Serata in clima prefestivo ieri a Brisighella, in cui mi è stato concesso di sfruttare la splendida cucina a isola del Bed&Wine più accogliente di Romagna nel tentativo di divulgare il verbo risottaro al di sotto del confine invalicabile del grande fiume, in lande dove tempi e tecniche di cottura, tostature e mantecature suonano come parolacce…
Per avvinare i cucinieri, un piacevolissimo
Aubry Premier Cru che col passare dei minuti acquista in dimensione e profondità. Ha una gran bella bocca. Si gioca con salame polesano del contadino, mortadella del duo Pasquini/Zivieri di mora romagnola, schiacciatine mantovane di Morelli e radio Swiss Jazz a palla in sottofondo. Bello cucinare così.
Con la carne cruda all’albese, battuta al coltello di Fassona sempre di Zivieri, con prima aspersione per chi gradisce del magico "tartufon" da un etto gettato con nonchalance sul tavolo da Ivo, il
Barbaresco Rabajà 2010 di Cortese ci teletrasporta in Langa. Avevo trovato le bottiglie precedenti pur eccellenti ma più dure e spigolose, questa finalmente si lascia avvicinare molto più docilmente (complice forse anche una apertura più anticipata) e lascia piacevolmente interdetto chi al tavolo non lo conosceva e pensava che il Barbaresco fosse solo quello di Gaja. Certo, se si parte dal presupposto che qualunque vino che abbia una concentrazione inferiore alle riserve di Dal Forno è anoressico…vero Ivo???
Intramezzo di deliziosi crostini di porri e gorgonzola, in realtà delicatissimi nonostante quel che possa sembrare dal nome, su cui pertanto il
Bollinger Grand Année 2002 non vacilla di un millimetro. Questo champagne mi piace ogni volta di più. Fantastico, e oltretutto a prezzo centrato.
Scatta il momento del risotto al tartufo, che viene affettato senza ritegno su un risotto tirato alla perfezione…nonostante le ansie da prestazione dopo tante vanterie passate... Qui mi gioco l’abbinamento strampalato, che però ha suscitato entusiasmo in chi l’ha affrontato da una posizione mentale che non fosse “se non è rosso e ciccione, fa cagare”. Ossia da tutti tranne il solito Ivo…
E in realtà, il
Saumur Brèzé 2007 di Clos Rougeard è in una forma spettacolare, la migliore delle bottiglie da me bevute, estremamente giovane, un colore quasi fluorescente, un naso che non si lascia intimidire dagli effluvi stordenti che emanano dai piatti, coi suoi sbuffi di zolfanello sfacciati ma con sotto tanto di tutto, una bocca imponente ma non grassa o opulenta, un finale…senza fine.
Arrivano gli arrosti, piccioni, spalle d’agnello, filetti e fegatelli di maiale, cotti magistralmente dal padrone di casa. E qui entra in scena con la sua solita maestosa autorità un gran bel
Solaia, nell’annata 2005 che mai prima avevo bevuto. Davvero bella, nonostante le diffidenze iniziali. Colore bellissimo, impenetrabile, giovane, senza un cedimento. Al naso solo un poco meno frutto di altre volte, sotto alla consueta veste austera e elegante di grafite e cuoio. Bocca di totale soddisfazione, sempre validissimo!
Con la torta di robiola, mi è sfuggito il nome della vendemmia tardiva ungherese, comunque assai piacevole. Mi ero concentrato su uno strabiliante
Caluso Passito 1974 imbottigliato dal dott. Corrado Gnavi, commovente e ammaliante. Il colore è quello scuro del caramello ben cotto di qualche rum vecchissimo. Il naso iodato, salmastro e dolce insieme, di rabarbaro, miele amaro, chinotto, cedro candito. In bocca non cede a ossidazioni o segni di vecchiaia incipiente ma al contrario è teso e vibrante, di una dolcezza mai prevaricante né tantomeno stucchevole e comunque supportata da una acidità che dà freschezza al sorso e invoglia a quello successivo. Bella storia!