada tracciata da Sangiuliano non lo conosce. Più colto, più brillante, più paraculo – ha appena scritto un libro per teorizzare il gramscismo da destra – giocherà a includere e spiazzare la critica, come quando a metà dei Novanta fondò una rivista animata da ventenni come lui, si chiamava Kultur, per rimescolare le carte. Ci potevi leggere di de Maistre e di Battiato, la versione pop dell’esoterismo caro al neo ministro. Matteo Renzi gli ha rinfacciato ieri di essere il primo ministro della Cultura non laureato, in effetti Giuli è un autodidatta, forse senza rendersi conto che la critica è un po’ stantia. Avrebbe potuto farla propria Sangiuliano, che non s’azzarda mai a dire Boccia senza premettere «dottoressa», locuzione cara in tv a Orsini e Vannacci, per dire della mentalità che la parola spalanca. La prova che sarebbe meglio andare oltre, del resto, è arrivata subito con la reazione di Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato: «Non è vero che Giuli è il primo non laureato, ci fu Veltroni». E ne ha ricordato il diploma all’istituto professionale cinema e tv, neanche a farlo apposta, di nuovo il fortino rosso (il cinema, non la tv, già sintonizzata sul nuovo corso).
Ma Giuli non è tipo da risentirsi per un Leone d’oro a Pedro Almodovar, cineasta queer che sbanca il Lido con un film sull’eutanasia, combo da itterizia per il meloniano medio. Premio che suona invece come simbolico sberleffo finale della Mostra al dimissionario Sangiuliano. Il quale, stringendo i cordoni del tax credit, e cioè del finanziamento pubblico ai film, contava di cambiare pelle al cinema nazionale, covo di comunisti e sovversivi accusato nella lettera di dimissioni di poter essere addirittura la manina che muove i fili di Boccia. Ipotesi, quella evocata da Sangiuliano, che permette di confermare una teoria già in stato molto avanzato: se i Fratelli d’Italia mettessero nell’azione di governo un centesimo della fantasia usata per immaginare complotti, forse ne uscirebbe un’azione legislativa dignitosa.
Giuli, cultore della Roma antica misteriosofica e dei riti celtici, dunque abituato a coltivare lo studio dell’occulto in terreni più congrui dell’Instagram di Boccia, sarà sicuramente più accorto e misurato, almeno nelle parole, anche se non potrà certo ignorare la richiesta della casa madre: cultura, a noi! Non essendo un nostalgico, casomai un reazionario per letture e formazione, dovrà barcamenarsi tra la vanità di mettere una firma personale in questo passaggio al ministero, il che significa farsi venire qualche idea migliore di una mostra sul futurismo affidata a Osho, e la necessità di soddisfare la famelica richiesta di rivincita culturale degli ex camerati. Che sono un po’ velleitari e confusionari da prima di Sangiuliano, come raccontò Giuli stesso in un bel libro per Einaudi, Il passo delle oche, scritto a cavallo del naufragio finiano.
Non che la strada per Giuli sia in discesa, ma l’uomo è abituato alla pugna, anche in contesti molto lontani dai suoi attuali look lino bianco e bretelle. Nel curriculum c’è persino una stagione da ultrà della Roma, con tanto di trasferte movimentate, forse per brivido dannunziano dell’azione, anche se il ministro non ha certo avuto bisogno di vedere M - Il figlio del secolo per sapere come vanno a finire, male, gli arditi quando non si preoccupano abbastanza di quel che succede nei corridoi dei palazzi romani.
Ieri, poco prima che il Leone fosse consegnato ad Almodovar dal presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, altro intellettuale in missione per conto di Meloni che con Giuli condivide la via mistica alla destra, tanto da essersi convertito all’Islam, Nanni Moretti ha battezzato con parole di lotta l’esordio da ministro di Giuli alla Mostra. Premiato al Lido per il restauro di Ecce bombo, Moretti ha invitato alla mobilitazione contro la riforma del tax credit, che Meloni ha già detto di voler portare avanti in memoria del ministro dimissionario. Il quale, di pancia, avrebbe risposto a Moretti: è finita la pacchia. Giuli no. Il neo ministro è capace di invitare il regista a prendere un caffè al Collegio romano, per mostrargli la sua collezione di sigari e accorciare le distanze: bella cravatta, caro Nanni, l’ha presa pure lei al negozietto di Banchi nuovi?