Dedalus ha scritto:Condivido tutto, salvo l'idea piu' o meno implicita che quando si danno valutazioni molto piu' alte del solito a vini che quindi di solito vengono valutati ad un livello inferiore, lo si faccia per imporre l'argomento all'attenzione altrui, regalando quindi nel gioco parecchi punti, e non invece perche' quella e' esattamente la propria giusta misura valutativa.
Come non deve esserci la fretta di portare per forza al primo posto vini che sono solo da secondo o terzo, cosi' non deve nemmeno esserci l'ignavia di lasciare al secondo o terzo posto vini che invece ci sembrano da primo, per quieto vivere in buona sostanza.
Con la qual cosa non sto parlando di te, visto che come hai ricordato prima non sei certo tu quello che va in giro a contestare pregiudizialmente la congruita' delle valutazioni altrui.
Io credo che molti degli equivoci che viviamo quotidianamente, non solo sul forum, nascano nella totale buona fede ma anche nell'ingenuità di chi non si rende conto che la frammentazione territoriale e stilistica del vino italiano deve ancora trovare la chiave per trasformarsi in vera forza piuttosto che limite.
La guida verde può partire da una divisione in una decina di macro-territori, in Italia sarebbe impossibile. Il che vuol dire decine e decine di variabili su cui costruire altrettanti modelli di qualità, tipicità, riconducibilità territoriale. E' un lavoro entusiasmante ma lungo e faticoso e secondo me le accelerazioni-forzature il più delle volte producono effetti controproducenti rispetto alla scelta di mettere a disposizione strumenti informativi e di approfondimento lasciandoli sedimentare nel vissuto personale di assaggio e scoperta.
Il fatto è che da noi si continua a guardare con enorme sospetto al riconoscimento di chiare gerarchie: di territori e di vigne, innanzitutto, ma anche di interpreti e bottiglie. Perché oltre a non trovare accordo ovviamente su chi avrebbe la titolarità per incidere su questo piano, si pensa che le gerarchie immobilizzino il tutto.
E non è così, perché è proprio il modello gerarchico francese che consente alle novità più interessanti (o a chi si rilancia) di emergere in maniera riconosciuta e autorevole. Basti pensare a certi chateaux bordolesi di seconda e terza fascia che in certe annate dimostrano di saper fare meglio di diversi premier senza bisogno di urlare. O di certi territori di partenza ed esplorazione più recente che trovano sponda proprio nei mostri sacri per svelare il proprio valore. Penso ad esempio a Calce che senza un Gauby accettato al tavolo dei Faucault e dei Leflaive non sarebbe il fenomeno di cui sempre più appassionati e critici francesi parlano negli ultimi mesi.
In definitiva, io credo che le potenzialità per dare origine stabilmente a tanti grandi vini ci siano in diversi territori italiani, alcuni dei quali insospettabili. Ma chi ci arriva diciamo in anticipo a sentirle, a toccarle, non può non tenere conto di quanta strada ci sia ancora da fare. Basta ricordare, del resto, quanto sia ancora incasinata la situazione a Montalcino: e stiamo parlando della più conosciuta (o comunque tra le prime tre) delle denominazioni/territori italiani..