Non sempre il "giovane vigneron di talento" azzecca le scelte, specie quando cerca di trovare una strada personale andando a cozzare contro la tradizione locale.
In questo caso parlo di
Christophe Peyrus con il suo
Pic-Saint-Loup 2013. Se fossi stato nella commissione esaminatrice lo avrei bocciato. Peccato perché a Clos Marie, la sua tenuta principale, lavora bene.
Syrah e Grenache, coppia tipica dell'areale, tende a dare vini generosi ma non sbracati. Puoi fare bene, c'è chi fa benissimo. Ma la voglia di alleggerire può portare a risultati drammatici.
Già a vedere i gradi (12,5 °) si ha il timore che abbia preso la deriva dei vin de soif, nome poetico per le sciacquature di botte.
Annusi, non esce quasi niente.
Bevi, e sei invaso da degli amari forti e sgraziati.
A bottiglia aperta da poco, riesce a fare capolino un poco di ratafià, soverchiato poi dalla root beer (e chi l'ha mai provata può capire...).
Bocca troppo magra e acida.
Ma perché, ancora una volta chiedo, perché vi incaponite a fare i diversi? E diamine!!!
Ho letto dei commenti del vino bevuto in gioventù (due, tre anni): più sul frutto, più classico, ma sempre magro, e non resiste all'aria. Da bere assolutamente in gioventù, ma temo che non abbia saputo dare un indirizzo giusto alle uve a disposizione.
PS: dopo quattro giorni ( !!! ) di aria, le erbe amare si ammorbidiscono un po' per diventare oliva verde, più classica. Resta un vino intristito, ma si beve un po' meglio. Rispetto al Beaucastel 2012 aperto quando ho finito questa, altro mondo però.