Stasera provo a postare le mie NdD, per quel che può valere l'assaggio rugbystico della domenica.
Qualche considerazione preliminare:
Degustare diverse decine di Brunello al giorno è più stimolante e meno "tortura autoinflitta" che tante altre tipologie. Questo secondo me è uno degli indicatori della nobiltà di una zona/ampelografia/denominazione.
L'annata 2005 mi è sembrata un'annata minore, vini tendenzialmente magri e spesso già troppo evoluti, con acidità in bocca un po' verdi. Con tutto questo, qualche grande prodotto l'ho sentito.
Le Riserve 2004 sono riuscite nella maggioranza dei casi a fare peggio dei base 2005. Di sicuro a livello di struttura avevano una marcia in più, ma in genere sembravano sorprendentemente fiaccati dall'affinamento più lungo. In più casi avevano frutti scuri nettamente svaniti, spesso poi l'affinamento lungo era stato abbinato a botti più piccole e nuove coi risultati che si immaginano...alcune riserve, anche di nome, abbinavano le due problematiche: sovraossidazione e sovralegno. Ovviamente c'erano eccezioni emozionanti, ma in generale mi sembra che la tipologia Brunello Riserva viva al momento una crisi d'identità, che la rende una tipologia un po' ridondante e inutilmente più cara. Uscire un anno dopo non è abbastanza per configurare una tipologia distinta, e il buon senso vorrebbe che affinamenti più lunghi siano legati a bottame più neutro e pratiche meno ossidative.
Non mi pare di aver sentito tutti questi brunelli taroccati di cui si leggenda.
Come nell'Amarone è in atto un'esplosione di nuovi piccoli produttori che imbottigliano a marchio proprio. Questo fenomeno da un punto di vista commerciale è benzina sul fuoco della crisi, ma da un punto di vista dell'appassionato regala tantissimi spunti, anche perchè questi produttori venuti fuori negli ultimi anni hanno quasi tutti un'impostazione più "laica" e rispettosa del territorio rispetto ai nomi di punta degli anni '90. Questi ultimi ovviamente hanno oramai il proprio mercato consolidato e la propria visibilità a stampa, quindi è difficile aspettarsi da loro un rinfresco di "progetti enologici" troppo legati ad un determinato periodo storico. E poi se cambiano rischiano di perdersi Davidef che è un cliente coi fiocchi!
. Scherzi a parte, così come qualche anno fa Le Macioche e Pian dell'Orino, stanno emergendo alcuni nomi nuovi di grande pregio, diversi dei quali ovviamente già intercettati e proposti da Kira e da Brozzi.
Durante l'assaggio mi sono preso la briga di chiedere ad ogni produttore il nome dell'enologo consulente. Come già sperimentato anni fa in Langa, dopo un po' di assaggi il consulente lo prendi alla cieca ben più dell'ubicazione del crinale vitato...lo so che è un boccone duro da mandare giù, ma la mano del consulente è un fattore identitario più forte e ricorrente della sfumatura fine di terroir, che emerge principalmente a parità di stile non invasivo. Questo discorso si estende anche per gli enologi di stampo non modernista. Castelli ha un suo timbro aromatico preciso (che, sarò forse l'unico, non apprezzo particolarmente) Vagaggini pure, Ferrini manco a dirlo. Mi spiace togliere poesia al vino, ma il nome del consulente è un'informazione irrinunciabile anche per isolare ed inquadrare meglio il fattore terroir! Peraltro molti produttori sono diventati restii a dichiarare il nome del consulente, all'inizio ci provano sempre "mio figlio è enologo", "le decisioni le prendo io con mio cognato"...poi se ci insisti spunta il nome vero, e ti si chiude il cerchio di quella particolare e riconoscibile nota...la consulenza enologica è diventata come i lieviti e i filtri, nessuno li dichiara più per non rischiare di essere guardato in cagnesco!
...sto mettendo su pancetta...non pensavo sarebbe mai successo...